Cinque appassionanti capitoli per attraversare il senso del gossip e rispondere alle domande su quale sia il ruolo sociale del pettegolezzo, in che modo si sia trasformato nel corso del tempo e come possa, lo studio del gossip, essere strumento per leggere in chiave differente le interazioni della società contemporanea.
Il saggio “Social Gossip. Dalla chiacchiera di cortile al web pettegolezzo” (Aracne, 2015) di Antonia Cava e Francesco Pira, sociologi della comunicazione, ripercorre la funzione socio-comunicativa del pettegolezzo, interpretando i media come spazio privilegiato del voyeurismo verbale. “Il libro nasce – scrivono nella loro nota introduttiva Cava e Pira – dalla consapevolezza che il pettegolezzo nel tempo ha cambiato forma, linguaggi, strumenti di trasmissione ed è diventato soprattutto sui social network parte della costruzione della propria identità”.
I due docenti dell’Università degli Studi di Messina affrontano, dopo la prefazione del professore Domenico Carzo, ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi della stessa università, il “pregiudizio che lega il chiacchiericcio al frivolo, invitandoci a prenderlo sul serio”. Tramite un’attenta analisi dei linguaggi televisivi e delle narrazioni del web il “libro restituisce l’importanza dei rumors come pratica collettiva che coinvolge l’intero corpo sociale nella produzione di significati”.
Nel primo capitolo, i due autori chiariscono qual è la metamorfosi che ha subito nel tempo la diceria, dando particolare attenzione all’arte della narrazione, mettendo un punto fermo: “le storie sono il baricentro della nostra vita, o meglio siamo noi storie senza soluzione di continuità”. Il pettegolezzo viene riportato e raccontato come fosse un tipo di narrazione “in cui il confine tra i fatti e il racconto dei fatti è davvero cangiante perché intersecato da fantasia, invenzione e bugia”. La forza del pettegolezzo è insita nella capacità narrativa del soggetto che adopera la narrazione, appunto, come “dispositivo operativo attraverso cui è possibile costruire ‘la trama’ dell’esperienza riannodando gli eventi in un’unica connessione”. E ciò perché la narrazione, unitamente alla memoria, svolge un ruolo determinante nelle organizzazioni sociali.
Nel secondo capitolo, invece, sono illustrate alcune fra le più note ricerche volte a sondare gli ambiti del newsmaking (processo di produzione di una notizia da parte degli attori dell’informazione) e della società in rete. Si evidenzia come il web permetta di scoprire nuovi orizzonti anche nel giornalismo, qualche volta a repentaglio della ricerca delle fonti. Da qui parte la trattazione dell’organizzazione della verità sociale e per farlo gli autori citano anche le teorie di Lippman e di Castells. L’accesso alle notizie da parte di tutti spoglia il giornalista del vecchio ruolo e fa assumere a esso quello di spettatore del web come chiunque altro. I contenuti massmediali possono divenire una risorsa culturale, ma sembra che ciò avvenga solo quando vi è un giusto compromesso tra il lancio nel web della notizia e la verifica delle fonti. Giusto per non fare la fine, per dirla con le parole di Bauman, di chi fa parte di quella nuova generazione di internet composta da “fannulloni attivisti”. Ciò che una volta era gestito e veicolato da pochi, i quali stabilivano cosa comunicare e cosa no, oggi è bypassato dalla rete. Tanto da poter divenire contenuto partecipato, capace di trasformarsi piano piano in ciò che già Lévy aveva teorizzato parlando dell’intelligenza collettiva, quale sapere della comunità pensante.
Nel terzo capitolo viene affrontato il gossip politico, citando la svolta nel modo di fare notizia: oggi, un personaggio politico viene considerato eleggibile o meno anche in base alla sua vita e sfera personale. In altre parole, crea fidelizzazione non tanto ciò che indica nel suo programma politico, ma in base a quanta esposizione ottiene nei mass media, in un sottile gioco di fascinazione. Prima dei famosi talk show, come “Porta a porta”, già nel “Maurizio Costanzo show” era possibile vedere come gli spettatori fossero condotti nella vita privata dei personaggi pubblici. Così, il pettegolezzo indossa segreti, scandali, conflitti, insuccessi, trasgressione, etc., che rendono quel personaggio più o meno conosciuto, più o meno seguito e amato. Alla lunga, la politica è diventata spettacolo con il compito di “stupire, conquistare, piacere e l’arte di sedurre si trasforma in un vero e proprio mestiere dello spettacolo”.
Nel penultimo capitolo si affrontano gli imperi del gossip, passando dalla talkerizzazione dello spazio televisivo, alla cronaca nera e alla calunnia. Diversi esempi vengono citati, anche quelli che non sono strettamente giornalistici, come i programmi condotti da Barbara D’Urso, costruttrice di programmi che si poggiano solo sull’emotainment, analizzando questioni squisitamente private, ridicolizzandole, mettendole a favore di camera per solleticare il sentimento di pietà degli spettatori.
Nell’ultimo capitolo di “Social Gossip” particolare interesse destano gli studi sui “piccoli gossippari”. Vittime spesso di nomofobia (la paura incontrollata di restare sconnessi dalla rete di telefonia mobile), i giovani adoperano le nuove tecnologie per cambiare non solo i modelli relazionali, ma anche le dinamiche comunicative, intendendo il web come protesi all’esistenza. E proprio l’utilizzo dei nuovi strumenti digito-attrattivi ha mutato il panorama non solo dei mezzi di comunicazione, ma anche il ruolo degli stessi giovani. I “nativi digitali” di oggi sono quei giovani che considerano i social il loro universo relazionale per eccellenza. Da qui parte, nel libro, una breve trattazione sui maggiori social: da ask.fm, spesso al centro della cronaca per gesti di bullismo e di pressione psicologica, a whatsapp che ha sostituito quasi del tutto i vecchi SMS. Spazio viene dato anche a YouTube e YouPorne, ai celeberrimi Facebook e Twitter che non solo connettono i “pubblici”, ma anche creano puzzle che in altre maniere ormai è quasi impossibile ottenere.
Antonia Cava e Francesco Pira, redigendo un eccellente lavoro saggistico approcciabile anche da chi non è un addetto ai lavori, pongono i lettori di fronte a certezze lapalissiane: il pettegolezzo resta in vita, ha solo cambiato – e solo in parte! – gli strumenti di trasmissione. La diffusione delle tecnologie digitali ha ristrutturato il modo in cui si tessono le trame delle proprie relazioni sociali e ciò si riflette anche nella creazione del gossip. E nessuno potrà farci niente per cambiare le cose. Le distanze fisiche sono accorciate, anche da tag e dai “mi piace“, tanto da poter creare consenso e dissenso. Lo fanno in modo così veloce e cangiante, che mutano sé per mutare il resto.