“Anche prima di me gli uomini
guardavano, ed era cieco guardare;
udivano suoni, e non era sentire; li vedevi,
erano forme di sogni, la vita
un esistere lento, un impasto opaco senza disegno”
Il programma della 64 edizione del Tindari festival a cura del teatro dei due mari ha visto sul palco del teatro antico di Tindari, il 27 agosto, Edoardo Siravo in “Prometeo”, atto unico adattato da Patrick Rossi Gastaldi, con Ruben Rigillo, Silvia Siravo, Gabriella Casali e Alessandro D’Ambrosi.
Prometeo incatenato, rappresentata per la prima volta ad Atene nel 460 a.C., è l’unica opera superstite di una trilogia attribuita al tragediografo Eschilo che raccontava la vicenda di un Titano che sfida Zeus per scardinarne il suo potere assoluto e far dono agli uomini del segreto del fuoco e quindi del progresso.
L’azione millenaria di Prometeo che con la scintilla del fuoco ha acceso la mente ottenebrate degli uomini aprendo la via alla ribellione contro i sistemi oppressivi ed arcaici risulta di sconvolgente attualità in questo faticoso ed oscuro 2020 segnato dal Covid-19 in cui però, come afferma lo stesso Siravo- Prometeo alla fine dello spettacolo, si è trovata la forza di reagire con coraggio ritenendo la bellezza del teatro qualcosa di necessario e grazie soprattutto al pubblico che è tornato a far rivivere un luogo meraviglioso.
Si tratta di un dramma statico una sorta di interrogatorio ad un Titano che si erge, al centro della scena, con la sua statura morale ed è ora un fragile condannato annegato nelle sue pene, ora un avvincente profeta; il luogo è quello della Scizia solitaria, inaccessibile con la rupe rabbiosa di gelo mentre la notte con il suo velo gelato soffoca il laccio ferreo. Il motore del dramma è l’incontenibile risentimento di questo “prigioniero politico” che esprimere il suo risentimento per Zeus il tiranno beffardo che pone su di lui e sugli uomini la sua mano oppressiva, lui posto oltre le nubi; Prometeo che custodisce i suoi segreti ma è pronto a tenerli o a dispensarli , che prova pena per gli uomini oppressi, rifiuta l’intercessione di Oceano, prova compassione per la giovane Io a cui predice i lunghi viaggi e la gloriosa discendenza che, finalmente, lo libererà dalle sue catene. Come Prometeo anche Io- come racconta Silvia Siravo parlano del personaggio che interpreta- è doppiamente vittima: degli abusi di Zeus e dei suoi stratagemmi per coprire quegli stessi abusi. Trasformata in giovenca, condannata ad errare pungolata da un tafano, come una paura interna che non si può scacciare, un disturbo mentale provocato da un forte trauma.
<<Il Padre ordina si dica di che nozze vai gridando>>con queste parole piomba sulla scena, nel finale, Ermes il messaggero alato di Zeus, che rimprovera a Prometeo la sua arroganza priva di pensiero, e predice, a lui che non vuole rivelare il segreto, un nuovo e più atroce supplizio, l’aquila fulva come il sangue, avida, che straccerà il grande straccio del suo corpo e lo dilanierà tutto il giorno cibandosi del suo fegato nero.
Prometeo, un mito tanto amato dalla letteratura di tutti i luoghi e di tutti i tempi, esercita il suo fascino ancora oggi non solo nella dimensione del mito ma come riflesso di un modo d’essere dell’uomo che piuttosto che rassegnarsi alla sua condizione di cattività è pronto a lottare, anche senza sicurezza del buon esito della sua ribellione, rivendicando con forza, ieri come oggi, la sua libertà di scelta davanti ad ogni ideologia che voglia calpestarla. Prometeo è attuale perché nei coni d’ombra dell’oscurantismo che anche oggi mina la nostra serenità, la fiaccola smascherante della conoscenza può gettare luce sui nostri passi e far sì che si possa avere piena consapevolezza di ciò che accade intorno a noi.
Giuseppe Finocchio