La mostra “I bozzetti di Giulio Aristide Sartorio per il Duomo di Messina”, allestita presso il Monte di Pietà di Messina, che chiuderà i battenti domenica 26 Aprile illustra uno dei sogni di Monsignor Paino in merito alla rinascita della cattedrale. Quest’ultimo infatti, dopo il devastante terremoto del 1908, voleva rivestire le pareti delle navate e del transetto con un tappeto musivo che richiamasse nell’idea i celebri esempi di Monreale e Cefalù, ma anche i brani sopravvissuti all’interno della cattedrale, realizzando un compendio chiaro e completo della storia della città.
In un primo momento lavorò ai cartoni ed ai bozzetti Giovanni Villani di cui però la Commissione d’arte, costituita ad hoc, interruppe il lavoro nel 1930 per i mancati effetti delle composizioni, offrendo un’ occasione propizia per l’ingresso nel programma iconografico, con una concezione squisita e formidabile, dell’artista romano Giulio Aristide Sartorio.
Così scrive M. Sevilla Sartorio, vedova dell’artista: “Come nacque la cattedrale risorta sarà un’opera lunga e minuziosa, ardente e delicata da scrivere con pochissime parole e con tutti i disegni che nelle veglie notturne l’artista, simile ad un poeta cui la vena scaturisce da improvvisa sorgiva, tracciava su tenui foglietti volanti con piccola penna e con tutta l’anima sua”.
L’esile figura della Vergine, in questo disegno iconografico che ne avrebbe dovuto esaltare la presenza, fu uno dei punti criticati dalla Commissione, che contava al suo interno personaggi come il Basile ed il Valenti. Anche se il Sartorio era pronto a rimediare, la morte lo colse prima che questo potesse accadere. Ed oggi quel sogno che trasforma tutto e le anime innalza incontro a Dio è esposto nelle due sale del Monte di Pietà, prima di tornare nel Seminario Arcivescovile di Messina come parte preponderante della collezione Painiana, non visibile al pubblico.
L’idea generale del Sartorio è chiara ed evidente nella sequenza di scene presenti nei bozzetti che passa attraverso un tratto veloce e tagliente, con personaggi racchiusi in architetture esili, eleganti palme o dentro zone appena animate da ornati; nudi-cariatidi ma anche di una robusta plasticità o quasi sottratti alla realtà in una trasfigurazione di luce.
Osservando abbiamo la netta sensazione di immergerci dentro la storia civile e religiosa di Messina. Ricca di miti come Scilla e Cariddi e spiritualità con il martirio di Placido e compagni o la leggenda di Dinnammare.
L’arte per l’arte si esprime attraverso un decoro ed un decorativismo che è ricco, ma mai pletorico,funzionale ad una narrazione vivace che accende l’emozione del visitatore con il suo sapiente gioco cromatico, nella larga prevalenza del fondo d’oro al quale si accostano toni bassi e toni squillanti. Nell’altra sala la miniatura si fa gigante, con i cartoni al vero su tela che dovevano costituire la preparazione per il mosaico della controfacciata. In questi spazi Sartorio pensa di porre le scene gloriose di questo programma iconografico fortemente mariano, e davanti ai nostri occhi svetta una vergine ieratica ed estremamente allungata, di cultura bizantina, con le palpebre dischiuse ed il volto severo, una veste rossa che è insieme regale e fiammeggiante dentro una mandorla di cherubini che suggella e protegge la rinascita di Messina dopo il sisma del 1908. Ai lati angeli mostrano i simboli della Creazione e della Redenzione, mentre nella parte inferiore spicca l’invocazione alla Vergine del popolo dei sopravvissuti accompagnati da S. Eustochia, S. Placido, S. Anzia e S. Basilio.
Un’arte espressione di quel Sartorio maturo che già nelle xilografie della Sibilla e del Christus regnat aveva mostrato grandi doti di duttilità e sperimentazione artistica, arrivando ad esiti altissimi e che sognerà di realizzare con una passione inestinguibile dentro il duomo della dorata Messina, come la definì l’amico Gabriele d’Annunzio.
In realtà l’idea modernissima, per certi versi audace nelle cromie e nella forma, dei mosaici del Sartorio rappresenta forse un’occasione perduta che avrebbe potuto regalare alla nostra cattedrale un’aura di modernità d’altissimo profilo estetico, piuttosto lontana da certe soluzioni accademiche, coercitive ed un po’ compassate che la Chiesa avrebbe di seguito proposto ed imposto. Così nel 1933, nella recensione di una mostra sull’artista presso la Galleria Borghese di Roma, scriveva Ugo Fleres, giornalista e critico letterario messinese: “Messina potrà o non potrà portare a compimento il progetto sartoriano, esso rimarrà nell’arte e sarà forse considerato come il capolavoro di un pittore sapiente e raffinato, che sapienza e raffinatezza possedette sempre quali attitudini innate, e quindi agevolmente coltivabili e feconde”.
Una idonea e permanente musealizzazione di questi tasselli d’arte potrebbe idealmente portare a compimento questo progetto.
Giuseppe Finocchio