QUEL CHE RESTA DELLA VUCCIRIA

Desolazione, silenzio. Pochi, sparuti banchi su cui giacciono accatastati merluzzi e sardine. Poco più in là, un piccolo negozio di spezie, una bottega e un vecchio artigiano intento ad affilare forbici e coltelli, ignaro delle voci dei rari passanti. Questo, ciò che rimane di uno fra i più antichi e conosciuti mercati palermitani, la Vuccirìa. Microcosmo dall’ indiscutibile fascino, ispiratore del celeberrimo dipinto di Renato Guttuso, oggi conservato a Palazzo Chiaramonte.

Il mercato, un tempo articolato da Via Roma a Piazza Marina, oggi conta solo pochi banconi, dai quali acquistare frutta, pesce e aromi. Saracinesche abbassate ormai da tempo, strade semideserte e un’insolita quiete conferiscono all’intera piazza un’aria malinconica, quasi irreale.

I pochi venditori rimasti, ben consapevoli dello stato di decadenza in cui versa quello che per secoli è stato il luogo più frequentato della città, si mostrano rassegnati ad un’inevitabile estinzione della realtà in cui sono nati e cresciuti, ricordando tuttavia con un nostalgico sorriso i giorni in cui il mercato era gremito di gente di ogni genere, in cui la folla era tale da non poter muovere un passo. È ciò che ci racconta Paolino, novantaquattrenne, una vita fra le botteghe ed i profumi della Vucciria. “Non c’è più nulla, è cambiato tutto – ci dice sconsolato – qui non si poteva camminare, c’erano oltre cinquanta negozi, adesso non viene più nessuno”.

Le ragioni di questo evidente declino sono in parte individuate dagli stessi commercianti, fra i quali Angelo, venditore di carta per alimenti. “La crisi – sostiene Angelo – spinge la gente a comprare dove i prezzi sono più convenienti, anche a scapito della qualità della merce. Inoltre il mercato è sempre più difficile da raggiungere: parcheggiare nei dintorni è impossibile ed i mezzi pubblici non sono abbastanza efficienti”.

Fra le cause della lenta ed inesorabile morte della Vucciria viene ancora annoverato l’insorgere di numerosi ipermercati, facilmente raggiungibili, in cui è possibile acquistare articoli di ogni genere, risparmiando tempo e denaro. La vasta gamma di scelta offerta dai supermarket, ormai dotati di reparti in cui trovare capi d’abbigliamento, prodotti per l’igiene domestica e personale e persino farmaci da automedicazione, consentono di reperire ogni cosa in breve tempo, senza un grande dispendio economico.

In un mondo in continua evoluzione, i cui ritmi frenetici non risparmiano che pochi fortunati, anche una passeggiata fra le pittoresche vie dei mercati meridionali rappresenta un lusso che non tutti possono concedersi. “Un tempo le cose erano diverse – ricorda Angelo con un sospiro – la gente aveva più tempo, si fermava per ore, incantata da profumi mai sentiti. Mio zio, emigrato a Torino, non ha mai dimenticato questo posto, non ha mai smesso di sentirne la mancanza”.

Un’ultima ragione del tramonto di realtà come la Vucciria, sorta in epoca angioina ma sviluppatasi nell’ultimo ventennio del Settecento per iniziativa del Viceré Domenico Caracciolo, è da ricercarsi nell’opera di riqualificazione urbana promossa dal Comune di Palermo. Nel corso degli ultimi anni, difatti, si sta tentando di trasformare il volto della città, partendo proprio dal centro storico, cuore pulsante del capoluogo, da troppo tempo in uno stato di incuria e trascuratezza. La ristrutturazione di palazzi d’epoca, la valorizzazione di opere architettoniche di indubbio valore e la promozione di attività volte ad incentivare il turismo portano inevitabilmente all’occultamento, più o meno volontario, di altre realtà, ambienti forse non elitari né prestigiosi, ma forse i più rappresentativi di una Palermo le cui radici arabe non possono e non devono essere celate.

Ci domandiamo dunque se sia giusto che gli odori, i colori del suggestivo mercato palermitano vengano sacrificati, se il viavai di turisti e compratori, intenti ad osservare le più disparate merci un tempo esposte nelle innumerevoli botteghe sia destinato ad estinguersi. Come rassegnarsi d’altronde alla decadenza di un luogo in passato considerato talmente affascinante da ispirare un’opera d’arte? Come accettare il tramonto di una fra le realtà più caratteristiche del capoluogo siciliano, sospeso tra progresso e tradizione, memoria e innovazione?

Le balate della Vucciria si sono ormai tristemente asciugate, come i suoi profumi. Non resta che sperare che non sia per sempre.

 

Giorgia Medici