Quel Si di Francesca

Francesca lo sapeva mentre pronunciava il suo “si” che quella cerimonia non la avrebbe solo unita per sempre all’uomo che lo amava. Quel “si” era un “si” a una strada che le avrebbe limitato per sempre la più elementare libertà quotidiana. Quel “si” era un “si” a un futuro in cui le rinunce sarebbero state di gran lunga maggiori ai privilegi e alle soddisfazioni. Quel “si” era un “si” ad un percorso costernato da rischi e paure; Ma quel “si” Francesca lo disse con convinzione e senza remore e mai se ne pentì
Chissà se durante quella cerimonia Francesca pensò a tutte queste cose? Probabilmente no; Anche se consapevole dei risvolti della sua scelta, in quel caldo momento d’estate del 1986, il suo sguardo e i suoi pensieri erano probabilmente dedicati solo a quell’uomo coi baffi che qualche anno prima le aveva rubato il cuore e che ora stava per suggellare con lei quella sacra unione che avrebbe fatto dei loro futuri un unico percorso. 
Il matrimonio tra Giovanni Falcone e Francesca Morvillo non fu un evento mediatico e nemmeno mondano e venne celebrato di notte alla presenza solo dei quattro testimoni; Entrambi reduci da relazioni andate male, i due neo sposini avevano ritrovato nell’altro le emozioni e le passioni che solo “l’amare ed essere amati” può regalare, e quella notte riuscirono a dimenticare tutto il resto, il lavoro, i processi, i pentiti, i mafiosi e i tribunali, per dedicare quel momento solo a loro stessi e Francesca quella notte pensò solo a quell’uomo coi baffi.
Quell’uomo coi baffi era il giudice antimafia più a rischio d’Italia, era un giudice minacciato dai mafiosi e osteggiato nei suoi stessi uffici, era un giudice testardo e determinato che aveva scelto un percorso pericolosissimo. Quante volte Francesca avrà pensato a quella frase del pentito Tommaso Buscetta: “Giudice Falcone, il conto che lei ha aperto con Cosa Nostra si potrà chiudere solo con la sua morte”?
Oppure a un’altra frase del commissario Ninni Cassarà “noi siamo tutti cadaveri che camminano”?
Quante volte, negli anni a seguire, Francesca si sarà angosciata ogni volta che il telefono di casa squillava o a causa di un qualsiasi ritardo del marito nel rientrare a casa?
Francesca sapeva a cosa andava incontro ma quel “si” lo disse con convinzione e senza remore.
Era un magistrato anche lei e lavorava al tribunale dei minori e conosceva quindi gli ambienti ostili in cui il marito era costretto a svincolarsi tra lettere anonime, delegittimazioni e isolamento.
Francesca ha letto in seguito la lettera della vicina di casa che, preoccupata che un eventuale attentato danneggiasse i muri della palazzina di via Notarbartolo, auspicava il trasferimento suo e del giudice Falcone in un sito periferico della città. Cosa avrà pensato Francesca la prima volta che nella tromba delle scale o nel marciapiede davanti casa si ritrovò faccia a faccia con quella vicina?
Forse episodi come questo non li aveva messi in conto; o forse si; in ogni caso quel “si” lo aveva detto con convinzione e senza remore e non si pentì mai di averlo fatto.
A detta di molti, e non per la felicità di tutti, Il giudice Falcone era un instancabile lavoratore e allora è facile immaginare Francesca che al rientro a casa guarda il marito stanco e lo fa accomodare con dolcezza a tavola per servirgli la cena ascoltando le sue ultime novità, mentre uomini della scorta presidiano dentro e fuori il palazzo di via Notarbartolo.
Una libertà ridotta al lumicino. Mai una passeggiata in centro, mai un pomeriggio di shopping, mai una giornata al mare in mezzo alla gente. Francesca aveva rinunciato a tutto questo e per le vacanze aveva trasferito la sua routine e le sue emozioni all’Addaura in una casa affittata per l’occasione. Ma anche lì la paura andò a trovarla, materializzandosi in una borsa piena di esplosivo nascosta tra gli scogli.
Anche questo aveva messo in preventivo quella notte Francesca? Difficile dirlo… ma comunque quel “si” lo aveva detto con convinzione e senza remore e mai se ne pentì.
Quando il giudice Falcone si trasferì a Roma lei iniziò a vederlo di meno, dovendo restare a Palermo, ma forse l’illusione che il nuovo ruolo del marito lo avrebbe apparentemente tutelato da nuove minacce e progetti di morte la aiutò a vivere con serenità quel periodo. Era lontana da lui ma sempre vicina, coi pensieri e con il cuore.
Più vicina che mai al marito, Francesca lo fu infine il 23 maggio 1992.
In quella macchina ebbe il tempo di farsi l’ultima risata quando il giudice, scherzosamente, sfilò le chiavi dal volante fingendo di dover staccare dal mazzo le chiavi di casa. “Giovanni… che fai? Cosi ci ammazziamo!”. 
Poi la lancetta dell’orologio scatto sulle 17.58 e l’autostrada si alzò verso il cielo accompagnata da un boato tremendo.
Il tasto sul telecomando era stato premuto; ‘U Curtu’ aveva già da tempo sentenziato; Il verdetto era stato rispettato; Quel giudice doveva morire! Quel giudice la doveva finire di rompere le scatole! 
All’Ucciardone si sprecarono i brindisi per festeggiare l’infausto evento mentre, prelevata in ambulanza, Francesca cercò inconsciamente di non mollare nemmeno quel giorno. 
Trasportata prima all’ospedale Cervello e poi d’urgenza nel reparto di neurochirurgia dell’ospedale Civico, resistette ancora sette ore prima di abbandonarsi nelle braccia del Signore intorno alle 23.
Questo si Francesca lo aveva messo nel conto; questo sapeva che poteva succedere;
Ma quel “si” Francesca lo aveva detto con convinzione e senza remore e mai se ne pentì..