Siamo fatti di terra e di amore

Terra, acqua, vento e sole, «semu fatti di terra,

semu fatti pi fari all’amuri».

 

Sono i colori della Sicilia, i suoni del tempo che passa e del pianeta che chiede a gran voce attenzione gli ingredienti di un album e di un progetto musicale che mescola influenze e lingue, generi e tematiche. Figlio del sodalizio artistico dei cantautori Giana Guaiana e Pippo Barrile, “Fatti di Terra” narra gli accadimenti, i fatti appunto, della terra di Sicilia: «un fatto è che il mare “nostrum” porta con sé migliaia di disperati in cerca di un futuro migliore; un fatto è che questa terra alcuni la amano talmente poco da riempirla di spazzatura e veleni; un fatto è che le malattie legate al cibo industriale scadente aumentano, ma per fortuna tanti agricoltori cercano di porvi rimedio coltivando cibi salutari, nel rispetto della biodiversità locale».  Le voci e le composizioni dei due artisti, siciliana d’occidente lei e siculo-belga d’oriente lui, raccontano i siciliani fatti proprio della terra che abitano e che di quella terra hanno i colori, gli umori e le contraddizioni. Un ritorno alla terra, spesso trascurata e oltraggiata, attraverso il canto stesso della terra.  Ne abbiamo parlato con i due artisti.

 

“Fatti di Terra”, un progetto che mescola con maestria tutti gli elementi, aria, acqua, terra, fuoco. Come e quando nasce? Che accoglienza ha trovato nel pubblico?

 Pippo Barrile – Avevamo scritto già da molti anni questi brani, ognuno separatamente e alcuni anche a distanza di molto tempo, ma abbiamo scoperto che molti avevano un legante comune: il rapporto dell’uomo con la natura e i suoi elementi. A questi abbiamo aggiunto dei brani d’amore, poi abbiamo trovato in Peppe Corsale un valido collaboratore nell’arrangiare, registrare e mixare i brani… et voilà, nasce “Fatti di Terra”!

 

Giana Guaiana – Ci risulta che il pubblico stia apprezzando abbastanza sia i testi che le musiche. Ecco uno dei tanti commenti dei nostri estimatori: “mi è piaciuto molto, leggero e profondo, ti fa nascere emozioni antiche”.

 

Canzoni, quelle dell’album, che toccano i temi più disparati, dal rapporto con la natura all’amore passando per l’alimentazione e l’inquinamento. Ma pur sempre testi d’impegno sociale che traspare anche nella dedica dell’album.

 PB – La dedica ai “giovani, ragazzi, bambini, neonati delle nuove e future generazioni, con la speranza che sappiano prendersi cura di questo pianeta meglio delle generazioni passate” vuole essere nello stesso tempo un rimprovero alle generazioni susseguitesi nell’ultimo secolo per come hanno compromesso forse per sempre il futuro all’umanità su questa terra e uno sprone per le nuove generazioni a non ripetere gli stessi errori. L’errore di essersi creduti superiori alla natura, affidandosi troppo alla chimica, accettando di alimentarsi con cibo spazzatura, riempiendo il pianeta di scorie di ogni tipo. L’errore di aver adorato troppo il dio denaro, mettendo la nostra vita nella mani di esseri malvagi, avidi e corrotti.

 

GG– Solo l’amore ci può salvare, verso noi stessi e verso tutti gli esseri di tutti i mondi. In “Fare a meno di te” c’è un chiaro riferimento a questo duplice significato dell’amore, umano e cosmico

 

Come nasce la vostra collaborazione?

 PB – Con Giana ci siamo conosciuti nel 2012, quando siamo stati contattati, ognuno separatamente, per cantare con la “Piccola Orchestra Malarazza” e da allora non ci siamo più separati.  Dopo questa esperienza, durata una stagione, abbiamo messo insieme i nostri rispettivi repertori, con composizioni originali e brani tradizionali, e abbiamo cominciato a suonare in duo, avvalendoci di volta in volta della collaborazione di altri musicisti, sino ad arrivare nel 2017 al concepimento del progetto “Fatti di Terra”.

 

Quali sono le vostre fonti di ispirazione?

PB – Avendo scelto 30 anni fa di andare ad abitare in campagna e di occuparmi della terra (ho anche una laurea in agraria), sono per forza gli elementi della natura e come l’uomo ci si rapporta la mia fonte primaria d’ispirazione; il brano “Focu”, per esempio, è nato dopo un violento incendio che ha devastato la mia campagna sull’Etna dove abitavo qualche anno fa.

GG – I miei testi nascono sempre da un’urgenza di raccontare una determinata storia, sia essa una biografia, un’istanza sociale, un flusso di coscienza. Riguardo le musiche, i modi del folk sono preponderanti perché da almeno 15 anni mi sono dedicata soprattutto a questo genere, fra i preferiti: Gabriella Ferri, Rosa Balistreri, Maria Carta, Mercedes Sosa, Victor Hara, Inti Illimani, Nuova Compagnia di Canto Popolare, Taberna Mylensis, Noa. Ma amo anche il soul di Tuck and Patti, il rock dei Pixies e dei Nirvana (per non andare troppo indietro), le atmosfere di Ravi Shankar, Michael Hedges, Bill Frisell, Pat Metheny, la musica brasiliana tutta. Sono incantata dalla poetica di Vinicio Capossela e dalla genialità compositiva di Daniele Sepe.

 

Dialetto siciliano, francese e italiano si mescolano nella vostra produzione così i generi musicali dalle ballate al pop passando anche per il reggae. Voglia di sperimentare e di mettersi in gioco?

PB – Per me cantare in dialetto è un fatto naturale, ma nel quotidiano mi esprimo in italiano e quindi mi è venuto spontaneo scrivere e cantare in italiano (d’altronde non bisogna dimenticare che la lingua italiana non è nata a Firenze come vogliono farci credere, ma in Sicilia con Ciullo d’Alcamo e Jacopo da Lentini). Inoltre, mia madre era belga ed ho per vari motivi legami con la Francia. Per quel che riguarda l’aspetto musicale la voglia di mischiare tanti generi deriva dall’influenza che ha avuto su di me tutto ciò che ho ascoltato e che ascolto, da Bob Marley al pop inglese, dalla word africana ai cantautori italiani e francesi e naturalmente la musica popolare.

GG – Per anni ho portato in giro da sola un repertorio di canti siciliani, sardi, arbereshe, tunisini, greci. Con Bruna Perraro canto in spagnolo e brasiliano. A vent’anni cantavo in inglese. Sono affascinata dalla diversità linguistica e stilistica, la diversità è ricchezza, e conoscenza.

 

C’è ancora posto per la musica d’autore nella scena artistica italiana? E per quella etno-folk e in dialetto? Il dialetto può rappresentare un limite nel raggiungere il pubblico al di fuori dalla Sicilia?

 GG – Per la musica d’autore e per quella etno-folk in dialetto ci dovrebbe essere sempre più posto perché esse, in un mondo sempre più globalizzato, salvaguardano la sopravvivenza della diversità culturale. In Italia il Premio Tenco si è progressivamente aperto alla premiazione anche di album in dialetto. Il problema è che il gusto del pubblico non è spesso educato a riconoscere la vera bellezza, scambiandola con la mediocrità. Le cause di questo fenomeno sono molteplici e complesse, in primis, ahimè, il mercato che mira al profitto a tutti i costi sbaragliando le minoranze, le cosiddette “nicchie”. Il dialetto non può mai costituire un limite, per citare di nuovo Sepe mica io capisco sempre il napoletano, eppure gradisco assai i suoi brani, al limite leggo le traduzioni. E sfido poi i ragazzi italiani a sapermi fare le traduzioni dei brani in inglese che ascoltano, la cosiddetta “musica internazionale”!

 

La Sicilia e la sicilianità è un ingrediente che non può mancare. Che rapporto ha con l’isola? La trova cambiata?

PB – La Sicilia è il posto dove sono nato e cresciuto (Messina) e dove tutt’ora vivo (nel Belice) ed è quindi inevitabile l’influenza dell’isola nella mia vita artistica e non. Il mio è un rapporto di amore e odio, nel senso che siccome amo la mia terra odio profondamente tutti coloro che la trattano male e la deturpano. Purtroppo non la trovo molto cambiata, avrei voluto vedere un miglioramento nel modo che i siciliani hanno di vivere la propria terra, ma purtroppo questo non è avvenuto se non in minima parte. Gli incendi devastanti, la spazzatura dappertutto, la maleducazione al volante, i voti di scambio, le raffinerie, il MUOS ci sono sempre. I segnali positivi arrivano soprattutto dalla campagna con l’aumento esponenziale nell’isola delle aziende biologiche, con la riscoperta dei grani antichi autoctoni molto più salutari e nutrienti dei grani moderni modificati coi raggi gamma negli anni ’50 e ’60, che spesso arrivano dall’Ucraina (Tchernobil) o dal Canada (muffe, diserbanti e glutine indigesto), come scrive Giana nel brano “Grani sani”.

 

Associare il nome Pippo Barrile a quello dei Kunsertu e la sua voce a Mokarta o Dumà è quasi inevitabile. Cosa le resta di quell’esperienza? Quanto c’è ancora nella sua produzione di quelle sonorità?

 PB – È chiaro che 15 anni di Kunsertu lasciano il segno. Dopo lo scioglimento del gruppo nel 1995, ho continuato a riproporre negli anni i brani che cantavo col gruppo, in varie forme e con varie formazioni, perché erano canzoni costruite per la mia voce e che quindi sentivo e sento tuttora mie. Dell’esperienza Kunsertu mi restano i ricordi dei viaggi in furgone in giro per l’Italia, delle prove notturne a Giardini, del “buona la prima” del produttore di sala quando nel 1988 registrai Mokarta, della notizia che era morto mio padre giuntami in sala durante la registrazione del Cd “Fannan” nel 1994. Mi restano l’affetto dei fans, i suoni che scaturivano dalla nostra sinergia. E soprattutto, dal punto di vista musicale, il piacere di mischiare i generi, di sperimentare.

 

Quali sono i prossimi appuntamenti che vi vedranno protagonisti?

 PB e GG – Dopo una serie di concerti fatti a giugno ci attendono a luglio degli house concerts, ad agosto saremo il 10 a Palermo al Mercato San Lorenzo e il 12 a Scordia (Ct) all’interno della rassegna Nati a Sud Live. Altri appuntamenti devono essere ufficializzati e li indicheremo di volta in volta nei nostri profili facebook. E per chi volesse ascoltare ed eventualmente acquistare l’album o i brani singoli, lo può fare collegandosi al sito https://gianaguaianapippobarrile.bandcamp.com/album/fatti-di-terra. Buon ascolto con “Fatti di Terra”!