I servizi pubblici non riescono a seguire tutti quelli che avrebbero bisogno di sostegno e la crisi rende più difficile pagare di tasca propria: così all’Opera don Calabria l’ambulatorio di psicoterapia è solidale. Non è lo specialista a fissare la tariffa ma il paziente a scegliere se e quanto pagare, secondo i propri mezzi. E le cose sembrano funzionare
Il gioco delle parti, almeno per quanto riguarda il prezzo, per una volta è invertito: non è lo specialista a fissare la tariffa, ma il paziente a scegliere quanto pagare “in base alle sue disponibilità economiche”. Questa l’idea alla base di un progetto sperimentale di psicoterapia solidale e democratica, accessibile anche a chi non può permettersi il settore privato. Anche di questo si parlerà al convegno “Intersoggettività. Crocevia tra i modelli di psicoterapia”, organizzato dall’Ambulatorio sociale di psicoterapia, nato all’interno dell’Opera don Calabria, e in programma a Roma per il 21 gennaio. L’argomento strettamente tecnico oggetto dell’incontro è l’ipotesi di trovare un punto di incontro che possa mediare i diversi e numerosi modelli di psicoterapia, ma il convegno sarà anche occasione per presentare e discutere con gli specialisti del settore del progetto sperimentale che anima l’ambulatorio promotore del convegno, un centro che propone un modello economicamente accessibile di assistenza e cura nell’ambito della salute mentale. Ne parliamo con Ruggero Piperno, psichiatra e psicoterapeuta responsabile del progetto.
Qual è l’idea alla base del progetto?
La psicoterapia è ufficialmente riconosciuta fra i cosiddetti “Lea”, i livelli essenziali di assistenza: è cioè un componente essenziale dell’assistenza sanitaria. Tuttavia i servizi pubblici, per mancanza di finanziamenti adeguati, non riescono a seguire tutta l’utenza che ne avrebbe bisogno, i professionisti dei centri di salute mentale che vanno in pensione non vengono rimpiazzati, mentre dall’altro lato la crisi ha aumentato la richiesta di questi servizi, diminuendo al contempo la possibilità da parte delle persone di pagarsi di tasca propria il servizio privato. Abbiamo così elaborato un modello di “privato sociale”.
In cosa consiste?
In sostanza è il paziente a stabilire quanto pagare per la terapia che gli viene proposta.
In base a cosa dovrebbe decidere?
In base a quanto può permettersi di pagare. L’idea è che ognuno dà quel che può, così chi è in grado di pagare un po’ di più, spontaneamente contribuisce a coprire i costi per la terapia di chi invece ha possibilità economiche più limitate. Inoltre un elemento che può aiutare a valutare l’importo da pagare è la durata della terapia proposta: per una terapia molto lunga, ad esempio, può essere ragionevole scegliere un contributo minore. Ma l’importante è la scelta operata dal paziente, da cui ci aspettiamo un contributo oggettivamente commisurato alle reali possibilità economiche.
Dunque c’è anche chi può non pagare nulla?
Sì, ci sono persone che accedono alla terapia senza avere la possibilità di pagarla.
Poi come funziona?
Tutti i contributi finiscono in un fondo comune, che poi deve bastare a pagare i gettoni di presenza agli psicoterapeuti, che sono di importo fisso e di esigua entità. L’intenzione è quella di rendere l’ambulatorio sostenibile, cioè che alla fine si arrivi a pareggiare i conti, coprendo le terapie offerte a chi non può pagare con il contributo di quelli che hanno spontaneamente versato un po’ di più.
E ci state riuscendo?
Ancora non abbiamo chiuso il bilancio del primo anno di attività. Tuttavia abbiamo stimato che l’80% dei pazienti è contribuente, mentre l’altro 20% è non contribuente. All’attivo abbiamo già 150 pazienti e 110 terapie attive. L’intento è riuscire a finanziare in questo modo un servizio che però non penalizzi la qualità del servizio offerto.
Qual è il metodo di lavoro?
Abbiamo scelto la formula dell’ambulatorio per avvicinarci a un’idea istituzionale: non si tratta cioè di uno studio associato dove ogni professionista gestisce i suoi pazienti, ma di un centro dove si discute insieme di tutti i casi e di tutte le terapie. Questo per ridurre quanto più possibile la soggettività individuale del singolo terapeuta. I momenti di confronto sono organizzati in una serie di incontri periodici: una volta a settimana discutiamo tutti insieme dei casi, un’altra volta a settimana c’è la supervisione di tutto, ogni venti giorni organizziamo invece una discussione teorica aperta anche a contributi esterni, perché la psicoterapia non diventi auto referenziale.
Altre caratteristiche dell’ambulatorio?
Oltre che solidale e sostenibile nel senso detto sopra, l’ambulatorio vuole essere accessibile in tutti i sensi, innanzitutto a livello economico, per rendere democratica la psicoterapia, ma anche facile da avvicinare.