Nei giorni caldi della protesta contro il Ddl delgoverno Renzi, in una scuola ferita dalla non volontà di chi governa a dare ascolto e parola a chi conosce la scuola da dentro perché la fa, mi trovo a vivere un’esperienza che mi porta ad osservare da una prospettiva diversa la mia povera e magnifica scuola offesa.
Sono alla conclusione di un percorso didattico su “Una Scuola per l’Europa” che da mesi conduco, insieme a Carmen Cusimano, docente di lingua inglese, e a 25 studenti del Liceo scientifico nel quale insegno.
Destinazione: il campusconcorso” International Award 13th Edition-Marco & Alberto Ippolito” organizzato dalla Fnism calabra, tra Reggio, Roccella e Rosarno.
Il tema è arduo: le prospettive europee dell’istruzione e della formazione nella scuola di cui i giovani d’Europa hanno desiderio e bisogno per un futuro di giustizia, equità, democrazia, libertà.
Il nostro lavoro cominciato in classe, continuato fuori dalla classe, è cresciuto pian piano, perché più impegnativo di quanto non prevedessimo, perché più appassionante di quanto non pensassimo. Da un sentimento iniziale di distanza, di estraneità, di “studio dovuto”, i nostri studenti sono approdati alla consapevolezza propositiva, alla sensazione chiara di essere protagoniste e protagonisti di un viaggio che li fa diventare più grandi, responsabili, capaci di confronto con studenti giunti da ogni parte d’Europa per discutere e costruire con loro un progetto comune, da suggerisce a chi amministra la scuola. Io , insegnante, insieme a loro, attraverso i loro occhi, scopro i sistemi scolastici europei e l’impegno dei governi più evoluti perché la scuola pubblica funzioni, sia vitale, capace di innovazione e di sviluppo.
La disponibilità alla ricerca e l’entusiasmo dei ragazzi trainano in un circolo virtuoso noi insegnanti. Non possiamo dir di no, anche se occorrono tempi aggiuntivi di lavoro e spazi che la scuola non può offrirci nei pomeriggi in cui i nostri studenti sono riusciti a liberarsi da altri impegni. La soluzione allora ci è sembrata naturale: ci si vede a casa della professoressa. Pomeriggi interi, da marzo a maggio, a studiare testi, documenti, costruire itinerari e proposte, definire lo story-board di un video che racconti la loro idea di scuola europea, provare e riprovare interventi e relazioni da esporre all’european community che avrebbero incontrato dal 7 al 10 maggio. E’ un vero laboratorio di cultura. Non poche le preoccupazioni. Qualcuno è “patriotticamente” preoccupato che la nostra scuola si sveli “povera e malata”. E poi si parlerà in lingua inglese: saremo all’altezza del compito? Saremo in grado di partecipare alle tavole rotonde previste sui temi dell’istruzione in Europa? Sapremo confrontarci con studenti, docenti e dirigenti che giungeranno da ogni parte ‘Europa?
E’ stato questo straordinario retroterra a far diventare straordinariamente preziosa l’esperienza del campus e poi il traguardo conseguito. Nelle giornate reggine osservavo la capacità dei nostri ragazzi, anche dei più ritrosi e ansiosi, di stare insieme e discutere con studenti svedesi, tedeschi, bulgari, rumeni, di forzare la lingua inglese per condividere fino in fondo il progetto, di raccogliere idee per far star meglio la loro scuola. Mi colpivano la loro naturale condivisione di punti di vista, di desideri e bisogni, il loro parlare la stessa lingua: giovani di luoghi diversi d’Europa chiedevano, allo stesso modo, scuola pubblica, capace di ascolto, equa, democratica, scuola di docenti motivati, presenti, capace di introdurre i giovani al mondo del lavoro, costruita da persone che condividono insieme un progetto, che li aiuti ad essere cittadini che scelgono democraticamente.
Così, a conclusione dei lavori, è ancora una studente a sollecitare riflessioni e preoccupazioni: Mara che, sorridente accoglie il conferimento del “First Prize International Award” conferito dalla Fnism al nostro lavoro e commenta: “Questo premio ci riempie di orgoglio e di emozione e ci fa venire voglia di continuare” . Un premio alla scuola, agli studenti, a noi insegnanti che sembriamo appartenere ad un mondo diverso da quello di cui parla chi governa, che esigiamo ascolto dai ministri, ricordando loro che Ministro (da minus) è chi è al servizio di un’istituzione e di una comunità, ascolta le loro voci ed opera per il loro bene, affidandosi anche al consiglio del Magister.