L’hanno chiamato in causa, è fatta. Lì, in Inghilterra, con lo stesso piglio che usano per chiedergli di salvare la regina. Qui da noi l’ha fatto Enrico Brignano, qualche giorno prima, invocando sempre il suo nome per mettere ordine nei conti di un paese che non ha più misure. Certo, poi Brigano l’hanno tolto dal web, ma lui c’è rientrato. Dio e politica non vanno d’accordo. Ci fosse stata la democrazia cristiana, ancora ancora Sturzo era passabile, ma chiamarlo per questo paese fatto di sigle che nascono e muoiono col sole è divinamente fastidioso, triste, immorale. E pure blasfemo. Quindi Brignano va cancellato. Resta il “Financial Times”, sarà perché è inglese e – si sa – gli italiani con le lingue (quelle parlate) hanno un cattivo rapporto. Facile ignorare “God”, ai più potrebbe sembrare “buono”. L’Inghilterra qui è più che altro una squadra di calcio. Vai a spiegare cos’è God. Lì con la religione hanno sempre avuto problemi: se la sono fatta da soli, come la moneta. Certo, con la seconda gli è andata meglio. La religione, però, ha il suo peso, al punto che gli affidano la regina. Se poi arrivano a urlare sui fogli del loro prestigioso giornale (che siede sul tetto del mondo della stampa) che il premier italiano deve andar via, e deve andar via sotto gli occhi dell’Onnipotente che protegge la regina – puntualmente informato perché l’Europa non ne può più – allora la faccenda è serissima. Talmente seria da intristire. Sì, perché fino a quando guardi Brignano, allora ci ridi pure. Vabé, l’hanno tolto dal web, ma vuoi mettere? Un po’ di romanesco nella declamazione dei conti del Parlamento è una boccata d’allegria. Poi leggi la stampa e ti intristisci. Perché capisci, non c’è niente da fare. Capisci che è pure colpa tua. Sì. Ti arrivano mail dove raccontano come si compone uno scontrino di un pranzo dalle parti di Montecitorio, dentro i palazzi che se ci entri per la prima volta e non hai una guida potresti non uscirne più; mail che fanno l’elenco delle ragazze avvenenti piazzate ai vertici dei sistemi politici dai meccanismi perversi del premier; mail che denunciano i doppi e i tripli incarichi di individui che magari non hanno mai versato una goccia di sudore, mai provato un soffio di timore per il futuro; e osservi sul web le marce degli indignati, i commenti di chi non è al potere, gli striscioni di chi non può imparare. Ma di cosa ti indigni ancora? Lontano dalle Alpi pensano che tu sei italiano, e tu te la sei cercata. Certo, non l’hai votato tu, nossignore. Ma magari tu sei quello che se la prende con Renzi. A me Renzi potrebbe pure non piacere, manco per niente. Ma c’è qualcosa che non va nei fischi di piazza San Giovanni: qualcosa che stride con l’idea di democratico. Impalpabile, ma c’è. Qualcosa che ti fa dire che non è ancora cambiato quel vento che ha smosso Dio sulle pagine del “Financial Times”. Ma non siamo stanchi di leggere delle compravendite politiche, di abitare un paese che un giorno sì e l’altro pure si chiede come andrà a finire, come fosse “lascia o raddoppia”? No. Non siamo nient’altro che il pubblico. Perché se non fosse così avremmo trovato il modo di cambiare le cose, davvero. Genova è annegata, è annegata Giampilieri due anni prima. E poi il Piemonte, e la Toscana adesso come allora. Arrigo Benedetti negli anni Settanta parlava di “precarietà geofisica italiana” sulle pagine de “L’Espresso” per dare una ragione al disastro di Firenze, e in quarant’anni siamo riusciti a spendere centinaia di milioni di euro per immaginare – immaginare soltanto – un’opera faraonica che non nascerà mai, mentre a un tiro di schioppo dal sito che dovrebbe ospitarla il fango divorava case e persone. Eppure quanti indici si sono mossi sulle nostri mani a ricordare “no” di fronte ai proclami sul Ponte di Messina, o sulla Tav? In quanti di noi? Giochiamo coi numeri, vediamo quanti sono i fischi a Renzi e quanti i no al Mous di Niscemi… Davvero per Renzi riempiamo i polmoni? Ma che cosa vogliamo nel nome di Dio? Abbiamo o no la forza di mandare via un inadeguato, patetico uomo ricco dai palazzi del potere per sostituirlo con qualcuno che sia degno, che non abbia ombre lontano dal suo corpo? Qualcuno che con chiarezza dica di no. No a un sistema politico che si basa sui favori e sul potere mediatico. È incredibile vedere come ancora qualcuno indichi Santoro come “male assoluto”, anche quando si è spogliato dai guinzagli di partito facendo qualcosa che non intacca nessuna forma di potere e di contratto pubblico. Il fatto stesso che lo si giudichi con ferocia negativa, addirittura provando a smontare i numeri che ha fatto registrare con la prima di “Servizio pubblico”, indicano che siamo ancora malati, e pure gravi: sono in molti a vederlo come nemico, e non come giornalista, come uno che fa informazione. Insomma: nessuno che lo critica lo giudica come giornalista. Siamo sempre là: gli argomenti. Chi lo critica non trova un argomento che sia uno da smontare. Una falsità. Quando era in Rai si discuteva del suo contratto faraonico, e si sbatteva contro gli incassi di “Anno Zero”. Ma ora? Siamo sempre malati, siamo un popolo che, anche sotto il cielo stellato di quella Messina che ha dato il simbolo all’Europa unita, guarda il dito. Nel caso di Berlusconi il dito medio. Verso l’Europa. In God’s name…
Sebastiano Ambra