Notte di san Valentino 2010, Nocera Superiore. Un ragazzino entra in casa della nonna e la trova riversa sul letto senza vita. Santina Rizzo, di mestiere prostituta, ha un paio di forbici conficcate nel collo e un altro nella vagina. Iniziano le indagini, c’è un processo lungo e pieno di contraddizioni. Si chiede alla perizia psichiatrica di trovare un movente psicologico – un raptus, una doppia personalità, qualcosa di riconducibile a uno stato di coscienza alterato – che chiarisca un movente debole e spieghi il comportamento dell’imputato (il processo è ancora in corso). Ma il movente non è una malattia psichiatrica, l’imputato non è pazzo. Quattro anni dopo la storia si ripete.
A pochi chilometri da casa di Santina Rizzo, in una baracca dove si prostituiva da trent’anni, c’è il cadavere di Maria Ambra con un piede di una rete metallica infilato in bocca. Anche in questo caso le indagini sono complicate. Poi la scorsa settimana La Città parla di una nuova pista investigativa: i due delitti sarebbero collegati, a Nocera Superiore potrebbe aggirarsi un serial killer. L’ipotesi é suggestiva: ci sono la traccia sessuale e il radicamento territoriale, gli omicidi sono efferati, le vittime facevano lo stesso mestiere, entrambe avevano più di sessant’anni. Serpeggia la curiosità sul profilo psicologico del mostro di Nocera che a oggi, comunque, non esiste. Il serial killer è un camaleonte sociale, si muove con destrezza, agisce quasi sempre da solo, di solito è maschio, bianco, spesso inizia a uccidere intorno ai 30 anni e ha un legame superficiale con la vittima che trasforma in un oggetto. Non é in grado di gestire le emozioni, non vede l’altro come qualcuno in grado di provare emozioni e sentimenti. Ha un problema, certo.
Che nulla toglie alla responsabilità dei suoi comportamenti, tanto che i più importanti serial killer della storia sono stati quasi sempre considerati capaci di intendere e di volere per quello che hanno fatto. Ma perché per loro c’è un interesse così morboso? Esiste una spettacolarizzazione mediatica del male, sangue e sesso fanno vendere. Ma c’è di più. Spesso, più o meno consapevolmente, chi é attratto da chi uccide in modo così eclatante si identifica con il male incarnato dall’oggetto della sua curiosità. E in questo meccanismo il desiderio di essere personaggio e non persona, di emergere da un’esistenza caratterizzata dal vuoto esistenziale e dalla noia si mescola al bisogno di fare i conti con il proprio lato oscuro, che spaventa e affascina allo stesso tempo. Ecco il piacere per gialli, noir, serie TV e programmi sull’argomento, ecco la ricerca voyeuristica di articoli che parlano di omicidi, stupri e altre violenze. Il nodo attorno a cui ruota il fascino del male è che non esiste una distanza siderale tra i percorsi della mente di un criminale e quelli di una persona perbene. Il lato oscuro è una parte dell’evoluzione umana.
L’aggressività, per esempio, assicura da sempre la sopravvivenza. E se é vero che l’odio distruttivo, le corde psicopatiche, le manipolazioni e le fantasie sadiche di un serial killer non sono quelle di una persona considerata normale, è altrettanto vero che tutti hanno un po’ di quell’odio, di quella aggressività, di quella manipolatività del serial killer. Solo che questi impulsi sono frenati da controllori morali che si chiamano etica, istituzioni sociali, sensi di colpa. I cacciatori di teste alla ricerca di grandi manager per le aziende americane prediligono i candidati che hanno una vena psicopatica; quando Stanley Milgram e Philip Zimbardo conducono i loro esperimenti sulla psicologia del male e studiano dove può arrivare la crudeltà dell’uomo “normale”, giungono a conclusioni davvero preoccupanti. Il lato sinistro della mente esiste, per questo siamo tanto affascinati dai serial killer: traducono impulsi oscuri e mal controllati in azione grazie a una miscela di egocentrismo, frustrazione e ricerca di piacere che fa da detonatore.
Non ci sono persone buone o cattive, pensarlo sarebbe fuorviante. Ci sono persone sia buone che cattive, e ci sono molti che si accontentano di fantasticare sulle cose che i cattivi fanno per davvero.
di Corrado De Rosa