L’ultimo post apparso sul suo blog è stato scritto dal luogo dove si stava curando, ma non per questo è meno lucido o meno attento ai particolari. ” l’ospedale è un osservatorio importante dell’andamento della società, e non solo in riferimento agli anziani o a qualche tipologia patologica. Se ci si sta dentro qualche giorno si scoprono realtà imprevedibili. Ad esempio personaggi che sembrano usciti da un mondo reale impensabile….”
Giuseppe Casarrubea, insegnante, attivista ma soprattutto storico della strage di Portella della Ginestra e delle relazioni pericolose fra mafia, potere politico e classi dominanti in Sicilia, se ne è andato così qualche giorno fa, mantenendo fino alla fine la capacità di interrogarsi sulle “realtà imprevedibili” della quotidianità.
Realtà che ne hanno condizionato la vita fin dai mesi precedenti alla sua nascita, come racconta al Carrettino delle Idee Vincenzo Vasile, firma storica del nostro giornalismo di inchiesta, in forza per tanti anni all’Unità e già direttore de l’Ora di Palermo. ” Giuseppe , anzi Pino, Casarrubea era di Partinico e pochissime persone, fino ad anni recenti, sapevano che era figlio di una vittima di una delle stragi di mafia avvenute a pochi giorni di distanza da quella di Portella” ricorda Vasile. ” Il padre di Pino si chiamava Giuseppe pure lui e faceva l’artigiano. Era anche segretario della camera del lavoro del paese natale e gli uomini di Giuliano gli spararono davanti alla sezione comunista – allora il sindacato e il partito condividevano i locali- poche settimane dopo i fatti del primo maggio. ” ” Pino” prosegue Vasile “nacque fra luglio e agosto di quell’anno , il 1947, e per parecchio tempo fu molto riservato rispetto alla sua storia familiare. La prima volta che ci incontrammo si può dire che ci siamo appena sfiorati. Erano i primi anni sessanta, il 64 o 65, non ricordo, ed entrambi eravamo giovani e militanti politici, io nella federazione giovanile comunista , lui nel gruppo che si era costruito attorno a Danilo Dolci.” il sociologo triestino aveva scelto Partinico come centro della propria attività di organizzatore sociale e culturale già da un decennio. ” Aveva costruito un centro studi e iniziative che esiste tuttora ” narra ancora Vasile ” e in quegli anni organizzava dibattiti e incontri anche a Palermo. Era un esperienza che stava diventando un riferimento nazionale e portava in Sicilia attivisti e intellettuali di sinistra come Carlo Levi, Lucio Lombardo Radice, Gianni Alasia ed altri ancora” .
E’ in quegli anni e in quel clima che Giuseppe Casarrubea inizia le proprie ricerche sulla strage del primo maggio ’47 a Portella. ” Venivamo da un periodo in cui sui delitti di mafia del dopoguerra era calato il silenzio. Una sorta di oscuramento della memoria.” Riflette a voce alta Vasile. ” Al processo di Viterbo del 51 -52, il procuratore generale Parlatore aveva sostenuto nella sua requisitoria che era impossibile indagare su eventuali mandanti politici della strage perché avvenuta nell’ambito di una sagra di paese. Proprio così aveva detto. ” ” Solo Girolamo Li Causi, il grande dirigente del movimento contadino, da vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia -ma siamo già a cavallo fra gli anni 60 e 70- dedicò gran parte dei lavori dell’organismo alla ricostruzione della strage di Portella della Ginestra e all’individuazione dei possibili mandanti politici. Emersero in quell’occasione le contraddizioni delle indagini e le pesanti interferenze degli apparati deviati dello stato.”
A questo punto il contributo di Casarrubea alla ricostruzione della verità storica diventa determinante. ” Insegnava alle medie ” ricorda ancora Vincenzo Vasile ” e verso la fine degli anni 60 aveva costituito un comitato delle vittime di Portella e ripreso in mano la tragica memoria della sua famiglia. Io allora collaboravo con l’Unità e l’Ora e il nostro rapporto si consolidò” ” Pino riprese gli atti processuali di Viterbo, le relazioni di Polizia e Carabinieri, tutti i materiali che erano agli atti ma che erano stati pressoché ininfluenti rispetto alle decisioni dei giudici della Corte d’Assise.” Una ricerca meticolosa negli archivi giudiziari che è proseguita per anni “con la passione dello storico animata dal profondo dolore per la perdita del padre” e che è giunta a cambiare profondamente l’interpretazione della storia siciliana del dopoguerra. ” I Carabinieri avevano raccolto importanti testimonianze già poche ore dopo i fatti. Nelle relazioni allegate agli atti c’era tutto: i nomi ei cognomi dei principali capimafia, le diverse posizioni dei tiratori, anche il tipo di armi utilizzate. Tuttavia nessuna di queste testimonianze fu adoperata a Viterbo. Si preferì occultarle con altre relazioni che parlavano genericamente di banditismo. E’ stato Casarrubea il primo a giungere alla conclusione che c’era stata una grande operazione intorno a Portella. Quando ci rincontrammo aveva appena scoperto che nelle ferite delle vittime della strage si erano ritrovate schegge di bombe a mano.” Armi da guerra che rafforzavano l’ipotesi di interventi esterni pesanti. Tanto da far definire in seguito quella di Portella della Ginestra come la prima strage di stato.
“ Strage di stato è infatti la definizione che Pino Casarrubea usa nel suo libro su Portella uscito per l’editore Franco Angeli” incalza Vasile. ” In un altro libro, pubblicato sempre da Franco Angeli, indaga sul doppio stato e sul ruolo dei servizi segreti nell’organizzare la versione ufficiale della strage. A queste ricerche si deve la conoscenza di personaggi oscuri come quel Salvatore Ferreri detto Fra’ Diavolo- , prima bandito e poi confidente dell’ispettore generale Messana. Un testimone chiave che avrebbe potuto chiarire molte cose sui delitti della banda Giuliano e che fu eliminato in un conflitto a fuoco a cui partecipò l’ufficiale dei Carabinieri Roberto Giallombardo. Lo stesso personaggio che negli anni 2000 querelò Pino per diffamazione. Da quel processo Casarrubea uscì assolto con formula piena e le sue tesi storiografiche ne uscirono rafforzate.”
Comunque per tanti anni le ricerche di Casarrubea sono state patrimonio di una ristretta cerchia di addetti ai lavori e suscitarono giudizi controversi fra gli storici accademici. ” Soprattutto quando , anche grazie al contributo di studiosi come Aldo Giannuli, Pino ebbe accesso ai fondi archivistici del Servizio Informazioni e sicurezza ( sis).” conferma Vasile ” Fu allora che emersero i riscontri che attestavano il ruolo di uomini dei corpi scelti della Repubblica di Salò , a partire dalla XMas, nelle vicende siciliane. Se ne discusse parecchio, ma , ad ogni modo, Francesco Renda, forse lo storico siciliano più autorevole del nostro tempo, in un’intervista rilasciata al Giornale di Sicilia riconobbe l’accuratezza delle ricostruzioni di Casarrubea e la loro compatibilità con l’ipotesi di infiltrazione di uomini del vecchio regime fra gli esecutori della strage. Nel frattempo Pino aveva continuato comunque ad approfondire le sue ricerche. Era andato pure nella ex Jugoslavia ed aveva ricostruito il passato fascista dell’ispettore Messana. “
Un carattere testardo e infaticabile quindi. ” Si, cocciuto e spigoloso, ma a volte si addolciva ed era pure capace di cambiare idea. Una delle ultime volte che l”ho sentito, dopo l elezione di Mattarella alla presidenza della repubblica, ammise che il suo giudizio sul padre Bernardo era stato eccessivamente severo. Aveva dato credito alle rivelazioni di Gaspare Pisciotta, il luogotenente di Giuliano, sul ruolo di Mattarella Sr e dei monarchici come mandati della strage del primo maggio. Tuttavia quelle confessioni non avevano retto al vaglio di una più attenta verifica storica e lui, con la stessa serietà con cui si era difeso dalle accuse di diffamazione non ebbe problemi a correggere le sue valutazioni sulla vicenda.”