Scuola per tutti o quasi

Dall’iniziale approccio medico all’inserimento dei disabili nella “scuola per tutti”. In Italia, il passaggio da una visione asettica del diversamente abile ad una visione che ne garantisse il proprio progetto di vita non è stato sempre immediato. I casi di cronaca recenti, poi, in cui i loro diritti continuano ad essere disattesi riportano al centro della questione formativa l’autonomia scolastica che ancora non sembra valorizzare appieno percorsi didattici per questi alunni.

La normativa vigente sull’inclusione dei soggetti disabili nella scuola porta con sé un bagaglio legislativo non indifferente. Negli anni settanta, il nostro Paese decide di adeguare la scuola ai bisogni di una società in mutamento, una società che si apriva al benessere economico e chiedeva alle Istituzioni forme nuove di inclusione per tutti. Con la legge 118/71 la scuola dell’obbligo è stata aperta ai disabili, veniva abbandonata l’emarginazione in cui erano costretti  i disabili, presi in carico fino ad allora da strutture cliniche lontane dal proprio contesto di vita e dalla possibilità di entrare a contatto con le forma d’istruzione convenzionali. Solo con la legge 517/77, viene reso effettivo il principio dell’integrazione scolastica dei bambini disabili attraverso l’eliminazione delle classi “differenziali” e di “aggiornamento”, che erano state istituite da una legge del 1962. Infine con la Circolare del ministro della Pubblica Istruzione n. 262 del 1988 vengono individuati i criteri per consentire “l’effettività del diritto allo studio di alunni con handicap di qualunque tipologia in ogni ordine e grado di scuola”.

Il sistema scolastico italiano è stato disegnato, quindi, considerando queste persone come soggetto da integrare nella vita sociale, caratterizzandosi, appunto come “scuola uguale per tutti e diversa per ciascuno”.

La recente conquista dell’autonomia scolastica ha permesso di integrare meglio l’offerta didattica per alunni disabili con servizi socio-pedagogici atti alla piena soddisfazione dei bisogni formativi e di quelli legati al pieno loro coinvolgimento. E’ stato offerto ai docenti un pacchetto di  un 15% di ore di formazione per aggiornarsi e gestire efficacemente l’handicap nelle diverse situazioni in cui esso si presenta.

Sulla carta, il sistema di responsabilità condivisa, sembra aver previsto ogni aspetto evolutivo, formativo e associativo dei ragazzi portatori di handicap. Negli ultimi anni, poi, sono state diramate direttive come la CCNL del 1995-1998, nella quale vengono previste specifiche attività individualizzate rivolte alunni a particolari categorie di alunni (“recupero individualizzato” o per “gruppi ristretti di alunni con ritardo nei processi di apprendimento”, anche con riferimento ad alunni stranieri, in particolare provenienti da paesi extracomunitari” – Art. 41).

Apprendiamo ancora oggi come non sia del tutto scontata, però, la presa in carico dell’alunno disabile e del proprio diritto di istruzione e apprendimento. Nel recente passato provvedimenti come quelli dell’ex responsabile all’Istruzione Maria Stella Gelmini sembravano dare spazio ad una regressione sul taglio delle risorse alle scuole e nel dettaglio circa il taglio agli insegnanti di sostegno. In quell’occasione confermarono il sospetto sentenze come quelle del tribunale di Milano e del tribunale di La Spezia, in cui – si legge negli stessi dispositivi – “la scarsità delle risorse, quando parliamo di disabilità e diritto all’istruzione, non può mai giustificare il disservizio, si trattasse anche di una sola ora di lezione”.

Cambiano i governi ma il tema della disabilità a scuola resta.

E’ proprio di questi giorni l’allarme lanciato dalle associazioni Fand e Fish sul tetto massimo per la composizione delle classi frequentate da alunni disabili e la denuncia dell’Anffas nazionale circa la riproposizione di “scuole speciali” per gli alunni disabili, come successo di recente proprio a Palermo.

Fish e Fand, le due principali federazioni di persone e soggetti a tutela delle disabilità, hanno presidiato l’Osservatorio ministeriale sull’inclusione scolastica degli alunni con disabilità ottenendo dal neo Ministro all’Istruzione Maria Cristina Carrozza (presente anche il sottosegretario Mario Rossi Doria, assai sensibile ai diritti H) la parola, affinché, gli uffici ministeriali vigilassero sulle direzioni regionali chiamate a pronunciarsi sull’assegnazione del numero di classi alle singole scuole, perché venga rispettato il tetto massimo di 20-22 alunni, nelle classi con alunni portatori di handicap.

Alcune recenti dichiarazioni della ministra Carrozza, scrivono Fand e Fish in una nota – hanno generato, da alcune parti, contestazioni e reazioni negative: il tema è sempre quello degli insegnanti di sostegno (con timori di “tagli”) e della futura applicazione delle disposizioni della normativa sui BES, ‘i bisogni educativi speciali’ per affrontare i quali i docenti dovrebbero ricevere una specifica formazione.

Fand e Fish hanno espresso apprezzamento per la recente normativa ispirata alla volontà di porre al centro dell’azione educativa la capacità di inclusione delle istituzioni scolastiche. Proprio sulla circolare ministeriale, a firma dell’ex ministro Roberto Profumo ed, ereditata dalla professoressa Carrozza, Fand e Fish hanno chiesto in sede di osservatorio, chiarimenti sui Gruppi di lavoro interistituzionali provinciali istituiti e dei Centri territoriali per l’inclusione.

Le due sigle hanno chiesto al Ministro di esplicitarne meglio le competenze, il ruolo negli interventi a favore degli alunni con bisogni educativi speciali e come saranno riattivati e potenziati i Gruppi di lavoro per un corretto coordinamento delle politiche locali sull’inclusione scolastica. Fand e Fish caldeggiano come sia fissato, d’intesa con i sindacati, “l’obbligo di formazione in servizio per tutti i docenti curricolari che hanno alunni con disabilità in classe”.

Da fonti del ministero si apprende, poi, come sia in via di approvazione una normativa sull’autovalutazione della qualità della scuola che per le due sigle deve prevedere anche indici di valutazione sulla qualità inclusiva di classi e scuole, coinvolgendo le famiglie degli alunni con e senza disabilità in questa importante valutazione.

Il testo del Ministero, secondo sempre le associazioni, va comunque nella direzione di sviluppare e ampliare la visione sull’inclusione del disabile in Italia. “Obiettivamente – scrivono in un comunicato congiunto – vi sono degli elementi di fatto di segno opposto: saranno immessi in ruolo circa 27.000 docenti per il sostegno, sui 38.000 attualmente precari. Saranno poi garantite le nomine dei docenti precari per il sostegno relativamente a tutti gli altri casi di alunni certificati con disabilità. Non potrebbe essere altrimenti: nel 2010 la Corte Costituzionale (Sentenza 80/2010) ha stabilito in modo inequivocabile che il diritto allo studio, e quindi alle azioni di sostegno, non può essere compresso per esigenze di bilancio”.

La vicenda di Palermo, invece, vede protagonista il civico consesso della città. Con l’approvazione in Consiglio comunale di una mozione, che da parere positivo all’”istituzione di una scuola materna per bambini affetti da sindrome autistica”, l’Anffas Onlus, per voce del proprio responsabile nazionale Roberto Speziale senza entrare nel merito del provvedimento, ha sottolineato l’assoluta e ferma contrarietà nei confronti di qualsiasi tentativo, di qualsiasi natura, di creazione di classi o scuole speciali per gli alunni con disabilità.

“L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e soprattutto di quelli con disabilità intellettiva e/o relazionale” precisa  Speziale, “è un tema complesso e delicato, che – pur essendo esattamente declinato dalla normativa nazionale ed internazionale (in primis la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità) – continua a subire costanti e spesso subdoli attacchi sia nella prassi che in atti molto spesso presentati come migliorativi, ma che nei fatti si limitano a perpetrare sistemi di esclusione e discriminazione, frutto di un retaggio che ancora in Italia – nonostante infiniti sforzi – davvero ancora non si riesce a superare.”

Pur essendo un caso rientrato dopo la presa di distanza sul provvedimento da parte degli stessi uffici comunali, sulla volontà di costituire una scuola speciale, l’associazione desidera sottolineare “come siano ancora necessari interventi consistenti – a partire dalla formazione e responsabilizzazione dell’intero corpo docente e non solo di quello deputato al sostegno e del personale scolastico e di assistenza in generale ed alla valutazione e monitoraggio del reale rispetto delle norme e dei livelli di qualità dell’inclusione scolastica – per migliorare realmente il diritto all’istruzione degli alunni con disabilità, anche grave e gravissima, sui quali invitiamo tutte le Istituzioni a concentrare attenzione, impegno e responsabilità, piuttosto che puntare su iniziative che rischiano invece di determinare pericolose derive ed arretramenti”.

Una riflessione puntuale che prende spunto in un momento delicato della vita scolastica anche nell’Isola, dove spesso l’istituzione scolastica è l’unica realtà in cui i ragazzi disabili si confrontano con i limiti del proprio handicap e con le potenziali intellettive che solo un ambiente altro rispetto alla famiglia – in Sicilia sono molto bassi i dati dei giovani disabili che frequentano luoghi aggregativi, dello sport o della ricreazione altri rispetto alle principali agenzie educative – può offrire loro.

Nonostante, “la comunità scolastica e i servizi locali – leggiamo nelle direttive ministeriali – hanno il compito di “prendere in carico” e di occuparsi della cura educativa e della crescita complessiva della persona con disabilità, fin dai primi anni di vita e che tale impegno collettivo ha una meta ben precisa predisporre le condizioni per la piena partecipazione della persona con disabilità alla vita sociale, eliminando tutti i possibili ostacoli e le barriere, fisiche e culturali, che possono frapporsi fra la partecipazione sociale e la vita concreta delle persone con disabilità”, nel 2013 resta ancora argomento di discussione la piena cittadinanza e l’integrazione per il bambino disabile, che vede ancora negato il diritto di partecipare alla vita della classe e formarsi così come individuo alla pari degli altri e con gli altri.