Mancano quindici giorni alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari di tutta Italia. La Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficienza e l’efficacia del Servizio Sanitario Nazionale, guidata dal senatore Ignazio Marino, ha messo la data di scadenza agli Opg, “vergogna del sistema giudiziario”: 31 marzo 2013.
Cosa accadrà dopo? Questa è la domanda che angoscia gli addetti ai lavori. Perché il decreto che ha deciso la chiusura delle strutture – otto in tutta Italia – dà per scontate molte cose che, in realtà, non ci sono e non si potranno realizzare in tempi brevi.
Innanzitutto una premessa: prima dell’intervento dei senatori Marino, Casson e Maritati, la cosiddetta legge “svuota carceri” non modificava di una virgola la situazione degli Opg. La loro chiusura è stata inserita in un emendamento presentato dai tre parlamentari e approvato insieme al decreto.
Correva il febbraio 2012 e la legge dava un anno di tempo alle Regioni interessate per attrezzarsi ad accogliere in altre strutture i detenuti (circa 1200) degli ospedali psichiatrici giudiziari in via di chiusura.
A far scoppiare lo scandalo erano state le condizioni inumane in cui la commissione aveva trovato detenuti i degenti degli Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino e dell’Aquila: stipati in celle piccole e malsane con più letti a castello, senza l’assistenza medica psichiatrica di cui necessitavano, prede di atti autolesionistici.
Alcuni denunciavano di essere chiusi lì da anni, con la loro pena prorogata di scadenza in scadenza. Altri sostenevano di essere finiti nell’opg per reati minori, che nulla avevano a che vedere con il disagio mentale.
«Gli Opg non sono mai stati funzionali alla cura, sia dal punto di vista strutturale, sia dal punto di vista clinico – spiega Pippo Rao, direttore del dipartimento di salute mentale di Milazzo e Lipari – Il fatto politicamente importante è la chiusura degli Opg, però il decreto prevede che il dipartimento di sanità prenda in cura queste persone e le reintegri nella società».
Oppure, continua Rao, c’è la previsione di «nuove strutture territoriali, di non più di 20 posti ciascuna, che accolgano le persone con disturbi della personalità e sociopatiche». Una soluzione ideale per mantenere un controllo discreto sui pazienti e non mettere in pericolo loro e il personale sanitario.
Ma queste strutture non ci sono ancora, e non si capisce come in una situazione di drammatica crisi economica si possano reperire i soldi per costruirle ex novo. «La scommessa è doppia: sia per le risorse, che non sono state ancora trovate, sia per la scadenza del 31 marzo, che non potrà essere rispettata» sentenzia Rao.
«Gli Opg sono stati la pattumiera sociale d’Italia – si rammarica Nunziante Rosania, direttore della struttura di Barcellona Pozzo di Gotto – Qui sono state rinchiuse persone accusate di reati minori insieme ad altre con reati ben più gravi sulle spalle, per il solo fatto che erano difficilmente gestibili dalle famiglie e dai servizi sociali».
Si è creata così una commistione che non ha fatto bene né ai primi, né ai secondi, e che ha messo in grave difficoltà il personale medico. Ed è stata questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha fatto indignare i membri della commissione parlamentare e l’opinione pubblica.
«Noi fino al 2008 avevamo 160 degenti distribuiti in cinque ampi padiglioni e una equipe medico-infermieristica per ogni reparto invece del solo pronto soccorso – ricorda Rosania – Ma quando sono stati chiusi altri Opg i degenti sono stati mandati qui, causando un aumento del 50% dei detenuti di Barcellona, soprattutto di persone i cui processi psicologici erano in stato terminale, vicini alla demenza». Ecco la genesi del “pasticciaccio”, come lo chiamerebbe lo scrittore Carlo Emilio Gadda.
Ma torniamo alla domanda principale: cosa succede adesso che è stata fissata la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari? «Rischia di essere la Waterloo del sistema sanitario e carcerario se non si mettono in campo le risorse che servono – pronostica Rao – C’è una grossa percentuale di utenti degli Opg che va assistita ma anche controllata. Bisogna intervenire in maniera seria e non demagogica, perché parliamo di persone che si portano dietro un bagaglio di esperienze dure, compreso un carico fatto dalle loro famiglie e dalle vittime delle loro azioni».
Il paradosso è che la maggior parte di queste persone non hanno bisogno di essere detenute in Opg, come spiega Rosania: «La misura di sicurezza detentiva nell’ospedale psichiatrico giudiziario dev’essere ridotta al minimo, poi il protocollo prevede la valutazione della pericolosità sociale del soggetto. Solo se accertata questa pericolosità si può reiterare la detenzione. Noi spesso dichiariamo il paziente dimissibile, ma il magistrato di sorveglianza ci impone di trattenerlo perché mancano i servizi sociali che lo dovrebbero prendere in carico».
L’accusa che viene rivolta da Rosania alla commissione Marino è di aver «voluto vedere solo il peggio e andar via, senza soffermarsi sulla realtà delle cose per ottenere consenso politico». Un’accusa che viene anche dai Radicali. La loro esponente Rita Bernardini, in visita al carcere di Gazzi a febbraio, si chiedeva: «Dove andranno a finire queste persone, che hanno bisogno di cure psicologiche? Il rischio è che vengano trasferiti in altri Opg che resteranno aperti a chissà quanti chilometri di distanza dalle loro famiglia. Però abbiamo fatto il bel gesto di chiudere gli Opg».
Nel mezzo di questo disastro, della gestione sempre legata alle emergenze della cosa pubblica in Italia, ci sono persone fragili con la sola colpa di aver commesso reati a causa della loro malattia mentale. Di loro e del loro futuro ancora non si sa nulla.