Siamo nel giugno del 2013 quando presento all’accettazione dell’ospedale Villa Sofia di Palermo un atto pubblico, cioè una richiesta di intervento chirurgico a cui sottoporre mio padre, classe 1921, firmato e timbrato da uno specialista che presta servizio presso la Asl siciliana competente per territorio. Perché, forse è bene ricordarlo, ogni ricetta o impegnativa firmata da un medico del servizio sanitario nazionale è un atto pubblico (per intenderci: qualunque tipo di manomissione di quel foglio è reato), come pubblico è l’ospedale a cui sottopongo quell’atto (la richiesta di intervento chirurgico firmata da uno specialista). Alla mia più che legittima e formale richiesta mi viene risposto che no, quell’atto pubblico non vale. E’ carta straccia. Lo Stato non può credere a se stesso. Così vengo invitata a tornare con una nuova richiesta del medico di famiglia per sottoporre mio padre a un’altra visita specialistica presso il medesimo nosocomio. Seguo la via indicata: torno dal medico e torno in ospedale con la nuova richiesta. Data della visita: fine febbraio 2014. Si, avete letto bene: otto mesi dopo. E non è che non fosse di importanza decisiva quell’intervento. Anche io, che non sono un medico, capisco che aspettare tutto questo tempo comprometterebbe la vita stessa del mio padre. Ritorno ancora in accettazione, stavolta con una richiesta per una visita urgente. La ottengo, da lì a qualche giorno. Guardo negli occhi questo medico che, finalmente, lo visita. Lo guardo per capire con quanta superficialità agisce questo professionista senza umanità quando mi risponde che si, l’intervento è da fare in effetti, ma mi invita a rivolgermi a qualche struttura privata per ottenerlo il prima possibile che lì, in un ospedale del servizio sanitario nazionale, i tempi di attesa sono di mesi e mesi. Troppo tardi, dunque.
Riesco a salvargli lo stesso la vita, a mio padre, quando lo riporto in pronto soccorso a distanza di qualche ora, in preda a un’emorragia causata da una manovra dello specialista senza umanità che lo ha visitato quella stessa mattina.
E se il pronto soccorso, se l’ospedale non fossero stati vicini? Cosa gli sarebbe accaduto? Forse gli sarebbe toccata la stessa sorte della donna di Gangi, Antonia Seminara, morta di parto cesareo per estrarre dalle sue viscere un figlio già morto dentro di lei.
Non voglio entrare nei dettagli, non so se si potevano salvare madre e figlio. Non ho né gli strumenti, né le necessarie conoscenze mediche per addentrarmi in un simile giudizio che rischierebbe di apparire superficiale e avventato. Questi sono compiti che spettano alla magistratura grazie alle opportune consulenze di cui si avvarrà. Ma un giudizio sulle scelte politiche che hanno determinato la disattesa di un diritto inviolabile come quello alla salute costituzionalmente garantito e ripreso nell’articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, quello si, posso esprimerlo.
E allora mi chiedo se non è una violazione dei diritti dell’uomo equiparare gli enti preposti alla tutela della salute pubblica, ad aziende. Ora, da che mondo è mondo, un’azienda non è esattamente un ente filantropico, ma risponde a criteri di profitto. Cioè di guadagno. E, quando gli utili vengono minacciati bisogna riportare l’azienda su binari più rassicuranti. Maggior profitto con la minore spesa possibile. Questo è l’unico criterio che segue un’azienda in una società capitalistica quale è la nostra. E, di solito, per risparmiare sulla spesa si è “costretti” a tagliare servizi. E pazienza se questo costa la vita: meglio ridurre le spese vive, come sono considerati quegli ospedali o i punti nascita o, ancora, i pronto soccorso sparsi nell’entroterra siciliano. Nascite sotto i 500 annuali? Chiudere, per favore. E pazienza che, se hai necessità di cure immediate, ti tocca fare anche 100 km per essere salvato, percorrendo strade che, nella maggior parte dei casi, sono fatiscenti. E pazienza se hai avuto la malaugurata idea di vivere in un’isola minore e decidi di volere che tuo figlio nasca in quel posto. “Mi dispiace” – ti dice lo Stato attraverso i suoi enti locali – “costa troppo, vai a partorire da un’altra parte. A tue spese, s’intende”. La Regione Sicilia, infatti, deporta le donne già all’ottavo mese di gravidanza, gli dà una specie di foglio di via, di espulsione dal luogo di residenza, costringendole a partorire in terraferma o, comunque, a parecchia distanza dal luogo in cui vivono lasciando sul loro bilancio familiare i costi di soggiorno in luoghi lontani dalla residenza. Per la loro sicurezza, nel loro interesse, cosa credi? Ti mette addirittura un elicottero a disposizione per il trasporto in caso di necessità. Peccato che a volte non funzionino e bisogna aspettare delle ore prima di averne un altro che sia efficiente. Peccato che a volte, anche quando gli elicotteri dell’elisoccorso funzionano benissimo, ci si mettono quegli irresponsabili delle condizioni climatiche a sistemarsi di traverso. E così a volte capita che l’elicottero dell’elisoccorso non possa alzarsi in volo. E nemmeno le navi, che pure collegano quotidianamente le isole minori, riescono ad arrivare: ci si è messo pure il mare, accidenti! Condizioni meteo avverse: non è colpa di nessuno.
I tagli scriteriati (anzi no, un criterio ce l’hanno ed è, come ho detto poc’anzi, quello del profitto) voluti dal governo Monti, il cui iter legislativo è iniziato col governo di Raffaele Lombardo attraverso il suo assessore alla sanità Massimo Russo (noto esperto di questioni sanitarie) ed applicati con convinta obbedienza dall’attuale governatore siciliano Rosario Crocetta sono i responsabili non tanto indiretti di quest’ultima morte. Avete presente la Settimana Enigmistica e uno dei suoi giochini “trova le differenze”? Ecco provate a farlo voi: trovate le dieci differenze fra Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta.
E seguite i consigli dello spot televisivo: accendi il cervello!