Il giornalismo è un inferno, un abisso d’iniquità, di menzogne, di tradimenti, che non si può traversare e dal quale non si può uscire puri a meno di essere protetti, come Dante, dal divino alloro di Virgilio.
Honoré de Balzac, Illusioni
Il binocolo, la macchina fotografica, il taccuino sono le armi del mestiere. La passione, la tenacia, l’audacia dell’incoscienza sono gli accessori necessari per districarsi tra la caccia alle notizie, i criteri di notiziabilità e un mercato, quello appunto giornalistico, in cui non è tutto oro quello che luccica. Pullulano i precari, i sottopagati e gli sfruttati e s’ingrossa irrimediabilmente la fila del malcontento. Storie forse note ma non abbastanza. Intanto, l’occasione per aprire una finestra su questo mondo, ci è stata offerta da un giornalista che da anni corre su e giù per lo stivale. L’obiettivo prefisso e volutamente ricercato è quello di imprimere le immagini più salienti della cronaca odierna. I ricercati sempre loro: i Vip. Politicanti, attori e cantanti. Noi de il carrettino delle idee abbiamo scelto di raccontare la storia di Marco, per cercare di cogliere umori, aspettative, condizioni lavorative e sogni infranti.
Come nasce la passione per il giornalismo?
Un po’ per caso, mi piaceva la fotografia e finite le scuole superiori feci un corso regionale. Il mio professore vedendo alcuni miei scatti mi chiese di iscrivermi a un corso di fotogiornalismo, sempre regionale. Mi appassionai sin da subito in quanto le uscite richiedevano la documentazione di temi di volta in volta diversi, quindi c’era uno scopo che non era solo quello di scattare una bella foto, ma di attribuirle un significato, per lo più sociale. Passai molto tempo alla stazione Termini costruendo il mio primo reportage sulla vita dei barboni. Da lì iniziai a guardarmi intorno con un occhio meno distratto e superficiale, ponendomi domande sempre più profonde sull’esistenza di un’umanità variegata e che trova la sua massima espressione, in chi vive ai margini della società, nella difficoltà’ economiche, di solitudine e di emarginazione. Dopo il corso, entrai per uno stage all’Ansa, dove riuscì in seguito ad inserirmi nel giro delle agenzie romane, seguivo la cronaca nera e bianca, e la politica romana. Dopo qualche anno passai alla cronaca rosa.
Quali sono stati gli scatti più famosi?
Durante il periodo della cronaca nera, seguì il caso Marta Russo, e feci un piccolo scoop. Un mio amico mi segnalò degli strani bozzi sui discendenti dell’acqua che erano presenti all’angolo di un palazzo, in linea tra la finestra dalla quale partì il colpo e la vittima. Feci delle foto per dimostrare che quei discendenti erano usati come tirassegno di qualche appassionato di pistola ad aria compressa o di piccolo calibro. Se ne interessarono molti giornali e televisioni. Tutti a riprendere i bozzi. Poi seguì il caso Priebke: la notte dell’assalto di via delle milizie un gruppo di cittadini romani di origine ebraica occuparono il tribunale dove era presente Priebke, che era stato appena condannato. Il loro scopo era quello di prenderlo e di impiccarlo. Riuscì a entrare poco prima dell’occupazione e mi nascosi in bagno. I carabinieri non volevano giornalisti tra i piedi in quanto da lì a poco avrebbero sgombrato il tribunale con la forza. Sono uscito fuori avvertito da un ragazzo ebreo e mi trovai di fronte una scena inverosimile: un boato e carbonieri che volavano. Era iniziato l’assalto alla stanza dove era nascosto il nazista. Scattai foto che furono pubblicate ovunque. Nella cronaca rosa, i miei scatti più importanti che fecero il giro del mondo, furono quelli a Tom Cruise e Kate Holmes, le prime foto a Roma, di Di Caprio e Giselle Bunchen durante le riprese del film “Gang of New York”, e il set blindassimo di Mel Gibson durante le riprese del film “The Passion”.
Quali sono le garanzie che la professione giornalistica offre?
Le garanzie non ci sono. È tutto a mio rischio e pericolo. Sono un freelance, vivo di ciò che produco sfruttando esperienza e fiuto, poi per il resto ci pensano i miei occhi, che cercano lo scatto giusto. Le rinunce invece sono tante, non hai una vita privata, perché lavori sempre, difficile staccare. Tuttavia trovo molto stimolante la vita precaria, perché ogni giorno sei costretto a cercare qualcosa da fare, non vivi di abitudini di routine, accumuli esperienze su esperienze. Poi questo in fondo non è un lavoro, ma una vocazione.
Come ti vedi fra cinque anni?
Che dire?! Non so, ci sono cambiamenti in atto nel mondo dell’informazione che sono troppo veloci per consentire una programmazione così lunga della mia professione. Spero di fare ancora questo lavoro a condizioni economiche accettabili, anche se ne dubito. l’editoria classica è in declino. Internet offre immediatezza e le notizie durano il tempo di un click, difficile starle al passo e soprattutto costa poco. Se proprio dovesse andare male pensavo comunque di aprirmi una piccola struttura dove insegnare fotografia.
Questa è la storia di Marco, giornalista freelance. La sua storia però è quella di tanti altri giornalisti che pullulano nel mondo dell’informazione. Precari e sottopagati. Eternamente sospesi tra la bellezza di una professione che richiede una passione che brucia e un mondo editoriale in cui i ritmi serrati e veloci fagocitano una riflessione seria sul mestiere dello scrivere.