“ Il male che è sotto il cielo, gli uomini che sono dominati dal destino” questo il senso di una sorta di prologo-citazione, recitato a S. Maria Alemanna da Tino Caspanello che apre Sira, opera del bel trio e voce plurima del teatro del pubblico incanto, nel cartellone Atto Unico di Auretta Sterrantino e Vincenzo Quadarella.
E’ Sira, sono le 10.30, Carmelo Lo Turco “u scuru”, interpretato da Tino Calabrò, è torvo e nervoso, sta per compiere un gesto senza ritorno; su commissione del padre malavitoso, sta per uccidere un uomo, un giornalista( Tino Caspanello) che ha parlato troppo; quando l’uomo arriva però riconosce in lui il suo professore e questo cambia le sorti della storia, dilata frammentandolo lo spazio della scena narrata, ma forse non il finale.
Cinzia Muscolino alla sua prima regia: “Per lo spazio, minimal, mi sono ispirata ad un un ring, pur non intendendomi di box” mi dice sorridendo, “un po’ per amplificare il senso di questo confronto ma anche per disporre il pubblico attorno; mi piaceva che si moltiplicassero i punti di vista un po’ come avviene in questa storia in ogni storia”. Geometria di pose, di sguardi bassi e spalle che si danno vicendevolmente,di corporeità che arriva incisiva dove le parole non bastano. Il dialogo finisce per riaprire ricordi, riflettere sui propri fallimenti, aiuta a sputare fuori veleni e contrarietà,le domande tirano fuori i profili sintetici dei protagonisti, la problematicità di un’educazione scolastica ma anche genitoriale che spesso è più rigore, prevaricazione ed impalcatura che altro,un tema che sta molto a cuore a Tino Caspanello e che i protagonisti rendono così: “A me, a noi bastava guardarvi negli occhi, osservare il vostro comportamento” afferma sicuro il professore “ Che ne sapete voi? Voi non sapete niente! Voi non capite niente” replica il ragazzo“ Se una persona, se tuo padre, ti amasse davvero non ti proporrebbe certe cose!”
“Sira si presta ad una doppia lettura”, ci dice Caspanello, “da un lato è un termine dialettale che indica lo spazio temporale in cui si svolge la scena dall’altro certe ombre che ci arrivano addosso e con le quali conviviamo purtroppo costantemente o facciamo finta di non vederle e questo fa scattare le motivazioni dentro questa cronaca violenta”. Sira rappresenta un po’ il passato ed il presente della Compagnia con la prima edizione 1996 nel teatro la lanterna rossa di Pagliara, poi al teatro Garibaldi di Enna in coproduzione con la compagnia dell’Arpa per pubblico serale e scuole ed oggi nella rassegna giovane Atto Unico della quale, afferma il trio, condividiamo coraggio e finalità; aggiunge Caspanello eravamo già stati qui, a S. Maria Alemanna, nel dicembre 2001 siamo abituati agli spazi anticonvenzionali ed anche in quel caso avevamo recitato con il pubblico intorno.
Sira propone un vibrante gioco di specchi padre/ figlio, maestro/ allievo dittico al maschile dove vi è un continuo capovolgimento tra vittima e carnefice, tra generazioni che si confrontano in modo serrato e che hanno qualcosa da dirsi, da rimproverarsi, da rinfacciarsi.
“Il testo si presta a continue dinamiche di ribaltamento, che abbiamo voluto rendere facendo attenzione a certi dettagli ma anche giocando sulle pose e la gestualità , si potrebbe infatti ribaltare in qualsiasi momento il rapporto tra vittima e carnefice, abbiamo riscoperto insieme delle cose del testo ,la valigia per esempio è un dettaglio nevralgico, il professore la prende la posa in continuazione, dentro potrebbe avere una pistola e questo rende tutto possibile; un finale aperto insomma.”
La vera crescita nel messaggio teatrale di Sira, in questo teatro che scaturisce e trae spunto dall’intimo, potrebbe insomma arrivare proprio dall’affrontare le proprie problematicità a viso aperto, in uno scambio che non sia mai di prevaricazione ma di confronto e che possa dissipare le spesse ombre del non detto, del non considerato, in un moto al contempo di consapevolezza e ribellione contro dinamiche oppressive.
Giuseppe Finocchio