Quando il giornalismo e’ Giornalismo: Raffella Cosentino

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Quando il giornalismo risponde alla sua vera vocazione. Quando il giornalista, quello vero, sfrutta tutte le potenzialità della comunicazione del terzo millennio per diffondere la vera informazione. Quella stessa informazione che, nelle speranze di ogni buon reporter, è capace di cambiare le cose.

Lei si chiama Raffaella Cosentino, reporter freelance e documentarista. Ad oggi collabora con la RAI TGR Sicilia, in passato ha collaborato con l’agenzia di stampa “Redattore Sociale” e con Repubblica.it. Il suo campo di interesse, per il quale si impegna in prima persona partecipando attivamente e fisicamente agli eventi trattati, è quello dei diritti umani, dell’ immigrazione e delle mafie. I suoi strumenti, tutti. Dalla carta stampata al documentario, privilegiando il web come campo su cui combattere le sue battaglie. Le battaglie di tutti.  

Con Alessio Genovese ha realizzato “L’ultima frontiera”, film documentario finanziato dalla Open Society Foundations, girato con la polizia di frontiera e all’interno dei CIE (centri identificazione espulsione). Il film, presentato al “Festival dei Popoli di Firenze”, è stato selezionato all’ “International Film Festival di Rotterdam” e al “Festival International du Film des Droits de l’Homme” di Parigi. L’ultimo lavoro è anch’esso un documentario, “Sul Fronte del Mare”, presentato lo scorso ottobre alla decima edizione del “Terra di Tutti Film Festival” a Bologna. Il racconto della frontiera marittima italiana e dei respingimenti dei migranti, filtrato attraverso la testimonianza di un ex poliziotto di frontiera, Nicola Montano.

“Le mie azioni chiamate dal dovere erano contrarie alla mia coscienza. La legge è stata applicata ma la coscienza è rimasta ferita. Non solo la mia, ma quella di ognuno di noi” è l’amara considerazione di Nicola Montano.

Un documentario che dipinge il nuovo olocausto con l’insolenza delle immagini e la crudele verità delle parole. Il Mediterraneo è presentato nella sua veste più oscura, lontano dalle immagini da cartolina per raccontare il suo essere letale. L’Europa è così protagonista con le sue chiusure, i suoi rifiuti. Una scenografia composta di barconi, centri di accoglienza, tir, ghetti e confini. L’Italia, una frontiera che ha il sapore della salvezza, seppur momentanea.

Noi de ilcarrettinodelleidee.com abbiamo intervistato questa giovanissima reporter che fa ancora ben sperare in un futuro in cui la comunicazione e la corretta informazione possano rispondere alla propria natura.

Da cosa nasce il desiderio di fare dei diritti umani il tuo primo campo di interesse?

Sappiamo tutti che le violazioni ai diritti umani avvengono in molte parti del mondo, ma è ancora più grave quando si verificano nel mondo cosiddetto democratico. E’ stato questo che mi ha portato ad interessarmi ai diritti umani e a concentrare la mia attività nel mio Paese. A spingermi a questo è stata anche la mia fede. Nel 2008 mi sono convertita al buddhismo. Da questo ho imparato a considerare i diritti umani e il diritto alla felicità di tutte le persone come mia prima preoccupazione. Ho cominciato come freelance, andando contro tutti coloro che mi scoraggiavano sottolineando l’impossibilità dell’impresa. Negli anni, lottando e continuando il mio operato, ne ho fatto la mia specializzazione. E’ diventato tutto parte della mia vita. Non mi sono mai stancata di occuparmi di questo. Ritengo che il giornalismo serva a questo: a dare voce agli ultimi, a recuperare gli equilibri nella società.

Quali sono stati gli incontri che ti hanno aiutato nella tua attività? Quali gli eventi che ti hanno ispirata?

Con il tempo e con l’andare avanti della mia attività ho avuto modo di incontrare altre persone interessate come me ai diritti umani e alle problematiche relative ai migranti. Uno degli incontri più significativi è stato quello con Nicola Montano, il protagonista del documentario “Sul fronte del mare”. E’ un ex poliziotto di frontiera che nel corso della vita ha visto e vissuto molte cose. Ha scritto un libro, “Ladri di stelle”. Dalla lettura del testo, mi è inizialmente venuta l’idea di proporgli un’intervista video. Il tutto si è poi trasformato in questo documentario. L’idea di passare dall’ intervista al documentario nasce dal fatto che io, pur essendo una giornalista professionista, non mi sento né una giornalista né una documentarista. Non mi sento rinchiusa in nessuna di queste definizioni nette. Succede che, tramite il giornalismo, incontro persone che mi spingono all’azione. Come successe con Nicola, al quale mi rivolsi perché interessata alla questione del ‘centro identificazione espulsione (CIE)’ di Bari. Nicola, che insieme all’avvocato Luigi Paccione e all’avvocato Alessio Carlucci ha fondato l’associazione ‘Class Action Procedimentale’, ha intentato una causa innovativa contro il Ministero dell’Interno per la chiusura del centro di Bari che viola i diritti umani ed è, secondo la loro tesi, un carcere extra ordinem. Ho seguito quindi la cosa per anni e ho voluto riportare le varie testimonianze con il linguaggio del documentario, grazie al quale si perde la mediazione logica giornalistica e la persona può così parlare direttamente con il pubblico, affidare agli altri la propria storia, in maniera diretta”.

Quali sono stati i peggiori casi di violazione dei diritti umani che ti è capitato di documentare?

Moltissimi casi di questo tipo di violazione li ho riscontrati nei centri di identificazione ed espulsione. Ho realizzato un precedente documentario che si chiama “Eu 013, l’ultima frontiera”, dedicato alle minoranze e ai rom. Inoltre a maggio sono stata per 3 settimane a largo della Libia sulla nave di soccorso profughi ‘Aquarius’ con ‘Medici senza frontiere’ . Da lì ho potuto testimoniare il dramma del traffico degli esseri umani, della chiusura delle frontiere che rende impossibile arrivare in Europa legalmente e, di conseguenza, necessario affidarsi a veri e propri trafficanti di vite“.

Tratta dei minori. Quanto hai vissuto di questo?

L’anno scorso ho seguito per 6 mesi la questione dell’immigrazione  minorile della BBC, una inchiesta condotta in team con la caporedattrice europea della Bbc, Katya Adler, in cui io ero anche producer. In un viaggio dalla Sicilia a Roma e fino in Abruzzo, abbiamo seguito 6 minorenni egiziani che si prostituiscono alla stazione Termini e altre minorenni nigeriane che si prostituiscono in Abruzzo. La situazione è drammatica. Dal nostro intervento sono venute fuori tante altre storie, denunce, reportage, statistiche. In tutto questo nessuno sembra voler fare nulla e nel frattempo in quest’anno il numero di minori arrivati via mare è cresciuto in modo esponenziale. All’interno della crisi che stiamo vivendo questo è sicuramente l’aspetto più urgente da affrontare“.

Come ti ha cambiato la vita l’aver vissuto queste esperienze?

Sicuramente vivo una certa difficoltà nell’ affrontare i problemi ‘standard’ che appartengono comunemente ai giovani. Vedere persone che si disperano per apparenti banalità, al cospetto di migranti che giungono qui spinti da motivazioni veramente autentiche, eroici nel loro sforzo di cambiare la propria vita, crea sicuramente una certa difficoltà. Noi spesso ci arrendiamo al primo segno di impedimento. Vivo una vera e propria difficoltà di comprensione.

E’ però innegabile la diffusione, tra i giovanissimi, di una grande sensibilizzazione verso queste problematiche.

Sicuramente. E mi viene da dire anche a livello europeo. Ma ad esempio sulle navi di soccorso gli elementi italiani sono davvero pochi. Vengono da tutto il mondo perché sentono che questa problematica li riguardi. Mi è capitato di realizzare un’inchiesta in cui ho trattato di tanti ragazzi francesi che hanno abbandonato le navi da crociera o le navi di ricerca petrolifera per impegnarsi nelle operazioni di recupero e soccorso perché sentivano il tutto come una problematica che li riguardasse in prima persona. Mi auguro che non sia sempre così. Che continuando a raccontare queste storie ci siano sempre più italiani che si interesseranno a queste attività. Sicuramente anche ad oggi ce ne sarà molti. In Italia ci sono moltissimi grandi esempi di accoglienza e di aiuto. Cito sempre l’esempio di Agata Ronsivalle, che a Catania, per due anni, insieme ad altri volontari, si è occupata di circa 50 mila siriani. Persone che, di punto in bianco, hanno dedicato due anni della propria vita a questo. O ancora Carla Trommino, l’avvocato di Siracusa che si occupa dei minori non accompagnati, evitando loro di cadere nella rete della tratta di esseri umani. Esempi in Italia ce ne sono tanti”.

Parliamo con la giornalista. Ad oggi si parla di grande giornalismo, di grande qualità. Ma poco interesse, poca attenzione verso le fasce deboli. Che appello ti sentiresti di lanciare a un giovane che si affaccia al mondo del giornalismo?

Sicuramente di fare ciò che piace. Quando siamo impegnati in qualcosa che ci appassiona i risultati sono migliori. La mia esperienza mi fa dire che se quello che ti piace si unisce alla possibilità di aiutare gli altri e di migliorare la società i risultati sono sicuramente più grandi di ciò che ci si possa aspettare. Siamo abituati alla rassegnazione, a pensare che non possiamo cambiare le cose. Io penso che un redattore non possa non essere ‘sociale’. A differenza di quanto si pensi, l’Italia si trova al centro del più grande fenomeno storico del momento. Studiarlo e interessarsene è sicuramente una grande occasione”.

GS Trischitta

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