Di Francesco Cirillo
Mi sono fatto due scatole così a leggermi tutti i programmi elettorali di destra, sinistra, centro, alto, basso, alla ricerca spasmodica di qualche rigo che parlasse dei servizi segreti e dei segreti di stato da eliminare e rivelare.
Potrebbe sembrare una sciocchezza a molti, rispetto alle tasse, all’Imu, all’Ici, all’Irpef, ai posti di lavoro e via dicendo, ma io penso , ed in rete sono in molti a crederlo, per fortuna, che la questione dei segreti di stato e del ruolo avuto , e che ancora hanno, i servizi segreti in Italia, siano il pane ed il sale della nostra democrazia. Parlare di regole democratiche, costituzione, legalità e quant’altro passa necessariamente dalla loro demolizione, dall’apertura degli archivi segreti e dagli armadi blindati e senza dubbio darebbe alla nostra democrazia, alla nostra società, uno slancio liberatorio superiore a tutto il resto di cui si parla. Significherebbe liberare la nostra Italia da una cappa che ci è stata imposta fin dal primo dopoguerra e porterebbe alla luce i nomi dei responsabili delle tante stragi che vi sono state, dei mancati golpe, del ruolo della massoneria e della mafia negli affari di stato ed infine il ruolo dei governi nel traffico internazionale dei rifiuti tossici e delle navi dei veleni affondate nei nostri mari. Darebbe verità e giustizia alle tante famiglie ed ai tanti uomini deceduti in questa guerra civile segreta iniziata dalla caduta del fascismo e mai terminata. Vi sembra poco tutto questo ? Vi sembra un argomento ancora tabù da non poter portare in televisione, pari quasi all’uso del preservativo ? Chiediamoci perché nessun partito politico oggi in corsa per le prossime elezioni non ama parlare di questi argomenti ? Una piccola risposta io ce l’ho. Perché , a mio avviso, a tutt’oggi i servizi segreti e i massoni nello stato italiano hanno la possibilità di poter avere loro uomini a difesa dei segreti dello stato stesso. Berlusconi mise e lo sono tutt’ora due fedelissimi, quali Pecorella nella Commissione sul ciclo dei rifiuti e Pisanu in quella dell’antimafia. Il centrosinistra , dato per vincitore delle prossime elezioni, certamente manterrà gli stessi impegni. Basti pensare a uomini come l’ex Procuratore generale dell’antimafia quale Piero Grasso, candidato nelle liste del Pd, che dette subito ascolto alle fantasie della Ministra Prestigiacomo sulla nave Cunsky, affondata nel mare di Cetraro, a detta del pentito Fonti, deceduto in circostanze misteriose qualche settimana fa, senza minimamente ascoltare altre voci sulla delicatissima questione. L’ex Procuratore Piero Grasso non ebbe il minimo dubbio , anche quando a poche ore del falso ritrovamento della nave Catania , la Prestigiacomo in una affrettata conferenza stampa, sbagliò il nome della nave indicando la nave Cagliari piuttosto che il Catania. Un lapsus freudiano dovuto alla vicinanza delle due navi affondate durante le due guerre mondiali. Ma non voglio essere cattivo fino in fondo e voglio dare all’ex Procuratore Grasso, il beneficio dell’inventario e la possibilità di dimostrare che quello che scrivo io sono solo fantasie giornalistiche. Si faccia mettere davvero a capo della Commissione Rifiuti e oramai libero dai vincoli dei segreti di stato dia prova della sua autonomia politica e faccia riaprire il caso delle navi dei veleni. Gli elementi per riaprire il caso oggi ci sono e sono tanti. Uno fra tutti riguarda proprio la nave Cunsky. Il suo ex collega della Dda di Catanzaro, il procuratore Vincenzo Lombardo, a seguito delle ultime rilevazioni, ha subito scartato l’ipotesi di un apertura dell’indagine. Ma come ? E’ come se ad una persona accusato dell’omicidio della moglie cadesse un alibi.
“ Ero al bar con gli amici” aveva detto a chi indagava sul caso. Poi si ascoltano gli amici uno per uno e nessuno conferma la sua presenza al bar in quelle ore. Che fa un magistrato ? Lo arresta subito per omicidio E’ la stessa cosa . Quale fu la scusante della Prestigiacomo e del procuratore Grasso a proposito di quella nave davanti a Cetraro ? Non poteva essere la Cusnky si disse in quanto quella nave era stata smantellata ad Alang in India il 23 gennaio del 1992. Per cui quella nave era un’altra e precisamente la Catania affondata nel 1917. Il caso in base a queste uniche affermazioni date dalla Capitaneria di Porto di Vibo venne subito chiuso. Poi a queste affermazioni si fecero vedere dei video girati dalla Mare Oceano incredibilmente diversi da quelli girati dalla nave Coppernaut e non se ne parlò più.
Ma gli indagatori avrebbero dovuto sapere che uno dei trucchi usati da chi gestisce questo traffico è proprio quello di dimostrare con documenti, naturalmente falsi che quelle navi venivano smantellate, dopo aver cambiato due o tre volte nomi sui documenti. Difatti la Cunsky , non si chiamava più Cunsky. L’ultimo proprietario del cargo risulta essere una società di armatori con sede a Saint Vincent, nelle Antille. Si tratta della Alzira Shipping Corporation, come risulta dagli archivi Starke-Schell Registers inglesi, una delle fonti più attendibili per ricostruire la storia di un vascello. Questa società acquistò la nave nel 1991 da un’altra compagnia, cambiando il nome da Cunski a Shahinaz. Dal registro la Cunski-Shahinaz risulta poi demolita ad Alang il 23 gennaio 1992.
Il cambio dei nomi serviva anche a rendere difficile la ricostruzione dei trasporti che facevano queste navi, così come risultava difficile identificare il porto di provenienza e la società che organizzava il trasporto. A proposito di questi trucchetti ne scrisse nel 2009 in un rapporto, l’organizzazione ambientalista Greenpeace prendendo ad esempio la Jolly Rosso, spiaggiata il 14 dicembre del 1990 sulle coste di Amantea alla foce del fiume Oliva. Scrive Greenpeace a proposito del ruolo avuto dal governo italiano nel 1989 nel trasportare rifiuti tossici: “La raccolta e il contenimento dei rifiuti a bordo della nave “Jolly Rosso”, noleggiata dalla Monteco per portare i rifiuti in Italia, si è svolta senza la cooperazione tra gli italiani e il comitato ufficiale libanese di esperti creato per supervisionare le operazioni. Gli italiani avevano fretta, mentre le autorità libanesi avevano richiesto che la partenza della nave con i rifiuti fosse rimandata fino a quando il Ministero della Salute non avesse emesso una specifica autorizzazione. Gli italiani non ascoltarono le preoccupazioni del governo libanese, e la nave salpò senza l’autorizzazione del Ministero della Salute e la conferma della commissione libanese. La Jolly Rosso lasciò Beirut l’11 gennaio 1989, con più di 9500 barili a bordo e pochi giorni dopo raggiunse il porto italiano di La Spezia, dove rimase fino ad aprile in attesa di autorizzazioni da parte delle autorità italiane per scaricare il suo carico.” Che fine fecero quei 9500 barili di rifiuti tossici non ci è dato sapere. E qui si collega un altro mistero italiano. Quello della morte improvvisa del capitano di corvetta Natale De Grazia che indagava sia sulla Motonave Rosso, ex Jolly Rosso, che sulla nave Rigel scomparsa davanti Capo Spartivento . Su de Grazia si è scritto e detto di tutto. E’ una storia piena di dubbi e la Commissione presieduta dall’On. Pecorella continua a ripercorrere la sua storia, interrogando a più non posso, ma secretando tutto. Nessuno deve sapere cosa dicono gli interrogati. L’ultimo interrogatorio riguarda quello del maresciallo Scimone. Scimone aveva già avuto un interrogatorio da parte del Presidente Pecorella il 18 gennaio del 2011 ed io ne avevo già scritto su questo giornale. In quell’occasione poco prima dell’audizione del maresciallo Scimone venne ascoltato il cognato del comandante De Grazia, Francesco Postorino, il quale fa capire che il maresciallo Scimone era in contatto con i servizi segreti e che la cosa a De Grazia non piaceva affatto. Ecco un estratto del lungo interrogatorio che fa ben comprendere come i servizi segreti abbiamo avuto un ruolo in tutte le vicende delle navi dei veleni e che un segreto di stato, a tutt’oggi ne nasconde le verità. Ecco perché ritengo che se non si tolgono questi segreti di stato non raggiungeremo mai nessuna verità e che mai verrà fatta giustizia e che la nostra democrazia sarà sempre in bilico oltre che a metà.
PRESIDENTE PECORELLA . L’ordine del giorno reca l’audizione, nell’ambito dell’approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul fenomeno delle navi a perdere e, in particolare sulla morte del capitano Natale De Grazia, di Francesco Postorino.(….)
Tra le molte cose di cui la Commissione si sta occupando vi è la vicenda delle cosiddette navi a perdere e, all’interno di questa vicenda, della morte di Natale DeGrazia. Sappiamo che lei ha già svolto delle attività in sede giudiziaria, si è fatto promotore, se non sbaglio, di una denuncia dopo una prima archiviazione e ha reso anche delle dichiarazioni. La inviterei adesso a fornire alla Commissione le notizie che sono a sua conoscenza, cioè le attività che svolgeva il capitano De Grazia, la vicenda relativa alla sua scomparsa e ciò che comunque può essere utile complessivamente alla Commissione per ricostruire il ruolo che fu fondamentale del capitano De Grazia, così fondamentale che dopo la sua scomparsa praticamente si sciolse il gruppo di indagine anche con situazioni che a noi paiono in qualche misura meritevoli di attenzione, come nomine rapidissime e pensionamenti anticipati. Le lascerei la parola ancora ringraziandola e poi i commissari e io stesso eventualmente le porremo delle domande.
FRANCESCO POSTORINO. Della vicenda ero a conoscenza in maniera marginale perché non conoscevo notizie dettagliate di questa indagine. Sapevo che mio cognato partecipava con la procura di Reggio Calabria all’indagine relativa all’affondamento di navi in quanto lavoravamo nello stesso ufficio.
PRESIDENTE. Anche lei è un militare?
FRANCESCO POSTORINO. No, io sono un civile. Lavoravamo insieme nel senso che lui era caposezione e io ero impiegato civile. Sapevo, quindi, che collaborava con la procura di Reggio Calabria per quanto riguarda questa indagine. Non ero a conoscenza di notizie dettagliate. Mi aveva accennato che erano in corso queste indagini con la procura di Reggio Calabria. Mi ricordo che una volta mi chiamò dalla procura e mi chiese di segnarmi un nome legato all’affondamento della Rigel e di trovargli il fascicolo relativo. Mi chiese di custodirlo e di consegnarlo nelle sue mani, cosa che avvenne appena lui rientrò in ufficio. Altri accenni erano al fatto che l’indagine era un po’ delicata, che avevano ricevuto pressioni e minacce, ma non sapevo molto di più sull’indagine. Ultimamente l’ho visto turbato. Circa dieci o quindici giorni prima della sua morte non era soddisfatto del comportamento di alcune persone che facevano parte del pool, che secondo lui lavoravano un po’ remando contro, rallentando le indagini. Per quanto riguarda l’esposto, è stato fatto assieme agli altri componenti della famiglia perché a seguito della sua morte non abbiamo il risultato dell’autopsia e questo non ci è parso molto chiaro. In pratica, si sarebbe trattato della morte per arresto cardiaco di una persona che sprizzava salute da tutti i pori e che qualche mese prima era stata sottoposta a visita medica per l’avanzamento di grado. Quando abbiamo letto l’autopsia, quindi, che era in palese contraddizione con la perizia del nostro perito, abbiamo ritenuto che c’era qualcosa che non andava. Tra la perizia del perito d’ufficio e quello di parte, infatti, c’era una contraddizione: secondo il primo mio cognato doveva essere una persona che si reggeva a mala pena in piedi perché parlava di un cuore stanco, ammalato, cosa non era vera perché, ripeto, qualche mese prima era stato sottoposto a visita per l’avanzamento di grado e anche perché nella comunicazione dei carabinieri che accompagnavano mio cognato era descritto in maniera dettagliata il percorso del viaggio, che si erano fermati a cenare in un ristorante, era detto cosa avevano mangiato, che avevano bevuto anche del vino, del limoncello; tuttavia, nella perizia del perito del tribunale dall’esame tossicologico non risultavano tracce di alcol. Questa è una cosa che ci lascia tuttora col dubbio. Secondo me e secondo la famiglia le cose non sono andate come è stato scritto.
PRESIDENTE. Intanto, le rivolgeremo un po’ di domande perché la questione è sicuramente di grande importanza. Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ALESSANDRO BRATTI. Rispetto alle preoccupazioni manifestate, suo cognato le aveva parlato di qualche cosa in maniera specifica? O era lei in generale a vederlo preoccupato? Era una sensazione sua?
FRANCESCO POSTORINO. Quando ha iniziato a partecipare a questa indagine lo vedevo pieno di entusiasmo. Mi aveva riferito che, dopo circa un mese, una volta, mentre stavano andando a Catanzaro per che questa indagine – non so se in macchina c’era anche il procuratore – sono stati affiancati da una macchina che aveva forse cercato di buttarli fuori strada. Successivamente sì, mi aveva parlato di un personaggio e non ho capito se era stato avvicinato mentre lui si trovava col maresciallo Scimone oppure si era avvicinato al maresciallo per fare delle pressioni, un certo Anghessa, un noto faccendiere, ben conosciuto.
ALESSANDRO BRATTI. Le ha fatto nome e cognome di questo Anghessa?
FRANCESCO POSTORINO. Sì.
PRESIDENTE. Sull’episodio Anghessa non è ancora sufficientemente chiaro che cos’è accaduto. Cosa le ha descritto suo cognato?
FRANCESCO POSTORINO. Non è entrato nei particolari. Mentre si parlava mi ha detto che c’era stato questo avvicinamento, non ho capito se si era avvicinato a lui mentre si trovava col maresciallo Scimone o si era avvicinato al maresciallo Scimone in modo che facesse pressione su di lui. Inizialmente non si sentiva preoccupato. Quando mi aveva accennato che c’era questa indagine in corso, infatti, io gli avevo detto di stare attento, ma lui non si sentiva sottoposto a minaccia perché ha sempre sostenuto di essere solo un tecnico e che se c’era qualcuno da colpire non era lui, un tecnico, capitano di Marina di lungo corso, esperto di carichi di navi, in coordinate.
ALESSANDRO BRATTI. Non le aveva mai parlato dell’indagine che stava svolgendo? Rispetto anche all’ultimo viaggio, ad esempio, non le disse dove stava andando, cosa andava a fare? Avevate quella sintonia di dialogo oppure no? Le parlava delle cose che stava facendo?
FRANCESCO POSTORINO. In maniera marginale, non dettagliata. So che aveva fatto dei viaggi al nord, erano stati a Brescia, aveva incontrato, mi sembra, un colonnello della Guardia forestale, un certo Martini o Marino, non ricordo, però non è mai entrato nei dettagli dell’indagine. So che aveva incontrato a Messina, mi sembra qualche settimana prima della morte, un ammiraglio dello Stato maggiore, ma non so se appartenesse ai Servizi, non so chi fosse.(……..)
PRESIDENTE. Quindi era turbato non per la sua persona, ma perché c’erano state delle violazioni di segreti. Prima ci ha detto che le ha chiesto di prelevare il fascicolo della Rigel e di custodirlo personalmente: gli ha chiesto perché? Sembrerebbe che temesse che qualcosa potesse essere alterato: quando l’ha visto gli ha chiesto perché esistesse quel problema?
FRANCESCO POSTORINO. No, non l’ho chiesto, forse si fidava di me.
PRESIDENTE. Il punto è proprio che si fidava di lei.
FRANCESCO POSTORINO. Mi ha chiesto di prendere il fascicolo e consegnarlo personalmente a lui.
PRESIDENTE. E lei non ha avuto la naturale curiosità di sapere come mai addirittura la chiamasse per prendere il fascicolo?
FRANCESCO POSTORINO. No, mi trovavo in ufficio, lui si trovava in procura e mi ha chiesto di prendere questa pratica.
PRESIDENTE. E di conservarla, non di portargliela in procura.
FRANCESCO POSTORINO. No, di tenerla e quando sarebbe tornato l’avrei consegnata a lui per evitare, magari, di lasciarla in giro. Almeno, io ho interpretato così.
PRESIDENTE. Dov’era questo fascicolo?
FRANCESCO POSTORINO. Era negli archivi dei sinistri.
PRESIDENTE. Quindi non era in giro, era negli archivi. Lei ha accennato anche al fatto che lui si lamentava che c’era nel suo gruppo chi remava contro: che cosa intende dire con questo? C’era qualcuno che non svolgeva le indagini?
FRANCESCO POSTORINO. Ultimamente si era lamentato del maresciallo Scimone, nei confronti del quale aveva iniziato a perdere un po’ di stima e si fidava un po’ meno.
GERARDO D’AMBROSIO. Quello che mi stupisce nella vicenda dell’accertamento della morte è che sia stato nominato lo stesso perito. Anche quando è stata disposta la riapertura dell’indagine da parte del magistrato è stato nominato perito lo stesso medico legale nominato in precedenza. Ora, credo che una cosa del genere, come ha stupito me, dovesse stupire molto di più voi che avevate richiesto la riapertura. È stato fatto presente al magistrato?
FRANCESCO POSTORINO. Sì. Se non sbaglio, la seconda autopsia è stata eseguita il 19 giugno 1997. In pratica, è stato notificato a Nocera che il magistrato aveva disposto la seconda autopsia il 18 giugno alle ore 14.00.
GERARDO D’AMBROSIO. È stata notificata al suo avvocato?
FRANCESCO POSTORINO. No, è stata notificata a me e al fratello del capitano De Grazia.
GERARDO D’AMBROSIO. E voi cosa avete fatto? Avete reclamato? Avete spedito un telegramma?
FRANCESCO POSTORINO. No, il magistrato aveva disposto in quel modo. Ci ha trovato un po’ spiazzati perché aveva disposto già l’autopsia, quindi l’indomani mattina alle 9.00 era già prevista la riesumazione della salma. (………..)
ALESSANDRO BRATTI. Da quello che è di sua conoscenza, com’era il rapporto tra il comandante e i suoi due collaboratori più stretti, soprattutto Moschitta?
FRANCESCO POSTORINO. So che avevano un buon rapporto. L’unica lamentela era riferita al fatto che era un po’ seccato per alcune cose che erano uscite fuori e che dovevano rimanere segrete.
PRESIDENTE. Che cosa le disse in particolare del maresciallo Scimone? Non le disse altro? Non le parlò dei rapporti con i servizi segreti da parte di Scimone?
FRANCESCO POSTORINO. Mi disse soltanto che era seccato perché erano uscite fuori delle cose riservate.
PRESIDENTE. Lei è stato ascoltato dal pubblico ministero anche sul maresciallo Scimone, si ricorda?
FRANCESCO POSTORINO. Sì.
PRESIDENTE. Si ricorda cosa ha detto al pubblico ministero?
FRANCESCO POSTORINO. Mi ricordo di aver detto queste stesse cose.
PRESIDENTE. Al pubblico ministero ha detto che suo cognato le aveva riferito in qualche occasione di un comportamento strano del maresciallo Scimone del Nucleo operativo dei carabinieri di Reggio Calabria. «Mi confessò in modo esplicito di essersi accorto che un suo collaboratore nelle indagini passava informazioni riservate ai servizi deviati. Quando, sulla base dei sospetti da lui esplicitati in precedenza, gli feci il nome del maresciallo Scimone, lui mi confermò facendo un cenno con la testa». Non le ha solo detto, quindi, che non si comportava bene, le ha detto che aveva rapporti e passava notizie ai servizi deviati. Questo oggi l’ha dimenticato? È la verità o non lo è? Non è una notizia di quelle che si dimenticano che ci sia un collaboratore del capitano De Grazia che passa notizie ai servizi deviati.
GERARDO D’AMBROSIO. «Deviati» ha un significato in più. Non dice che passava notizie ai servizi segreti, ma ai servizi segreti deviati, che mi pare una cosa molto diversa dal passare notizie ai servizi segreti visto che anche i carabinieri di solito sono in contatto diretto con i servizi segreti, ci sono i centri di controspionaggio, i centri Cs, fatti dai carabinieri, sono presso i nuclei dei carabinieri.
PRESIDENTE. Dei servizi deviati il senatore D’Ambrosio sa parecchio per la sua esperienza precedente di magistrato.
GERARDO D’AMBROSIO. Per piazza Fontana, ma il termine «deviati» nacque allora per indicare i servizi che si occupavano di cose che non erano di competenza dei servizi segreti. Ora, se avesse parlato di servizi segreti non ci sarebbe niente di strano, in fin dei conti può anche succedere che un maresciallo dei carabinieri riferisca ai servizi segreti, ma che abbia usato il termine «deviati» mi stupisce: lei è sicuro che abbia usato questo termine?
FRANCESCO POSTORINO. Sì.
PRESIDENTE. Questo è quanto ha riferito al pubblico ministero. Il capitano De Grazia durante il viaggio in cui purtroppo è deceduto aveva con sé una borsa, qualcosa?
FRANCESCO POSTORINO. Sì, aveva una borsa portadocumenti, che hanno preso in consegna Moschitta e l’altro collaboratore.
PRESIDENTE. Chiederemo anche questo a Moschitta. Voi lavoravate nello stesso ufficio, avevate un rapporto di parentela: il capitano De Grazia l’ha mai informata di ciò che stava cercando di scoprire, delle indagini che svolgeva? Le ho già chiesto della Rigel, che era un fatto singolare.
FRANCESCO POSTORINO. Sì. Lui ha iniziato a collaborare con la procura, se non sbaglio nel mese di aprile del 1995. Subito dopo era partito per andare fuori Reggio per questa missione e mi aveva detto che stava collaborando e che erano emerse notizie degli affondamenti di navi con carichi di rifiuti, però non in maniera dettagliata. Aveva anche accennato alla tecnologia inventata da Comerio dei missili per l’affondamento delle scorie radioattive. Ho saputo in seguito che c’era anche la Rigel e dell’affondamento sospetto dopo che gli ho consegnato il fascicolo. Ho appreso altre notizie più che altro dalla stampa.
PRESIDENTE. Lei accennava prima a una vicenda legata a una perquisizione, a un contrasto che vi sarebbe stato tra il capitano De Grazia e il maresciallo Scimone.
FRANCESCO POSTORINO. Più che a un contrasto mi aveva accennato del fatto che durante una perquisizione il maresciallo Scimone aveva tenuto un certo comportamento con una segretaria e lui non lo aveva gradito.
PRESIDENTE. Quello che sta dicendo non ci consente di capire cosa è successo, non l’avrebbe capito nemmeno lei. Quali fatti le ha descritto?
FRANCESCO POSTORINO. Mi ha detto che durante questa perquisizione aveva notato che il maresciallo Scimone non stava tenendo un comportamento…
ALESSANDRO BRATTI. Faceva il galante, il galletto, il furbo o si trattava di altre questioni?
FRANCESCO POSTORINO. Ricordo solo che mi riferì che aveva usato un atteggiamento un po’ galante con una segretaria, però non so se facesse il furbo.
PRESIDENTE. Scusi, lei ha detto al pubblico ministero «si riferì a una strana condotta del maresciallo Scimone durante una certa perquisizione o un sopralluogo a Roma o nelle vicinanze senza però chiarirmi altro». Allora, tutto si può dire tranne che sia un comportamento strano fare la corte a una segretaria, mi pare un comportamento naturale.
FRANCESCO POSTORINO. Strano in questo senso, non in un altro.
PRESIDENTE. Siamo uomini di una certa esperienza, nessuno lo definirebbe mai un comportamento strano. Oltretutto, abbiamo la relazione di quello che è accaduto, non era un comportamento strano, ma un contrasto su come era stato steso un verbale e così via, quindi non è un comportamento strano. Aggiungo che, se a chiunque dotato di un minimo di attenzione e curiosità, soprattutto un parente, fosse stato detto che qualcuno aveva tenuto un comportamento strano, questi avrebbe osservato che, visto che gli veniva riferito, evidentemente doveva trattarsi di una cosa che lo aveva colpito. Cosa voleva dire strano? Lei non si è incuriosito e non gli ha chiesto che cosa significasse «strano»?
FRANCESCO POSTORINO. No, mi è sembrato di capire che avesse avuto un comportamento strano con una segretaria. L’ho attribuito al fatto che volesse fare il galante, ma non mi riferì altro.
(…..)