Quegli occhi neri che hanno già lottato tanto

Dietro lo sguardo che incrociamo per strada, c’è sempre una storia che merita di essere raccontata. E dietro quei grandi occhi neri, c’è una grande forza che ricaccia dentro le lacrime e lascia trasparire solo un leggero bagliore. Sono gli occhi di Fatima Amassafi, che abbiamo conosciuto negli scorsi mesi solo come la vedova Ricciardi. Una giovane madre di 23 anni che ha visto “crollare” il marito tra le proprie braccia mentre insieme si trovavano in Marocco per dare sepoltura al corpo del padre, colpito da un infarto a Messina. Una famiglia marocchina pienamente integrata nel quartiere, una giovane donna in Italia da 16 anni, una coppia innamorata proveniente da due culture diverse.

«Giacomo mi vide la prima volta quando avevo 15 anni e dopo aver conosciuto casualmente mio padre gli disse: “prima o poi sposerò tua figlia”. Due anni dopo ci siamo ritrovati a prendere un caffè allo stesso tavolo, grazie ad amici comuni. Sei mesi dopo ci siamo sposati ed io portavo in grembo Giovanni, il nostro bambino di tre anni».  Così si racconta Fatima Amassafi, ripescando nella memoria i momenti felici trascorsi insieme al marito, mentre dal 30 marzo scorso non racconta altro che delle infinte lungaggini burocratiche, delle difficoltà e dei muri incontrati nel duro percorso per riportare la salma del marito finalmente a casa. Uno scricciolo di donna, mani irrequiete e parlantina accesa. Voce ferma e sicura, anche se ogni tanto cede a qualche tremore. Incontrandola per strada, una giovane messinese come tante altre, dalla pelle leggermente ambrata. E come altri giovani siciliani, vive ed ha vissuto le criticità di questa terra: lavoro poco e niente, tante difficoltà e precaria condizione abitativa. Eppure una famiglia costruita a soli 19 anni, sfidando la precarietà e l’incertezza.

«Un ragazzo solare, che nella sua vita è “caduto”, ma è riuscito a rialzarsi – racconta Fatima -. Rimasto orfano della madre a 10 anni, è andato subito a lavorare per aiutare a mantenere la famiglia. Viveva col padre disabile e tre sorelle. Morto il padre, all’età di 14 anni, la famiglia si disperde. E’ tornato a Messina a 21 anni, ma ha rischiato di prendere una brutta strada. Giacomo ha raccontato tutto sé stesso, non ha mai nascosto nulla della propria vita. Desiderava creare una famiglia, quella che non è mai riuscito ad avere. E la nostra era una vita semplice, a volte difficile, ma sempre affrontata con dignità. Lui era un posatore di parquet, prima di essere licenziato. Dopo lavori instabili, mal pagati, ma tornava sempre a casa sereno».

Fatima non immaginava che avrebbe fatto conoscere a Giacomo il proprio paese di origine per il funerale del padre. Non immaginava che in Marocco, avrebbe lasciato anche il marito. Ciò che ancora non le dà tregua sono le modalità in cui è successo. Nel giro di venti minuti i primi malori, ma nessuno pensa possa essere un infarto. Quando Giacomo decide di recarsi in ospedale, i dolori diventano ancora più forti. L’ospedale era lontano, quindi decidono di fermarsi in una clinica privata. Giunti alla reception, il tempo di chiamare un medico: «mi sento svenire», dice Giacomo, e crolla tra le braccia della moglie.

«Quella mattina mi aveva chiesto di avere un altro figlio – racconta la 23enne marocchina -. Avrebbe desiderato una femminuccia. Ed il nostro futuro era già tutto rivolto alla casa da sistemare, alla ricerca di un lavoro più stabile, al battesimo del piccolo Giovanni». Fatima è musulmana, come tutta la propria famiglia, ma con Giacomo il credo non è mai stato un ostacolo, anzi un valore aggiunto, un collante. Il rito civile, l’abito bianco e la decisione di far scegliere al figlio quale credo professare una volta cresciuto. Ma anche una gravidanza difficile ed un intero mese al reparto di terapia intensiva neonatale: da qui la decisione di dare il sacramento del battesimo al figlio, per amore di Giacomo. «Mio marito non ha mai voluto imparare l’arabo, ma a volte quando parlavo con la mia famiglia, lui capiva. “Sei furbo”, gli dicevo sempre».

Eppure il futuro, oggi, non potrebbe essere più incerto per Fatima, la madre e le sue sorelle di 14 e 19 anni. Senza un lavoro stabile e regolare, rischiano di essere dichiarate irregolari e ricevere un provvedimento di espulsione. Perché Fatima non ha mai richiesto la cittadinanza italiana dopo il matrimonio e nonostante vivano in Italia dal 1998, tre anni di occupazione regolare sono un miracolo per tutti. Italiani e stranieri.

«È difficile: io sono fiera di essere marocchina, ma ho costruito il mio futuro qui. Ed anche se una sua parte è volata via, mio figlio è italiano ed è giusto che cresca qui. Se dovessi tornare in Marocco, come faremmo? Non abbiamo più nulla lì. Anche il mio arabo non è dei migliori. Viviamo in un limbo, ma io devo essere forte per mio figlio. E lottare, come ho fatto negli ultimi mesi. Per mia madre e la mia sorella minorenne potrebbe aprirsi qualche spiraglio per un visto umanitario, ma è difficile muoversi in questi ambiti. Valuteremo i percorsi con le assistenti sociali, anche se il comune non ce ne ha affidata ancora una».

Fatima ha perso parecchio peso dopo la tragedia che l’ha colpita. Lo si nota guardando le foto dello scorso anno. «Devo ringraziare gli uomini e le donne che mi sono state accanto – confessa la giovane madre, con voce ferma -. Dall’assistente sociale dell’Asp che mi ha guidata in questi mesi e con la quale abbiamo chiamato la Farnesina, semplicemente consultando un elenco telefonico, ai conoscenti ed agli sconosciuti. Grazie a tutti loro, io non sono sola oggi. Sono stata fortunata, perché tanti altri cittadini messinesi in difficoltà rimangono nell’ombra e nessuno si prende cura di loro. Questo è stato il dolore più grande: la consapevolezza che i diritti rischiano di diventare carta straccia. Per questo provo tanta delusione nei confronti delle istituzioni, perché loro dovrebbero difendere gente come me. A breve, mio figlio Giovanni avrà un luogo in cui portare un fiore al padre e salutarlo: perché lui sa esattamente cosa è successo. Ci è stato messo a disposizione un loculo in una cappella privata e presto Giacomo potrà riposare. L’importante è che lui sia a Messina, adesso. Lì dov’è il suo posto: accanto alla propria famiglia».

Il peggio sembra passato, ma Fatima è ancora irrequieta. Deve trovare risposte per il proprio bambino, per poter rimanere accanto a Giacomo. «Mio figlio, nonostante abbia solo tre anni, ha notato che non mi curo più e mi ha chiesto perché. Allora ho messo un filo di trucco e l’ho portato a mangiare fuori. Perché lui è ciò che mi è rimasto e per lui devo continuare a lottare. Perché sono pur sempre una madre, prima che una vedova, una giovane donna ed una messinese straniera».