Siciliani come migranti. Si cerca il porto di sbarco!

Il porto come teatro tragicomico.

La Sicilia non vuole accogliere i suoi conterranei di stanza al nord o all’estero. La Calabria rifiuta l’idea del presidente Musumeci dell’hotel quarantena sul suo suolo.  Dopo gli anni spesi ad urlare ai migranti “tornatevene a casa vostra” ora non vogliamo i siciliani che tornano a casa loro spiegando di non avere altro posto dove andare.

In tempi di Covid-19 la commedia è servita.  

La stazione di Villa San Giovanni si trasforma in un piccolo centro accoglienza senza ovviamente poter consentire distanze di sicurezza o altre norme di protezione. Donne, uomini bambini, anziani passano la notte in auto, senza servizi igienici, mentre sindaci metropolitani e presidenti di regione si scontrano a colpi di dirette facebook e come ospiti di programmi spazzatura.

Poi la situazione si sblocca: Sto scortando personalmente con l’ausilio della Polizia Municipale, della Polizia Metropolitana, della Guardia Costiera e della Questura di Reggio Calabria le prime 150 persone, tutte residenti in Sicilia, che rientreranno a casa dal porto di Reggio per motivi di sicurezza scrive su facebook (dove altrimenti?)  il sindaco metropolitano di Reggio, Giuseppe Falcomatà che prosegue –  La politica è una cosa seria, non è uno show. Chi ancora non riesce a comprenderlo sta mettendo a serio rischio la salute e la sicurezza di un popolo, quello reggino, che con enormi sacrifici e tanta responsabilità, sta rispettando le regole fin dall’inizio di questa complicata emergenza. Le persone non si respingono come pacchi. Finalmente sblocchiamo una situazione che ha messo in discussione la dignità di ogni essere umano”.

Insomma Malta che afferma che Lampedusa è il porto di sbarco più idoneo. Solo che questa volta  i “pacchi” sono cittadini siciliani, italiani in uno Stato di diritto (?). Chissà, se avessimo avuto maggiore esperienza in fatto di corridoi umanitari (programmi sicuri e legali di trasferimento e integrazione rivolto a migranti in condizione di particolare vulnerabilità) adesso si sarebbero potuti creare dei corridoi sanitari /umanitari in maniera agile e ognuno avrebbe avuto il diritto di tornare a casa.

Invece invochiamo ancora una volta il blocco dei “barconi” e chiediamo respingimenti di persone, libertà e diritti. Chiediamo droni nelle mani di un sindaco che – parole sue –  “Non vede l’ora di controllare tutti con gli schermi” (dopo aver largamente utilizzato termini come “coprifuoco” e “tessera del pane” dicendosi dispiaciuto di dover ricorrere al vocabolario del ventennio).

Insomma non abbiamo imparato nulla. Se non fosse tragico, sarebbe comico.

Eppure la situazione dovrebbe ormai essere cristallina: nessuno starà bene, se non staremo tutti bene.