Re Giorgio e la strada verso il Presidenzialismo all’italiana.

Richiamo al romanticismo della prassi istituzionale a parte, l’Italia s’è desta, ha il suo tredicesimo Presidente della Repubblica, un Presidente che succede a se stesso per la prima volta nella storia repubblicana del Bel Paese.

Puntuale il discorso di insediamento del Capo dello Stato a Montecitorio, dopo vent’anni di scontri e nulla di fatto, Giorgio Napolitano inaugura il suo nuovo mandato al Colle senza sottacere amarezze, difficoltà e regressioni politiche che hanno toccato l’apice nel balletto dei numeri e del pallottoliere delle urne per le diverse candidature al Quirinale. Sembrano queste le espressioni principali che hanno mosso i passaggi di Giorgio Napolitano davanti ai grandi elettori che lo scorso 20 aprile lo hanno pregato nei fatti di restare il “Presidente degli Italiani”.

”Le sfide e le prove che abbiamo davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto. Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando”. E’ un passaggio dell’intervento pronunciato da Giorgio Napolitano, in cui cita un suo intervento dell’agosto 2011 sottolineando che sono parole ancora attuali di cui farsi carico nell’immediato. Esistono momenti nella storia, parafrasando Napolitano, in cui ci si sveste del proprio ruolo politico per scelte condivise e utili a rasserenare il Paese. ”Imperdonabile resta – per il Presidente della Repubblica – la mancata riforma della legge elettorale”la cui mancata revisione “ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell’abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare”.

Mancherebbero i commenti di costituzionalisti di lungo corso, alternatesi nelle trasmissioni di approfondimento non nascondendo la perplessità del momento e l’opportunità o meno di Napolitano di aver avvallato una disponibilità a restare che la Costituzione non prevede ma neanche sconsiglia dinnanzi ad una fase grave e difficile per il Paese.

Toni istituzionali dimessi. Dalle forze politiche si sollevano apprezzamenti diffusi. ”Il discorso piu’ ineccepibile e straordinario che io abbia mai sentito in 20 anni”. Lo afferma Silvio Berlusconi commentando il discorso di Giorgio Napolitano a Montecitorio. ”Napolitano ha detto quel che doveva dire, con un discorso di una efficacia eccezionale”. Cosi’ Pier Luigi Bersani.

Per l’importanza delle decisioni da prendere, Napolitano invita le forze rappresentate in Parlamento, senza alcuna eccezione, a dare comunque ora il loro apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del Paese, “senza temere di convergere” sulle soluzioni.

Un passaggio su tutti ha colto lo stato d’animo di milioni di italiani alle prese con la crisi economica e lo sconforto generale. ”Non possiamo restare indifferenti dinanzi a costruttori di impresa e lavoratori che giungono a gesti disperati, a giovani che si perdono, a donne che vivono come inaccettabile la loro emarginazione o subalternita”’. Lo ha detto il capo dello Stato, a proposito della condizione del lavoro.

Sulla questione della rete, il cyberspazio in cui si sono consumate nell’ultimo anno i confronti-scontri più incalzanti (fenomeno Cinque Stelle e primarie del centrosinistra in testa). Napolitano è stato accortissimo: ”La rete” offre inedite possibilita’ politiche, ”ma non c’e’ partecipazione realmente democratica” senza il tramite di ”partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all’imperativo costituzionale del ‘metodo democratico”’. Lo sforzo del Presidente sarà, quindi, quello di essere interprete della volontà di cambiamento dei cittadini per vigilare sul sistema dei partiti che ha relegato allo stallo l’intero paese.

L’appello rivolto alla politica è senza dubbio coriaceo, sottolieato anche dal contributo emotivo del Napolitano “padre della Repubblica”. Un appello alla responsabilità a cui, difficilmente dopo il discorso di oggi, i partiti, compreso i cittadini Cinque Stelle, non potranno disattendere.

Tono autorevole, magistrale, eloquente del rieletto Giorgio Napolitano. Un discorso che, insieme a quello di Laura Boldrini, segnerà non solo la prassi istituzionale di questi giorni ma gli atti di una storia repubblicana che ancora sa dare voce alle più sagge espressioni politiche. 

Tra le azioni urgenti dell’agenda proposta al futuro governo da parte del Capo dello Stato, la sollecitazione per “affrontare disoccupazione giovanile e drammi degli imprenditori che giungono a gesti estremi”. Parallelamente al processo riformatore invocato, ai parlamentari ha ricordato di essere depositari della volontà popolare e i tratti di sincera commozione del Presidente ci ricordano come politica, morale e passione si possano ancora incontrare.

Napolitano accoglie la rielezione per dare all’Italia il Governo che le serve, come ha inteso esprimere lui stesso fungendo da “fattore di coagulazione”. Al Parlamento, quindi, il compito di ridare ossigeno alle Istituzioni.

UnPresidente della Repubblica che succede per la prima volta a se stesso inaugura oggi nei fatti il presidenzialismo all’italiana, quasi ad evocare altre storie che, in un momento di crisi simile a quella attuale per l’Italia, avevano chiesto a uomini navigati divenuti dopo statisti di riprendere in mano le sorti della propria nazionale. Charles De Gaulle, nonostante i precedenti mandati, diede vita in Francia alla Quinta Repubblica, della quale fu primo presidente con pieni poteri.  In quattro anni, dal 1958 al 1962, il generale scrisse una nuova Costituzione, instaurò un regime presidenziale, chiuse definitivamente la questione algerina e fece capire a tutti che la Francia, da quel momento, sarebbe stata un partner credibile, orgoglioso, fiero e, soprattutto, da corteggiare. De Gaulle, in particolare, propose un emendamento agli articoli 6 e 7 della Costituzione per consentire l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, nonostante la forte opposizione di quasi tutte le forze politiche rappresentate all’Assemblea nazionale. Una situazione non molto diversa da quella di casa nostra. Si arriverà a tanto?

Intanto, auguri a Re Giorgio.