Le coscienze addormentate si svegliarono improvvisamente col fragoroso scoppio delle “bombe di stato” in quell’afosa estate del ’92. Lo stato di torpore ebbe un sussulto che partì da sud, da Palermo, ma che ben presto si propagò come un’onda al resto d’Italia con gli attentati di Firenze, Roma e Milano, ricordando a tutti che la mafia non è un fatto solo siciliano. Semplici cittadini, casalinghe, studenti e pensionati si riversarono in strada, urlando tutta la loro ribellione per quelle morti insopportabili e, per molti versi, preannunciate.
In questo paese dalla memoria brevissima giova forse ricordare che, all’indomani della strage di via D’Amelio, in cui furono trucidati il giudice Borsellino e gli uomini della scorta, alcune donne si ritrovarono nella piazza più centrale di Palermo, piazza Politeama, e iniziarono un digiuno andato avanti per settimane, come estremo gesto di protesta. Un digiuno dal forte valore anche simbolico, a significare la precisa volontà di non volere alimentare oltre una cultura di morte come quella mafiosa.
E simbolica è l’attività di Scorta Civica, nata a Palermo a metà gennaio come costante promemoria, un richiamo ai propri doveri rivolto alle istituzioni che finora sono rimaste inerti. E anche un indicatore che certe coscienze non vogliono rassegnarsi ad aspettare il botto grosso prima di scendere in strada. Ogni giorno, dal 20 gennaio scorso, un gruppo di cittadini si stringe attorno alla procura di Palermo, facendo simbolicamente da scudo ai giudici del processo trattativa. Da Palermo i gruppi si sono estesi in tutta Italia: da Torino a Milano, passando per il Veneto, il Trentino, la Sardegna, la Puglia: ogni città ha la sua grande o piccola Scorta Civica. Un cartello di associazioni, fra cui il gruppo delle Agende Rosse di Salvatore Borsellino, ma composto anche da gente comune, continua a chiedere a gran voce la dotazione del bomb jammer per i magistrati impegnati nel processo più delicato della storia della Repubblica.
Il bomb jammer, per chi non lo sapesse, è un dispositivo elettronico in grado, fra l’altro, di inibire il funzionamento dei telecomandi con cui si azionano gli ordigni esplosivi: uno strumento in grado di salvare la vita non solo ai magistrati, ma anche agli uomini delle loro scorte e a quanti potrebbero trovarsi casualmente coinvolti in un attentato. Perché Riina lo ha detto chiaramente: intercettato ha, col suo linguaggio mafioso, lanciato un ordine di morte verso Nino Di Matteo e gli altri giudici; ha mandato messaggi ancora oscuri che sembrano destinati anche a figure statali e parastatali, ammantando tutta la vicenda di ombre inquietanti. Possibile che “Totò u Curtu”non sappia che le sue chiacchierate col “badante” arrivano all’esterno? O è proprio quello lo scopo? Messaggi in codice da fare arrivare alle orecchie giuste. In tutta questa vicenda una cosa è certa: il silenzio istituzionale è, a dir poco, spaventoso: chi non vuole proteggere la vita di questi magistrati ha nome e cognome. A cominciare dal capo dello stato, che finora non ha pronunciato una sola parola di preoccupazione o solidarietà nei confronti dei giudici palermitani pur essendo capo del CSM. Per continuare con il ministro degli Interni, Angelino Alfano che, nel corso di una conferenza stampa a Palermo lo scorso dicembre, ha dichiarato che avrebbe immediatamente dotato del dispositivo Nino Di Matteo: fino a data odierna, però, non risulta abbia ancora onorato la sua pubblica promessa. Qualche giorno fa il ministro è venuto a Palermo, al teatro Golden, ad aprire la campagna elettorale del suo partito; agli attivisti di Scorta Civica, andati ad accoglierlo e a ricordagli l’impegno preso, Alfano ha risposto così: entrando dal retro del teatro per evitare il gruppo di contestatori.
Dentro, ha pronunciato parole dal sapore retorico, di azioni di contrasto alla mafia: parole vuote che hanno solo riempito l’aria. Il buco resta. Indiscrezioni e voci ufficiose (mai messe nero su bianco) dicono che la mancata assegnazione del dispositivo salva-vita è dovuto ai danni che le onde elettromagnetiche emanate da questi dispositivi provocherebbero ai portatori di pace-marker e alle donne in stato di gravidanza. Immagino quindi che in occasione della visita del capo di stato americano l’Italia ha prontamente fatto allontanare queste due categorie di cittadini dal percorso presidenziale: i mezzi di scorta di Obama sono infatti dotati di bomb jammer! E mi aspetto anche che, non appena verranno aperti i processi a seguito della recente maxi operazione contro il narcotraffico, condotta dalla DDA di Reggio Calabria, lo stato italiano si costituirà parte civile per il danno arrecato alla salute pubblica dagli ‘ndraghetisti, i quali avrebbero acquistato il bomb jammer dalla Repubblica di S. Marino per sfuggire alle intercettazioni!
Gli attivisti di Agende Rosse e Scorta Civica comunque non si sono arresi: il prossimo 3 aprile, infatti, si ritroveranno in un sit in simultaneo davanti a tutte le prefetture italiane per poi raggiungere, il 12 aprile, la sede del Viminale per chiedere conto e ragione all’Angelino nazionale della sua inadempienza. A Roma verranno inoltre consegnate le firme, nel frattempo raccolte, per costringerlo a onorare un dovere!
D’altra parte, egregio ministro, tutte le massime cariche statali hanno un dispositivo bomb jammer. Forse che le vite di questi cittadini, che casualmente amministrano la giustizia nel nome del popolo italiano, valgono meno dei capi di stato e di governo di mezzo mondo? Oppure non si aspetta altro che avvenga, questo benedetto attentato, così qualcuno può sbarazzarsi di un processo scomodo? Ci tranquillizzi, egregio ministro, e ci dica, finalmente, lei da che parte sta!