L’ impegno di Mario Francese era quello di raccontare la verità, senza condizionamenti e sudditanza. Il suo “regno” era quello inestricabile del Palazzo di giustizia da dove con l’attenzione tipica del filatelico raccontava sulle pagine del Giornale di Sicilia le trame oscure di un potere allora in ascesa, quello sanguinario di Totò Riina e dei corleonesi.
Fra queste cronache coraggiose e straordinarie ci sono quelle sulla costruzione della diga Garcia. Una grande opera, commissionata dopo il terremoto che ha colpito il terreno del Belice nel gennaio del 1968, su cui la mafia aveva messo gli occhi e su cui Francese ha scritto una delle sue inchieste più famose che lo hanno consacrato come uno dei più grandi giornalisti d’inchiesta del nostro tempo: “Una zona minata, -scriveva il giornalista- dove si dibattono inconfessati interessi di società paravento che, favorite dal disordine e dall’egoismo degli enti pubblici e a partecipazione mista, interessati ad accaparrarsi finanziamenti e lavori, anche per motivi elettorali, trovano terreno fertile alla loro sfrenata ambizione. La costruzione della diga Garcia è una delle tante superopere in via di realizzazione nella vallata del Belice. Gli oltre trecento miliardi che, in dieci anni sono stati previsti per ulteriori opere di bonifica e di convogliamento dell’acqua negli invasi dei tre consorzi che ne hanno fatto richiesta, sono una particella degli enormi finanziamenti di opere pubbliche programmate nel Belice. La legge 178 ha stanziato ben 310 miliardi per costruzioni di alloggi popolari ed economici nelle zone terremotate, con copertura fino al 1980 […]. Una “ballata” di miliardi, nelle zone della ricostruzione del Belice e delle popolazioni disastrate dal terremoto, ma anche una ballata di miliardi che ha attirato nella valle l’attenzione di cosche spregiudicate che si combattono, si associano o si elidono, a seconda degli interessi e delle circostanze, nella corsa verso l’arricchimento”.
E proprio per rendere onore alla figura di questo professionista nei giorni scorsi proprio questa diga è stata intitolata Mario Francese. Il senatore Beppe Lumia presente alla celebrazione ha salutato con favore l’iniziativa: “Con quella diga i corleonesi fecero affari d’oro e da lì cominciarono a espugnare Palermo e per quegli articoli scomodi Mario Francese ha pagato con la vita”. Sulla vicenda è intervenuta anche Sonia Alfano, presidente della Commissione antimafia europea, che qualche mese fa aveva espresso il proprio rammarico per la chiusura della scuola di giornalismo a Palermo che portava proprio il nome del giornalista assassinato dalla mafia: “Sicuramente è importante l’intitolazione – ci ha detto Sonia Alfano- ma sarebbe stato ancora più importante dar seguito a quell’appello che è stato lanciato qualche mese fa a proposito proprio della scuola di giornalismo a Palermo che è stata chiusa. L’esempio di questo professionista che pagato con la vita per le inchieste e le denunce promosse è di fondamentale importanza per le nuove leve giornalistiche non solo perché è di fondamentale importanza che venga recuperata la sua voce, ma soprattutto la sua forza, la sua determinazione, e la sua voglia di rendere l’informazione qualcosa di alto, una continua ricerca della verità”.
L’europarlamentare che è andata a conoscere personalmente i giornalisti in erba ricorda ancora le emozioni che le hanno trasmesso: “La voce di quello che era considerato un cronista scomodo può essere un esempio e anche uno stimolo. Quando andai in quella scuola di giornalismo conobbi un sacco di ragazzi che erano entusiasti di quello che stavano facendo. Infatti, il fatto stesso che frequentavano una scuola di giornalismo intitolata a Mario Francese era per loro un input grandissimo”.
In conclusione Sonia Alfano ha voluto lanciare un messaggio a tutti quei giovani che si affacciano al mondo dell’informazione: “E’ una professione che va fatta con profondo amore. Giornalismo non significa vendersi o svendersi agli editori, autocensurarsi per entrare nelle grazie dei potenti o dei propri capiredattori. Il giornalismo è l’anticamera della libertà. Un uomo poi è libero solo se conosce, la conoscenza è data da ciò che il giornalista ci propina e ci offre quotidianamente. Ed è per questo che mi sento di dire che il giornalismo è una cosa mentre essere giornalai ne è un’altra. Bisogna essere animati da un amore per la verità e da quello per la ricerca della notizia. Molte storie stanno nascoste e bisogna tirarle fuori”. L’auspicio, aggiungiamo noi, è che la memoria di Mario Francese sia viva ogni giorno.