Se la iena si fa docile

Smuovere una critica a chi è al momento oggetto di un consenso nazional-popolare non è mai facile; non lo è perché le parole possono essere travisate, scambiate per invidia o sentimenti poco chiari del genere. Eppure è necessario, a volte. È necessario far capire perché slogan à la “Meno tasse per tutti” sono solo, appunto, slogan, se non hanno niente di concreto dietro.

Discorso valido per molti campi: la politica, lo sport, la musica… Non ne fa eccezione la satira, o quella spacciata per tale. Ho visto critiche feroci a Luca & Paolo in quel di Sanremo mentre riproponevano pillole di Gramsci e ironizzavano (in maniera -va detto- molto soft) sullo scontro Fini-Berlusconi con canzoncine e battute magari scontate, ma che portate in un palcoscenico come quello dell’Ariston potevano far sorgere qualche dubbio a un ascoltatore dotato di senso critico.

Ecco: il problema di Enrico Brignano, probabilmente, sta in questo ultimo punto. A un ascoltatore dotato di un minimo senso critico i suoi monologhi “impegnati” scivolano addosso, non lo scalfiscono, al massimo causano un po’ di sonnolenza mista a un triste senso di impotenza -qualora non si abbia il telecomando a portata di mano.

Davvero esiste una gara di satira in cui lui (ottimo attore di teatro, indubbiamente) si possa sentire tirato in ballo tanto da buttare giù due monologhi di una pochezza effettiva incredibile, dato il contesto nel quale vengono pronunciati? La critica non va al Brignano attore, ma al Brignano autore: davvero il modo migliore per far notare il dislivello esistente tra casta politica e normali cittadini (e già ridurre lo “scontro” a queste due fazioni è erroneo) è guardare nel loro piatto e quanto pagano nei ristoranti di Camera e Senato? Nessuno mette in dubbio che una differenza sia palese ed effettivamente esistente, ma questo è uno dei numerosissimi dati da poter sciorinare e, permetteteci, il più banale.

Idem per quello che è diventato uno dei monologhi più apprezzati del Brignano versione iena, il primo: Roma e i black bloc nel famigerato 15 Ottobre. Semplificare l’odio, smontare in maniera dissennata le proteste (seppur incivili), cavalcando l’onda più nazional-popolare possibile, dicendo che “300 black bloc mimetizzati con le spranghe in mano non valgono un solo romano definitivamente incazzato che tira fuori il crick dalla macchina black bloccata”, mentre a metà monologo si comincia a fare spazio nelle pieghe della mente quel vedo/non vedo del “Ma non è che ‘sta manifestazione degli indignati non doveva riuscire?”. Insomma, come si dice in gergo, un colpo al cerchio e un colpo alla botte.  Le accuse alle forze dell’ordine (velate, ma neanche tanto) sono sopite sul nascere da una vena pseudo-ironica che tanto somiglia al velo di Maya di schopenaueraniana memoria. Un Brignano giolittiano, che attira consensi da destra e sinistra, ma che chiama a sé le accuse di ipocrisia da parte di numerosi non allineati. Non è con l’ironia spicciola che si fa satira, non è con il mero populismo che si raggiunge un livello di sarcasmo dei grandi nomi italiani del settore. Anche perché Enrico Brignano è romano, eppure, perdonate la probabile poca fantasia, non sembra affatto tipo da allontanare con un crick in mano trecento black bloc mimetizzati con le spranghe in mano.

Chiaramente, è bene puntualizzare: non si chiede certo a Brignano di scendere in piazza e picchiare la gente, né tantomeno di diminuire il tentativo di apparire il più nazional-popolare possibile; il problema è che le sue parole vengono prese come seria critica politica, quando in fondo non sfiora neanche il problema di fondo. Non è neanche un problema di “padroni”, dato che Brignano è sotto contratto con Mediaset: anche Iacchetti lo è, eppure il sior Enzino nei suoi brevi interventi video su Facebook ha sempre fatto nomi e cognomi, senza mezze misure, senza paura (sì: paura) di apparire schierato. Non si tratta più di destra e sinistra, caro Brignano; si tratta di un Paese reale e un paese immaginario, i cui due mondi sono distanti anni luce, molto più di quello che si possa credere. Il fatto che qualcuno paghi un pranzo un quinto di quanto lo pagherebbe la classica massaia di Vigevano non è che la punta dell’iceberg, quella più facile da criticare, quella che fa storcere il naso a tutti, indistintamente. È, appunto, troppo facile citare solo questo per poter anche solo minimamente pretendere un posto tra i professionisti della satira politica.