Se bastasse una danza

Quello del 2013 è stato un 14 febbraio denso per le donne di tutto il mondo. Oltre ai festeggiamenti degli innamorati, che si sono scambiati promesse e regali per San Valentino, molte si sono riversate nelle strade di ogni angolo del pianeta per ballare contro la violenza di genere.

“Una donna su tre nel mondo subisce violenza o viene stuprata almeno una volta nella sua vita; un miliardo di donne violentate è un’atrocità; un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione”: in questi tre punti gli organizzatori hanno spiegato il perché del flash-mob “One billion rising”.

L’iniziativa ha portato uomini, donne e bambini a manifestare in modo gioioso contro questa violenza, che esiste dappertutto: nei Paesi dove le donne sono succubi degli uomini, e chi ha ballato lo ha fatto anche a rischio della propria vita; nell’Occidente che si professa civile; fra le quattro mura vicino a casa nostra.

L’associazione che ha organizzato il ballo collettivo si chiama V-day ed è nata da un’idea di Eve Ensler, scrittrice e autrice dei “Monologhi della vagina”. Lei ama definirsi un prodotto degli anni Sessanta e una femminista. L’associazione, nata il giorno di San Valentino del 1998, si pone come obiettivo la fine della violenza di genere.

Posto che ogni iniziativa che miri a portare le luci dell’informazione su una tale brutalità è lodevole, la domanda che viene da porsi è: basta una danza per fermare la violenza sulle donne? L’esempio italiano è particolarmente deludente. Qui sensibilizzare con eventi come il “One billion rising” non può essere abbastanza. Né, tantomeno, può diventare un alibi per sentirsi con la coscienza a posto.

Il nostro Paese, aderendo all’Unione europea, si è impegnato a portare l’occupazione femminile al 60% nel 2010. Oggi è ferma al 43%, e l’Italia è all’86esimo posto nella classifica che misura il “gender gap”, cioè il divario nell’occupazione maschile e femminile. Le donne che lavorano percepiscono stipendi più bassi degli uomini che hanno le stesse mansioni, e solo il 5% di loro ha la possibilità di raggiungere posizioni di vertice.

L’Italia, poi, è l’unico Paese europeo in cui esiste una questione femminile legata al corpo della donna e alla immagine che i media ne danno. Mentre il miliardo di persone si ribellava contro la violenza di genere e la donna-oggetto, nella televisione generalista italiana va ancora in onda una pubblicità che dovrebbe promuovere l’acquisto di una marca di salumi e in cui una bambina fa leva sul suo aspetto fisico per ottenere dal maschietto una fetta di salame in più. Lo spot si conclude con la frase “l’uomo è cacciatore”. E la donna cos’è? Preda? Se questi sono i comportamenti che la televisione trasmette massicciamente ogni giorno dell’anno a tutte le fasce d’età della popolazione italiana, cosa può fare un singolo evento il 14 febbraio?

Mentre le donne ballano contro la violenza e va in onda lo spot della bambina che impara l’arte di una prostituzione soft, l’atleta sudafricano Oscar Pistorius uccide la sua fidanzata con quattro colpi di pistola, in India le ragazze continuano a lottare per non essere violentate dal branco sugli autobus e in Italia la campagna elettorale lascia fuori dai suoi dibattiti la questione femminile, c’è poco da stare allegre.  

 

Foto Gianrico Battaglia