Con la grinta che non le manca, l’ex presidente della sezione Misure di Prevenzione ha tracciato di sé stessa un profilo così alto e così nobile, che bisognerebbe cominciare seriamente pensare di farle una statua e di sistemarla magari all’interno del palazzo di giustizia di Palermo.
Lei, alunna prediletta di Chinnici, Falcone e Borsellino, che le hanno insegnato a fare il magistrato, afferma di avere da sola bloccato la riorganizzazione della commissione provinciale di Cosa nostra con l’ordinanza Perseo, che nel 1998 fermò 98 capimafia. Addirittura si prende il merito anche di quello che è successo dopo di lei, con la recente operazione Cupola, nella quale sono stati arrestati tutti boss «collegati – dice – con quelli che avevo fatto arrestare io”. E quando l’avvocato Bonsignore le fa notare di stare divagando e andando fuori dal seminato, continua:
«Presidente, mi hanno accusato di aver veicolato notizie su un falso attentato nei miei confronti. La mafia davvero voleva farmi saltare in aria». E se lo dice lei!!
Naturalmente rivendica a sé stessa di avere fatto aumentare
i sequestri del 400%, senza precisare i metodi con i quali ha realizzato questa
mattanza dell’imprenditoria palermitana, nella quale sono stati messi in un
unico calderone anche imprenditori che con la mafia non avevano nulla a che
fare e senza accennare all’allegra gestione dei beni sequestrati portata avanti
dal cerchio magico degli amministratori giudiziari cui dava gli incarichi.
In un certo momento tira fuori dal cappello il colpo basso e
si toglie i sassolini dalla scarpa:
«L’altra sera ho ritrovato l’agenda in cui mettevo i
biglietti che ricevevo ogni giorno. Mi segnalavano amministratori giudiziari da
nominare. La consegnerò al tribunale questa agenda……, le segnalazioni arrivavano
dai miei colleghi: La Cascia, Guarnotta, D’Agati, Tona. Ma c’erano anche
avvocati che mi facevano segnalazioni. Persone di cui io mi fidavo……In questa
agenda ci sono tutti. Tutti mi facevamo segnalazioni. Chiedevo solo che fossero
persone qualificate, soprattutto persone che provenivano dal Dems, il corso
voluto dai professori universitari Fiandaca e Visconti…..Con i beni sequestrati
lavoravano i figli dei miei colleghi Ingargiola e Puglisi; il fratello di
Teresi lavorava con Collovà. Ma non è un pregiudizio, accadeva così».
Sono nomi buttati là senza particolari accuse o riscontri,
così, tanto per azionare la macchina del fango o per procurarsi un ombrello
dietro la giustificazione del “Così fan tutti” nel senso che tutti navigavano
all’interno di un sistema di amministrazione della giustizia che, secondo la
Saguto era “normale e corretto”.
Un occhio di riguardo è riservato a Pino Maniaci, perché,
secondo lei gli elementi e i dati delle inchieste di Telejato erano «Le
farneticazioni di un ignorante», mentre, al contrario: «La presidente della
commissione antimafia Bindi ha invece riconosciuto il mio lavoro».
Riportiamo testualmente alcuni passaggi dell’ex magistrato:
«Maniaci non l’ho mai considerato giornalista o degno di
considerazione. Non sa manco parlare in italiano. Non pensavamo potesse
danneggiarci. Abbiamo sottovalutato la possibilità mediatica di gente di scarsa
cultura. Siamo stati convocati qua (in Procura a Caltanissetta, ndr) da Gozzo e
Paci (Domenico Gozzo e Gabriele Paci erano pm a Caltanissetta, ndr). Mi hanno
chiesto degli incarichi. Gli ho detto che mio marito (l’ingegnere Lorenzo
Caramma pure lui imputato, ndr) lavorava in una sola misura che non era del mio
collegio e l’aveva avuta anni prima con il presidente Cesare Vincenti. Si chiuse
lì. Non fu aperto un procedimento penale. Maniaci ne continuava a parlare, fino
a quando la eco divenne maggiore di questa specie di televisione. Televisione
che faceva l’antimafia e si prendeva i soldi della mafia. Prendeva soldi dal
proprietario di una cava. Certo è curioso. Impastato (un altro imprenditore a
cui erano stati sequestrati i beni, ndr) aveva dato la macchina alla figlia di
Maniaci. Abbiamo chiesto che il Csm ci tutelasse ma il Csm chiuse la pratica
perché non ne valeva la pena, era una piccola emittente squalificata».
Infine sul conto di Maniaci aggiunge di avere saputo da
Claudio Fava (faceva parte della Commissione parlamentare antimafia, ndr):
«Mi disse: “come possiamo aiutarvi, ma a questo non lo dovevamo arrestare?”. Era una battuta, per me Maniaci non esisteva, ho sbagliato a non querelarlo subito così si stava zitto. Sono andati dietro a un pazzo».
In un passaggio delle intercettazioni, era emerso che Saguto
fosse stata informata in antico dei guai giudiziari che avrebbero poi coinvolto
Maniaci.
Come si vede la Signora Saguto ha messo in azione la sua
macchina del fango, la cui aberrazione, degna di denuncia, cosa che stiamo
valutando, è che Maniaci faceva antimafia con i soldi della mafia, e, per
giustificare l’affermazione fa riferimento a una macchina che Impastato avrebbe
dato una macchina alla figlia di Maniaci. Tutto qua.
La Saguto arriva a queste affermazioni, poiché è davvero
un’esperta nel “prendere i soldi della mafia” e questo è appunto il suo metro
di valutazione. Attenzione, la parola “prendere” va letta nel suo giusto
significato, che in prima battuta vuol dire mettere sotto sequestro, in seconda
battuta è una storia più lunga, in gran parte conosciuta. Ci pare di capire che
il giudice Gozzo, assieme a Gabriele Paci, dopo l’audizione di Pino Maniaci
abbia continuato la sua indagine convocando la Saguto, e poi abbia forse
archiviato tutto, visto che lei dice «Si chiuse là».