Un tempo, quando il tormentone era “Perché Sanremo è Sanremo”, nessuno avrebbe immaginato la sua sostituzione con il nuovo “io Sanremo non lo guardo”. Alla fine, curiosi e pettegoli come solo gli italiani sanno essere, Sanremo lo abbiamo guardato un po’ tutti.
Dal microfono tuonano: “Così finisce la 67° edizione del Festival della Canzone italiana!”.
“E meno male!”, si sente dall’ipocrita ima cavea.
“Quest’anno ha vinto Ciccio e la sua scimmia!”, tuonano quelli della media.
Alla summa, invece, ballano e si divertono sulle note di Francesco Gabbani e della sua Occidentali’s Karma, alla faccia di tutti i parolieri.
Sanremo non è niente di più e niente di meno di un grande teatro (in senso anche metaforico). Quest’anno fari sulle pièces tra lo zio Carlo Conti e la crocerossina Maria De Filippi, in un minestrone dove si sono affastellate le storie di “C’è posta per te” (c’erano tutti, dai centenari ai disabili, mancavano solo gli immigrati) al più moderno umorismo di uno stanco e senza smalto Crozza.
Le canzoni? Ah, sì, le canzoni. Ci sono state pure loro, è chiaro. Tipo quella bella di Paola Turci. Ma si sa, ormai scrivere spartiti per Sanremo vuol dire in qualche modo scrivere ancora per il nazional-popolare, anche se c’è stato un passo avanti scegliendo l’anti-Masini, l’anti-D’Alessio, l’anti-Zarrillo e l’anti-Al Bano (qualcuno spieghi loro che a un certo stadio di sviluppo canterino, la pensione è obbligatoria). Clementino non lo nominiamo, perché non sappiamo neppure chi sia.
E dunque vince Francesco Gabbani, accompagnato dalla sua scimmia e dalla sua ironia, capace di scardinare i cancelli della canzonetta e di far ballare il pubblico, spacciandosi anche per un intellettuale.
E sì, perché il giorno dopo, per difenderlo o schiacciarlo dai pomodori maturi, tutti abbiamo tirato dal cilindro qualche cosa. Magari abbiamo anche fatto quelli colti che leggono. Tipo citando – rullo di tamburi – niente di meno che il libro “La scimmia nuda” dello zio Morris. Chiaro: in pochi lo hanno letto, altrimenti avrebbero saputo che – ironia a parte, certamente presente nel libro – il saggio è di tutto rispetto, oltre che scientifico (compratelo, lo vendono in offerta a 10 euro, su tutti i principali store online).
Lui, il cugino Ciccio Gabbani, non avrebbe voluto parlare dei caratteri sociali ed emotivi dell’uomo, ancor meno delle nostre origini ancestrali come le abitudini sessuali, la lotta e l’alimentazione (perché lui, Ciccio, è uno che si fa i fatti suoi, come ha sottolineato in una intervista radiofonica). Lui voleva solo divertirsi, rubare un titolo, invitare i più a non prendersi troppo sul serio, giocando sul suo timbro vocale e sul fatto che – e lo avete accontentato – avreste trovato piacevole anche la cacca del topolino della soffitta di tal dei tali, purché avesse avuto una qualche ombra di intellettualità ballabile.
Occidentali’s Karma è un inno alla stupidità in 3 minuti e 37 secondi, ma non nel senso di farcita idiozia. Nel senso che fa ridere, nel senso che non siamo tuttologi, nel senso che la vostra new age verrà presto soppiantata da una grande e grassa risata (che speriamo vi sommega).
Una pagella per Sanremo che va dai 4 (Masini, dimmi grazie per la generosità) ai 7 e 8 per molti altri (Paola Tuci, Ermal Meta, Fiorella Mannoia). Mediocri le risate a tutti i costi di Carletto Conti (che non ha avuto bisogno di farla nel letto per alzare gli ascolti) e sufficienza scarsa per la gratuità e compostezza (come la mazza numero 2 tra i ferri del golf) per Maria De Filippi. Attenzione, qui mica si offende la fisicità o l’abbigliamento di questo o di quella, eh, ché poi ci scateniamo in crociate di linguaggi e generi e non la finiamo più. Qui siamo a Sanremo, dove tutto è lecito, dove il lavoro di uncinetto sui vestiti, gli spacchi (ma niente farfalle, quest’anno?), la scontrosità di Keanu e il movimento di bacino dell’attempato Ricky, la chicca tra Carmen Consoli e Tiziano Ferro hanno avuto la meglio.
Sanremo è finito, però. Quindi appuntamento al prossimo anno, per ora torniamo “soci onorari del gruppo dei selfisti anonimi”, con lo sfondo del cesso di casa nostra.