di Matteo Scirè
L’iniziativa di Confartigianato per la selezione di 15 lustrascarpe e la risposta di diplomati e laureati come cartina di tornasole di una città, e di un Sud, senza lavoro e senza prospettive
Sulla figura degli sciuscià Vittorio De Sica nel 1946 girò uno dei capolavori del cinema neorealista, che rappresentava le difficili condizioni in cui vivevano molti bambini e ragazzi delle città italiane, costretti per campare, nel dopoguerra, a lucidare le scarpe dei signori. A distanza di settant’anni il mestiere simbolo della povertà e della disperazione torna ad essere, almeno a Palermo, la metafora della drammatica situazione in cui si trovano molti giovani del Mezzogiorno, anche altamente qualificati, che non riescono a trovare uno straccio di lavoro.
Mi riferisco all’iniziativa lanciata da Confartigianato Palermo, per la selezione di 15 lustrascarpe a cui affidare delle postazioni nelle vie più affollate della città. Ne avrete sicuramente sentito parlare. La notizia ha fatto il giro di tutti gli organi di informazione locali, tradizionali e online, social network compresi, non solo per la trovata sicuramente ad effetto, ma anche perché all’annuncio hanno risposto 75 persone, tra cui alcune laureate e molte diplomate. Sta proprio qui il dato emblematico che trasforma la bella idea di Confartigianato, di recuperare un mestiere antico per dare un’occupazione a chi non ha grandi prospettive, nella cartina di tornasole di un mercato del lavoro che in Sicilia e al Sud mortifica le aspettative di chi, invece, ha investito sulla propria formazione.
Nulla di strano che l’affascinante mestiere dei lustrascarpe torni in auge, se gli aspiranti lustrascarpe in questo modo riusciranno a guadagnarsi da vivere e a campare le loro famiglie. D’altronde non si tratta di un caso isolato. Al giorno d’oggi c’è qualche sciuscià a Napoli, per restare in Italia. Buttando lo sguardo oltre i confini nazionali ce ne sono tanti a Londra e a New York. Ma che siano delle persone che hanno studiato è una sconfitta, per tutti.
È una sconfitta per i diretti interessati, che si troverebbero a fare un lavoro dettato dal bisogno, dalla necessità di mettere qualcosa in tasca. Per i genitori, che spesso hanno fatto molti sacrifici per fare acquisire ai loro figli competenze ed abilità utili a costruirsi un futuro. Per lo Stato, che ha investito tante risorse nella formazione delle nuove generazioni.
Se avessi detto a mio padre, dopo essermi laureato e dopo aver studiato fuori, “sai papà visto che non riesco a trovare il lavoro che mi piace ho pensato di fare il lustrascarpe”, mio padre avrebbe potuto reagire in due modi diametralmente opposti: o mi avrebbe dato una timpulata a mano piena provocandomi una paresi facciale per almeno un paio di giorni, oppure si sarebbe messo a piangere come un bambino e non mi avrebbe più rivolto la parola. Penso che avrebbe reagito nel primo modo.
Per favore evitatemi la lezioncina morale secondo cui ogni lavoro, se svolto con onestà, è dignitoso. Certo che fare lo sciuscià è dignitoso. Siamo d’accordo, non è questo il punto. Nulla in contrario nei confronti di chi dopo aver finito la scuola dell’obbligo, per scelta o per bisogno, ha lasciato gli studi per andare ad imparare un mestiere o andare a fare l’operaio. Ma chi ha avuto la possibilità di frequentare la scuola e l’università deve avere l’opportunità di esercitare la professione per cui ha studiato. Poi la vita, si sa, è dura, a volte spietata, e si è disposti a svolgere qualsiasi tipo di lavoro per sopravvivere. Ma questo è un messaggio che non può e non deve passare come normale e men che meno, se la cosa funziona, come un’esperienza a cui guardare con ammirazione per dare opportunità ai nostri giovani. Sono altri i modelli a cui ispirarsi.
C’è, infatti, una grande differenza tra gli sciuscià raccontati da De Sica e quelli di oggi. I primi erano dei ragazzini che non sapevano neanche leggere e che vivevano in un paese in macerie. I secondi sono dei giovani istruiti che vivono in una delle nazioni più sviluppate del mondo. Fargli lustrare le scarpe per campare mi sembra davvero troppo