L’esplosione di violenza di qualche giorno fa, che ha portato a scontrarsi gli uni contro gli altri, cittadini di Rosarno e cittadini africani, è divenuto un caso nazionale.
Difatti la situazione in questo luogo era diventata insostenibile per diversi motivi che andremo a vedere.
Prima di avanzare qualsiasi discorso bisogna fare una riflessione attenta, cauta, obiettiva, che prenda in considerazione le due facce della medaglia, cioè la condizione di degrado in cui versavano da anni gli immigrati insediati in questo paese, e la condizione che, a seguito dell’immigrazione crescente, si sono trovati a fronteggiare i cittadini di Rosarno.
Non è certo una novità il fatto che lo Stato in certe “zone”, abbia abdicato al suo ruolo. Davanti a quello che da anni si svolgeva sotto gli occhi di tutti, ha fatto finta di non vedere come e quanti africani risiedessero in questo paese, già fortemente penalizzato dal capillare controllo della ndrangheta, e questo, a ben vedere, ha avuto, il suo ruolo, in questa vicenda.
Quello che è accaduto è l’epifenomeno di una situazione di forte abbandono statale, sociale e umanitario.
Una cosa è certa, che questo episodio di apparente violenza ingiustificata, ha fatto venir meno due tipi di dignità su cui si basava una sottile convivenza: quella degli africani, che per far sentire la propria voce, per chiedere aiuto a chi di dovere, rivendicando la propria dignità di uomini, di lavoratori, hanno ben compreso come comportarsi e hanno scelto come comportarsi; il tutto , non è stato certo un caso ….in un posto dove lo Stato non esiste, dove lo Stato non li salvaguarda e non gli offre le condizioni per vivere dignitosamente e senza implicazioni di sorta…
È venuta meno anche la dignità dei rosarnesi, che, come tutti i calabresi, che convivono da sempre con la criminalità, hanno a un primo acchito, imposto il proprio modo di risolvere i propri problemi, allontanando l’estraneo dal territorio. Questo stessa estraneo però, da circa 20 anni lavorava attivamente nelle campagne della piana di Rosarno.
Quel che non è molto chiaro è il “perché”, arrivando ad un certo punto, l’africano se ne è dovuto andare. In questa desolante vicenda, quel che è evidente è che non ci sono ne vincitori, ne vinti.
I cittadini di Rosarno hanno ottenuto quello che con fermezza chiedevano, cioè l’allontanamento degli Africani; rimane a loro la convinzione dell’essere stati traditi dagli atti di violenza di questo popolo fino ad allora pacifico, che era stato accolto con solidarietà dalla popolazione, che cercava di dare una mano a questi lavoratori stagionali, offrendo quel che nel loro piccolo potevano ( pasti caldi, brandine per dormire, coperte, ecc).
A mio parere i motivi che hanno portato il cittadino rosarnese al rifiuto del cittadino africano non sono passati, attraverso i media, in modo imparziale.
È chiaro che fa più notizia sentire frasi del tipo: “se ne devono andare” oppure “se non si n’divannu n’dammazzami unu o iornu”.
Si dice che i rosarnesi convivevano quotidianamente con atti di inciviltà che chiunque avrebbe mal tollerato, mi riferisco a uomini che in preda ai fumi dell’alcool si abbassano i pantaloni e fanno i propri bisogni davanti casa, per strada, incuranti della presenza di persone che siano donne o bambini.
Si dice anche, che gli africani avessero parlato con chi non dovevano parlare; essere clandestino, significa essere il più possibile invisibile, e questo non convergeva assolutamente col fare rumore, col mettersi in mostra, col farsi “prendere” da chi li ignorava … sino ad allora..almeno … il sentimento comune ci parla della mancata riconoscenza di un popolo che era stato accolto, certo, non con i guanti bianchi, ma con quel che si poteva.
Il calabrese è per natura solidale, abituato a convivere con l’indifferenza, con la precarietà economica, con la sventura dell’essere in una terra meravigliosa che stenta a decollare per la presenza incombente della mafia.
In Calabria, l’africano viene chiamato comunemente “cugino”, questo termine esemplifica bene l’atteggiamento del calabrese verso questa popolazione. “Cugino” non è un termine usato a caso, normalmente indica un parente, e tutti sappiamo il significato che assume la “famiglia” in questo territorio; in tal caso, il termine “cugino” evidenzia il sentimento di vicinanza del popolo calabrese verso l’immigrato, sottolinea la capacità di immedesimazione alla loro condizione di precarietà, poiché già vissuta in passato, quando eravamo noi ad emigrare in cerca di fortuna.
Gli africani, hanno fatto sentire la loro voce, quella della disperazione, della sottomissione, la voce degli invisibili, che ha fatto vergognare chiunque abbia un briciolo di coscienza per le condizioni in cui vivevano da anni.
Quello che va con forza condannato sono le modalità violente con cui questi uomini, africani e rosarnesi, si sono imposti a livello nazionale; gli africani hanno annichilito un paese, distrutto 100 macchine, causato centinaia di danni, e una trentina di feriti tra forze dell’ordine e rosarnesi.
I cittadini di Rosarno, hanno reagito, con presidi davanti ai luoghi in cui risiedevano gli immigrati fino al loro spostamento al CPA di Crotone e Bari; ma anche con la caccia ai “neri”, per il paese e per le campagne, con l’obiettivo precipuo di fare male a scopo dimostrativo, e male, in effetti, ne hanno fatto, visto che vi sono stati degli africani presi a sprangate, gambizzati e più di trenta ricoverati negli ospedali di Gioia Tauro e Polistena.
Tutto quello che è accaduto, non va letto come un episodio occasionale, dovuto solo alla casualità, allo
Conoscendo il territorio, mi meraviglio come questa Santa Barbara, questa bomba ad orologeria, non sia scoppiata molto tempo fa, quando gli immigrati sono arrivati qui, in questi piccoli centri, dove la situazione lavorativa è già difficilissima per gli autoctoni.
Rosarno è un paesino di 15.000 abitanti, la sua piana, rappresenta il cuore della coltivazione, produzione e vendita degli agrumi, il settore in cui si concentrava l’impiego degli immigrati, regolari e irregolari.
Si stima che solo a Rosarno vi erano circa 2000 immigrati, e la loro presenza era visibile alle prime ore del mattino, quando si riversavano nella strada statale, in attesa dei caporali che li prelevano per portarli nelle campagne, e alla sera, quando facevano, ritorno per scomparire nuovamente da dove sono “venuti”.
Era tutt’altro che raro vedere centinaia di “occhi” che camminano sul ciglio della strada, al ritorno dalle campagne; non era raro vederli trasportare grossi pezzi di legno, che venivano trascinati per Chilometri e serviranno per fare grandi fuochi per riscaldarsi dal freddo delle notti e dall’indifferenza della gente.
Ma dove vivevano questi immigrati?
Oggi lo sappiamo tutti. Ma anche prima che scoppiasse questo scandalo umanitario, la loro condizione la conoscevano tutti.
Vivevano ammassati, in centinaia, nelle ex fabbriche di arance dimesse, sotto il ponte del fiume Mesima, nelle vicine discariche, nelle campagne, si creano alloggi di fortuna, fatti di cartoni, di legno, di amianto, in ghetti senza acqua corrente, in condizioni igieniche a dir poco precarie.
Eppure nessuno prima di ieri aveva cercato di far luce su questa situazione.
S’è parlato di sfruttamento, che non si può negare che ci sia.
Lo sfruttamento è legato a questo tipo di lavoro, quella della raccolta delle arance, che oggi è svolto prevalentemente da immigrati, a prezzi stracciatissimi e in nero, si parla di 20-25 € al giorno per un lavoro molto faticoso e logorante dal punto di vista fisico, e che gli italiani, a questi prezzi, non vogliono fare più.
Si dice che gli immigrarti, con la loro presenza e la loro disponibilità a lavorare sottocosto, abbiano rovinato il mercato del lavoro. In realtà, se non ci fossero stati gli immigrati, certamente i mandarini e le arance sarebbero rimasti sugli alberi, poiché la concorrenza del mercato europeo ha ucciso qualsiasi possibilità di adeguamento del prezzo al tipo di lavoro.
Rosarno e interland, da un paio d’anni, sono toccati pesantemente da questa crisi che ha colpito il settore che dava lavoro a centinaia di immigrati, per tale motivo la situazione è diventata difficile.
Questi uomini si sono trovati senza lavoro e senza casa, in un territorio che purtroppo non offre niente che non sia l’agricoltura.
Certo è che le condizioni di precarietà non giustificano la situazione di violenza cui abbiamo assistito e che la noncuranza della loro condizione non può essere trasformata in distruzione.
Questa follia di gruppo è il frutto della precarietà esistenziale, è il frutto dell’essere invisibili in un mondo che va avanti.
Maroni ci dice che con l’immigrazione c’è stata troppa tolleranza, ma questi immigrati a “qualcuno” a Rosarno facevano comodo. Sicuramente erano un pozzo da cui attingere manodopera, giovane e rigorosamente in nero.
Quel che più colpisce è che questa situazione andava avanti da molto tempo, già dai primi anni
È stato chiaro a tutti che i cittadini di Rosarno hanno cercato con forza di allontanare dal discorso corrente lo spettro della ‘ndrangheta.
Ma cosa può mai centrare la ndrangheta in tutto questo? Forse poco. Forse centra quanto basta, per capovolgere una condizione che per un certo periodo, e per i motivi che è facile intuire, ho fatto comodo a tutti.
Dopo, quando la situazione è sfuggita di mano, per la troppa presenza nel paese o forse per il presagio di una possibile insubordinazione collettiva, è stato comodo e semplice, appiccare il fuoco in un pagliaio, è bastata una scintilla.
Anche per Tonino Malerba, delegato regionale della Croce Rossa, la rivolta dei migranti di mercoledì notte «ha avuto una regia, perché niente succede per caso».
La xenofobia poi, si diffonde a macchia d’olio, soprattutto se è presente, alla base un sentimento di insicurezza generale e se si fanno cose che in Calabria non si devono fare, mi riferisco alle aggressioni a donne e bambini. Ma il rosarnese non è razzista, poiché non avrebbe accettato per 20 anni l’immigrato. Qualcosa è successo … qualcosa che forse non si può dire.
In questa desolante vicenda, non mancano gesti d’amicizia, di umano rispetto e di riconoscimento reciproco, mostrato da quei cittadini, arrivati fino ai pullman, per rendere il prezzo del proprio sudore agli africani, che si ritrovano nuovamente a vagare per l’Italia, in cerca di condizioni migliori, ma basta dire più umane, di quelle che hanno trovato a Rosario.
Concludo dicendo che, non dobbiamo ricercare lontano un colpevole…gli immigrati non dovevano essere li e vivere come vivevano, fare quello che facevano e nel modo in cui lo facevano.