Sono uno spirito, Aaesha

Fuggii lasciando tutto la notte che ci incendiarono la casa. Sentii arrivare le loro camionette, mentre  il motore della jeep non smetteva di rombare davanti la nostra porta. Accanto, a pochi metri da noi,  le urla di Amadou e il pianto disperato dei suoi bambini squarciarono la quiete della sera. Tre colpi di fucile. Silenzio. Ancora grida.

Viaggiai, tenendo gli occhi ben aperti sulla finestra della memoria, fino al giorno in cui ammazzarono tuo padre davanti me, Aaeesha. D’istinto, circondai il mio ventre, braccia liquide di paura, per proteggerti, piccolo Aaleyah.

Poi strisciai fin sopra il tuo letto,  Aaeesha, provando inutilmente a nasconderti sotto la coltre delle mie vesti.

Ti coprii con tutta la mia forza, schiacciandoti la gonna contro la bocca e sul tuo naso, per non farti respirare il puzzo acre della morte; avevo paura di soffocarti, così mi girai, avvicinando il viso alle tue labbra, ti soffiai dentro il mio respiro, mentre ti mettevo in bocca le mie parole d’amore. La nostra casa fu illuminata a giorno dal fuoco che i guerriglieri avevano appiccato tutt’intorno. Fuori, intanto, si continuava a sparare. Chi non avrei più rivisto? Karim? Josheph? il piccolo Hassad? Quanti colpi occorrono per uccidere un uomo? Quanti proiettili servono per un bambino?

I loro spiriti vennero subito a farmi visita; si presentarono davanti ai miei occhi: distesi, l’uno sull’altro. Sopra di essi, una coperta di sangue ancora caldo, fecondò la terra di odio.

D’improvviso, anche i loro spiriti fuggirono, portandosi dietro la vista dei loro corpi, con la vita ancora appesa in mano; fuggirono, vedendo entrare Joujoù dentro casa. Per un breve istante, non appena lo vidi, la paura cedette il passo a una gioia di passaggio. Il sorriso mi morì dentro la gola.

– Joujoù, amore mio, che ci fai con quel mitra fra le braccia? – un momento dopo me lo puntasti contro la pancia dentro cui proteggevo i pochi mesi di Aaleyah. -Tu lo sapevi, Joujoù – per questo hai mirato contro il mio ventre – Non ti ricordi, Joujoù, amore mio? Non ti ricordi quando poggiavi l’orecchio sulla mia pancia? – Sentivi il mio bambino che si muoveva dentro di me. Mi toccavi, tra lo stupito e il divertito, guardando il mio ventre muoversi come fanno le onde del mare. Ridevi. Ricordo l’argento della tua risata e le tue manine giocare a inseguire il mio bambino. – E ora? Dov’è? Dov’è, Joujoù, il tuo sorriso? – T’hanno fatto uomo, con l’occhio allenato a guardare preciso, dentro il mirino d’un fucile. Vedo le tue manine incerte, che una volta inseguivano divertite la vita che stringevo in grembo, farsi mira infallibile nel dispensare morte. Non ti muovi, rimani fermo a puntarmi la pancia, mentre soffoco con la schiena la bocca di Aaeesha. Non mi perdi di vista un solo istante, i tuoi occhi sono chiodi con cui mi consegni al mio calvario. Il tuo fucile non si è mai abbassato, nemmeno mentre mi costringevano a tener ferma Aaeesha. La tenevo ferma dalle braccia mentre sfogavano su di lei le loro indicibili voglie. Il sangue le grondava dalle gambe mentre le bestie con cui hai deciso di accompagnarti, Joujoù, ridevano di lei. E hanno riso anche di te quando ti hanno visto vomitare. E’ così che, a undici anni, hai visto com’è fatta una femmina, Joujoù. Hanno riso di te, della mia bambina che si contorceva come un animale ferito; hanno riso e offeso la mia pancia colma di vita.

Dopo, raccolsi i brandelli di quel che furono i miei giorni e fuggii il più lontano possibile da te e da quelli come te.

L’ho dovuta vendere parecchie volte la mia Aaeesha, sai? Ad ogni frontiera, ad ogni posto di blocco la carne di mia figlia era l’unica moneta di scambio per comprarle la vita. E ogni volta mi toccava di tenerla ferma, mentre rovesciavano dentro di lei il letame del loro seme. Perse perfino alcuni denti quando, chissà a quale frontiera, le ostruirono la bocca, pisciandole dentro il loro sperma pieno d’odio e di disprezzo.  Dopo, ogni volta, le accarezzavo la testa, le ripulivo la bocca. Finì per ribellarsi alle mie mani, respingendo le mie carezze. Smise di parlare, non volle più guardarmi.

Passammo alcuni mesi dentro questo inferno fatto d’uomini. A ogni frontiera pregavo Dio che fosse l’ultima. Avevo smesso di contarle.

Ci imbarcammo, infine, quando l’ultimo aguzzino smise di saziarsi con lei.

Fu in mare che mi accorsi che le erano sparite le mestruazioni, mentre il suo ventre si arrotondava, facendosi sempre più simile al mio. Cominciai a temere per noi due gli urti della barca contro il muro delle onde. Temevo, per il suo bambino e per il mio.

Era ancora buio quando sentii il mio Aaleyah bussare alle porte della mia vagina. Il mare si muoveva forte avvolto dentro il nero del suo mistero. Ringhiava la sua  schiuma bianca contro di noi. E fu il mare a uscire dalle mie cosce, un attimo prima che la sua testolina venisse a sporgersi alle stelle di questo mondo senza luci. Le mie gambe furono le sue colonne, la strada segnata nella sua inarrestabile corsa verso la vita.

Fu quella la prima volta, mia dolce Aaeesha, in cui finalmente alzasti gli occhi verso di me dopo così tanto tempo. Paura, sorpresa, e anche un velo di insperata felicità, si fece largo dentro di te, vedendo la vita che compie se stessa davanti ai tuoi pochi  anni.

Istintivamente ti avvicinasti a me sollevandomi la gonna. Gli sconosciuti accanto a noi ci fecero largo. Uno di essi, era forse il più anziano, venne dietro la mia schiena e si fece cuscino per la mia testa.

Sudavo, nonostante il freddo della notte. Sentivo il mio bambino scavalcarmi le budella, farsi largo con tutte le sue forze in mezzo alle mie viscere. Le tue mani, Aaeesha, le tue mani erano salde sui miei fianchi, le tue braccia si fecero àncora per le mie. Stavolta eri tu a tenermi ferma e il dolore non era più dolore se potevo di nuovo sentire la tua pelle.

Ecco, è arrivato! E’ ora, è ora! Spingo adesso, spingo con tutta me stessa. Sono grotta che si svuota, sono caverna che si salda al suo passaggio, sono piena del suo vuoto.

Eccolo, eccolo! Sento i suoi capelli fare attrito fra le cosce.-  Quanti capelli hai, amore mio? –  Scivola, schizza d’improvviso, sostenuto dal mio urlo d’animale; è veloce a saltare sulle tue braccia. Tu lo afferri, sicura. Non eri preparata al suo vagito, eppure vedo che gli sorridi. Lo tieni stretto al tuo petto chinandoti su di lui, scopri il tuo seno e lo offri alla sua bocca pronta. Hai già il latte, Aaeesha!

Siamo quasi a riva, Aaeesha. Guarda! Si vedon delle luci, devono essere delle case. Chi sarà ad accoglierci, Aaesha? Chi sarà? Li vedi, li senti pure tu, Aaeesha? Stanno in piedi, tutti in fila, le braccia alzate in segno di saluto. Forse urlano qualcosa, ma chi li sente fra le onde? Com’è bianca la loro pelle, Aaesha! Sembra il latte che sgorga dalla luna. Ti affacci appena con la testa, attirata dalle loro grida. Vedo piangere delle donne. Gli uomini, invece, hanno preso quel loro strano battello: è così piccolo, tanto piccolo, più del nostro, eppure corre veloce. Eccoli, ci raggiungono, Aaeesha. Prendono te e il nostro bambino per primi, ti seguo con lo sguardo, vedo allontanarti verso riva, non ti lascio un solo istante, Aaesha. Ho paura, temo di perdervi. Sei a riva, finalmente. Ti vedo mentre ti poggiano sulla sabbia asciutta, tante donne attorno a te. Tu, tu non lasci mai il nostro bambino. Vi mettono addosso delle coperte, tu non smetti di allattare. Tornano, gli uomini. Prendono anche me questa volta. Sussurro di continuo il tuo nome, non so cosa mi dicono, io sussurro il tuo nome, il mio sguardo è fisso su di te. Sono stanca, sono improvvisamente troppo stanca, Aaesha. Sento ritirarsi le acque della vita, mi abbandona le vene il suo respiro rauco. Lenta, la vita defluisce. Mi arrendo e chiudo gli occhi, non voglio più lottare.

Sono uno spirito, Aaesha, mi adagio su di un fianco tenendovi per mano.