Culu niru, così veniva chiamato Giuseppe Mulè data la carnagione scura.
Un volto dagli occhi fieri celava una storia raccapricciante e, allo stesso tempo, rivelava le numerosissime condanne che non avrebbero fatto dormire sonni tranquilli a chiunque avesse avuto un minimo di coscienza. Coscienza, forse sta proprio qui il punto. Che coscienza può avere un pluriomicida condannato al 41 bis? Probabilmente nessuna. Eppure agli occhi dei suoi seguaci resterà sempre un signore, termine attribuitogli in uno dei commenti lasciati all’articolo di Tempostretto in cui viene annunciata la sua morte: “anche da morto rimarrai sempre un signore riposa in pace”. Commenti in cui è possibile analizzare uno spaccato della vita sociale di Messina, uno spaccato che a volte si preferisce non vedere, uno spaccato che a volte si preferisce ignorare, ma pur sempre uno spaccato che esiste e in cui molte, forse troppe persone sono strettamente coinvolte.
Giuseppe Mulè è morto il 15 Novembre 2010, all’età di 53 anni all’ Ospedale Maggiore di Milano.
Malato di aids, più volte ha sfruttato la sua malattia per far chiedere ai suoi avvocati la scarcerazione, ma il suo atteggiamento non ha mai convinto la magistratura che riteneva l’Aids una scusa per evitare la reclusione.
Nonostante le accuse dei vari pentiti e i 15 anni trascorsi in carcere, il boss di Villa Lina non ha mai collaborato con la giustizia, ha seminato il terrore a lungo nelle sue zone e anche dall’ospedale stesso, in cui era stato ricoverato per Aids, continuava a estorcere il pizzo ai commercianti. Come quasi tutti i boss mafiosi, è cresciuto sotto la protezione dei “pezzi grossi” del quartiere, iniziando la sua carriera mafiosa con estorsioni e spaccio di droga e concludendola con diversi assassinii. La prima condanna all’ergastolo è arrivata nel 1995, a 38 anni, per l’omicidio di Letterio Rizzo, la seconda è arrivata 10 anni dopo, in seguito all’uccisione di 4 persone nella faida tra i clan mafiosi Mancuso-Rizzo e quello di Villa Lina. L’aids gli è stato diagnosticato proprio in questo periodo, periodo in cui ha inizio la sua lunghissima battaglia legale per ottenere la scarcerazione, secondo i suoi legali, necessaria considerate le sue gravi condizioni di salute. Evasioni e trasferimenti tra Messina e Milano hanno caratterizzato la sua vita da questo momento in poi, fino al 10 Giugno del 2009, giorno in cui la Corte d’Appello gli ha inflitto 16 anni per l’uccisione di Salvatore Caruso, suo compagno di cella.
È morto a Milano, lasciando alle sue spalle tanto sangue e tanto dolore, e nonostante questo ha ricevuto dei funerali grandiosi. È proprio questo dettaglio, passato del tutto inosservato all’occhio critico della stampa cittadina, che evidenzia la sua valenza all’interno della società messinese, valenza sottolineata anche dai diversi commenti lasciati al sopracitato articolo: “Pippo muristi da ranni”, “Pippo sei sempre nel mio cuore e nei miei pensieri”, “pezzi di ***** a tutti quelli che parlano male del signor mulè spera Dio che vi condannerà da morto”.
Allora viene spontaneo chiedersi perché mai la morte di un pluriomicida dovrebbe suscitare dolore? A rispondere sono sempre i commenti: “penso che tutta questa onesta ansi onestissima gente prima di giudicare dovrebbe cercare innanzi tutto di pensare che dietro a quel mafioso c’ era un uomo un figlio ed un padre…se non avete rispetto per lui abbiatelo per la famiglia….e onestissima gente cuor di leone perché lo dite solo ora che è morto???bigotti dei miei stivali!!!!ORA LASSU’ C’E’ UNA STELLA CHE BRILLA PIU’ DELLE ALTRE….PIPPO MULE’ la nipote”. “Perché lo dite solo ora che è morto?” Si chiede Daniela Mulè, ma la risposta dovrebbe essere abbastanza semplice: per paura. Giuseppe Mulè, infatti, seminava il terrore nella gente, seminava dolore, rabbia, lacrime e dispiacere, descritto da molti come una persona senza cuore la sua morte è stata una liberazioni per quei commercianti che erano schiavizzati dal pizzo.
“Era meglio se non nascevi”, “Sono un commerciante di Messina, taglieggiato da questo ***. Quando ho sentito la notizia ho detto SI dalla gioia. Non avete idea del male che ha fatto in Via Palermo, e quante minacciate, sono dovute andare a *** per non dare problemi ai genitori o altro. Una *** in meno. Ora ci penserà Dio, con lui non sarà un Boss! Solo una cosa, poteva ***, a nessuno mancherà.” , “Risulta dunque comprensibile che l’eliminazione di una cellula cancerogena non possa che far provare gioia a chi ogni giorno si trova a combattere contro una malattia così grave. La rabbia, la violenza, l’odio, non sono verso Mulè persona, ma verso Mulè mafioso. E quest’ultimo non penso che sia difendibile da chicchesia… Quindi se a livello umano potrei partecipare al tuo dolore, come messinese e imprenditore non posso altro che esultare di gioia!!!” ,“Leggo i commenti che lodano questo mafioso e mi rendo conto che la forza della malavita messinese sta proprio in questa forma di reverenza nei loro confronti da parte della gente comune. I delinquenti vanno trattati come tali. I veri eroi sono i poliziotti e i carabinieri che ogni giorno rischiano la vita per mille euro al mese.”
I veri eroi non sono i bulli di quartiere, i veri eroi non sono coloro che armati fino ai denti chiedono il pizzo a commercianti e imprenditori, i veri eroi non sono coloro che uccidono, torturano, puniscono chi si ribella alla loro volontà, i veri eroi non sono coloro che commettono omicidi per far rispettare il proprio onore. Questi sono mafiosi, non importa che appartengano alla ‘ndrangheta, alla sacra corona unita o alla camorra, questi sono mafiosi che hanno ucciso, sterminato centinaia di persone, questi sono mafiosi che hanno creato solo dolore e hanno schiavizzato i deboli. I veri eroi sono i poliziotti e i carabinieri, i veri eroi sono coloro che si ribellano alla malavita, i veri eroi sono coloro che pur essendo nati in quartieri malavitosi riescono a non entrare nel giro, i veri eroi sono coloro che denunciano padri, zii, nonni, fratelli e amici perché hanno commesso reati, i veri eroi sono coloro che hanno paura ma ugualmente rischiano la vita per la giustizia.