Sonia è un nome come tanti, un’altra donna, un’altra storia. Una vita sbagliata? Un destino maledetto? Forse l’incapacità di cambiare il corso degli eventi e poi decidere di lasciarsi trascinare e travolgere.
Come non ricorrere alla concezione fatalistica della vita di Verga? Sonia Trimboli, residente a Varese, Lombardia, sembra proprio un personaggio verghiano: un “Vinto”. Vinta dalla vita, dall’impossibilità di cambiare un destino impietoso. Un’esistenza piena d’infelicità e dolore che l’ha portata a rifugiarsi nell’anoressia, nella droga, nell’alcool e tra le braccia dell’ossessione e della gelosia. Un modo come un altro per aggrapparsi alla vita.
Era lì, immobile, autodistruttiva nella sua passività, anche quando nel 2006, con un corpo che non dimostrava più i suoi 34 anni, salì le scale di quello che ancora oggi chiamano il “fortino della droga”. Un palazzo noto per prostituzione, spaccio, immigrazione clandestina, in Viale Bligny 42, Milano. Secondo il padre, vi era andata per recuperare un cellulare, per gli inquirenti per acquistare cocaina. Un incontro sbagliato, Said El Harti, di origine marocchina, dal quale aveva comprato cocaina. Un invito a seguirlo nel suo appartamento e lì la tentata violenza, dopo aver fatto uso di droga. Adel Ben Boughani, conosciuto come “Adam”, tunisino di 26 anni, con il quale la donna aveva simpatizzato da qualche tempo, residente nello stesso palazzo, riuscì a raggiungerli in tempo, ma venne accoltellato a morte da Said El Harti, mentre cercava di difendere la vittima. Anche lei fu raggiunta sulle scale e ferita mentre tentava la fuga. Quella volta si salvò. Il fatto fu trattato dalla cronaca nazionale.
Un matrimonio finito alle spalle, la morte della madre nel 2003, la ricerca della felicità, bugie, persone sbagliate. La paura di raccontarsi, chi l’avrebbe ascoltata senza giudicare i suoi sbagli, la sua vita?
Sonia ha circa 40 anni quando conosce il coetaneo Gianluca Gerardo Maggioncalda. “Bevevano, bevevano entrambi”, racconta il padre, Michelangelo Trimboli di origini milazzesi. La loro storia fatta di litigi violenti porta ad una denuncia da parte di Sonia per lesioni a carico del compagno il 28 agosto 2014. In merito a quell’episodio il padre racconta: “sono riuscito a salvarla solo perché mi ha chiamato. Sono entrato nel cortile di casa di mia madre e l’ho trovata sanguinante. Lui le aveva anche rotto un timpano e le hanno dato 30 giorni di prognosi”.
Dopo la denuncia e il pentimento di lui, un copione di violenze e gelosie che sembra ripetersi in un teatro sempre più affollato, Sonia riprenderà a vederlo all’insaputa del padre.
19 ottobre 2014, l’ennesimo litigio a casa di lui, via Commenda 28, Milano Centro. Maggioncalda si avventa sulla compagna durante l’ultima lite scoppiata per motivi di gelosia strangolandola con una corda elastica da portapacchi. Decide poi di allontanarsi in bicicletta.
“Un istante di follia” si giustificherà più tardi.
Questa è la storia di Sonia, ma anche di Roberta, Claudia, Maria e tutte quelle donne che hanno perso la vita per mano di uomo, il copione è sempre lo stesso. Qualche volta la scusa è la gelosia, altre la droga o l’alcool. Ma sono tutte, per l’appunto, scuse. Giustificazioni utilizzate mirabilmente da legali che devono fare il proprio mestiere. Questa è la legge. Ed è la stessa legge che dovrebbe agire prima delle tragedie, ascoltando le grida silenziose delle vittime di violenza. Denunce, segnalazioni, spot di sensibilizzazione, la diva del momento che promuove uno slogan a effetto.
E poi i servizi al telegiornale, sempre gli stessi, ma con nomi diversi.