Alberto Pellai, tra i più conosciuti psicoterapeuti italiani dell’età evolutiva, commentando la notizia delle chat sui social dove vengono diffuse le immagini di ragazze e donne in intimità inquadra il fenomeno come “bisogno di riprendere il controllo della situazione”.
Chi lascia di fatto si sottrae al potere di controllo del partner che, attraverso la denigrazione pubblica, la potenza del male inflitto sull’altro facilmente ottenuta sui social, torna a sentirsi potente.
I social poi, in questo caso come in generale in ogni contesto, funzionano come bolle limitando, attraverso scelte consapevoli o meno, lo scambio di interazioni a chi ha sensibilità simili alle nostre. Un po’ come nuotare sott’acqua di notte: si vede solo ciò che la nostra torcia illumina.
La prima scrematura la esercitiamo scegliendo chi seguire o da chi farci seguire, poi inserendoci in gruppi o chat tematiche – proprio come quelle denunciate da Wired -, il resto lo fanno le nostre interazioni che spingono gli algoritmi a mostrarci solo alcune tematiche o persone. Vi siete mai accorti che le vostre timeline vi mostrano quasi sempre gli stessi profili o gruppi? Un meccanismo pericoloso perché, come hanno dimostrato gli studiosi, favorisce la radicalizzazione delle proprie idee.
Accade per la politica ma anche per il gioco, gli hobby e naturalmente le relazioni.
Chi frequenta una chat esplicitamente dedicata alla pornografia con una decisa connotazione sessista, ha già fatto una scelta di campo, con maggiore o minore convinzione.
Confrontarsi con altre persone di orientamento analogo, che l’anonimato ha sostanzialmente liberato da limiti e regole, non potrà che rafforzare quella posizione o tutt’al più spingere chi si sente estraneo a quelle dinamiche ad abbandonare quei gruppi. Chi vi resta, con autentico convincimento o solo per iniziale goliardia, partecipa poi alle dinamiche del gruppo che diventa una sorta di zona franca dove sparisce l’autocontrollo e scatta il meccanismo della sintonizzazione dei partecipanti su un medesimo mood.
A questo punto si potrebbe invocare un maggiore controllo sui social, leggi più stringenti. Ma come gli esperti fanno notare, mettere le manette ai social o al web è impossibile o altamente rischioso perché quando si dà il via alla censura, non si può sapere dove si fermerà e come verrà usata.
In compenso, come ricorda Pellai, c’è sempre l’arma della cultura. Perché alla base di quei gruppi e di quelle come di altre reazioni nei confronti delle donne, c’è un un pensiero sessista, patriarcale, maschilista incentrato sul possesso dell’altro.
Cultura che per essere modificata ha bisogno di esempi forti, eclatanti e dirompenti.
Come per esempio avrebbe potuto essere la scelta di nominare 13 donne e solo 4 maschi nella Task force del Governo sulla ricostruzione.
Alberto Pellai oltre ad avere account molto seguiti su instagram e facebook [ https://bit.ly/2RAkmkX ] ha pubblicato diversi libri dedicati alle problematiche degli adolescenti, anche sulle dinamiche collegate ai social e alla rete.
Qui un elenco https://bit.ly/34vZbps
per approfondire i pregiudizi di conferma e il fenomeno delle echo chambers sui social, un interessante intervento di Walter Quattrociocchi oggi componente della task force dati per l’emergenza Covid https://bit.ly/3eg20PX