Una stanza in penombra. Solo un’abatjour illumina il lato destro del letto di una luce calda in contrasto con le pareti vuote. Solo una gigantografia appoggiata sul comò, accanto al rotolo di scottex, immortala una donna dal fascino ipnotico. Un piccolo frigo. Un letto appena rifatto. Si ha voglia di parlare sottovoce, come per non violentare un’intimità già deflagrata dalla nostra presenza. Ci accomodiamo davanti a lei, con un disagio che non ci spieghiamo. Stiamo invadendo uno spazio solo suo. Suo e dei suoi clienti, dei suoi amanti.
Da 35 anni Francesco, Franchina, vive a San Berillo, Catania. Qui è cresciuta, qui lavora. Da 35 anni fa la prostituta, come tante altre a San Berillo. Ci accoglie in casa sua con un atteggiamento difficilmente decifrabile. Non sappiamo se è infastidita o semplicemente timida. Poco dopo capiremo che il suo non è fastidio, ma difesa. Una difesa giustificata dal suo rapportarsi ai tanti che per le strade di San Berillo sperano di osservare i fenomeni ai margini della società. Ma per noi Franchina è solo Franchina, una persona interessante con cui vogliamo parlare. Parliamo di tutto. Il sesso è solo un argomento sfiorato. Quando le chiediamo cosa sia rimasto della ragazza che 35 anni fa è arrivata a San Berillo risponde con una determinazione che spiazza. Sembra quasi che sapesse già come si sarebbe srotolata la conversazione. “Sono più bambina adesso che prima – ci dice -. Prima avevo il sogno di realizzarmi economicamente, di avere una casa e affermarmi nella società. Le cose che sognano tutti a 20 anni. Oggi, mi vorrei realizzare nelle relazioni con gli altri. E’ per questo che si vive. Per relazionarsi”. Franchina comincia a essere meno distante di come l’avevamo percepita. Sono portata a guardarla con rispetto e ad ascoltarla con silenziosa attenzione. Ogni parola sembra essere scelta ad hoc, ma vien fuori con una naturalezza che lascia immobili.
Le chiediamo del libro scritto nel 2010, ‘Davanti alla porta’, in cui riporta i ricordi di un quartiere che non c’è più. Una San Berillo raccontata da chi quel quartiere lo ha vissuto per 35 anni, davanti a una porta. Osservata e osservatrice di un mondo intero racchiuso in piccoli vicoli, cambiati radicalmente nel tempo. “L’ho scritto non perché volevo scrivere un libro – ci racconta – . Nel 2000 il quartiere è cambiato molto. C’è stata una grande retata, hanno chiuso le porte e siamo rimasti in pochi. Sono caduta in una specie di depressione pensando a come era questo quartiere prima. E per non demoralizzarmi ho cominciato a scrivere tutti i ricordi che avevo. Quel libro non è tanto un’ analisi introspettiva, ma semplicemente un insieme di ricordi che volevo fermare. Un modo per ricordarmi come era il quartiere, come io lo avevo vissuto”. Pronunciando queste parole la sua voce assume inflessioni malinconiche. Si percepisce la nostalgia per una vitalità che si è andata perdendo. La tristezza per la morte sociale di un quartiere che è stato per lei e per tanti altri sia casa che luogo di lavoro. Luogo di incontri, amicizie, amori, storie e vicende chiuso improvvisamente come un locale sotto sfratto. Oggi quello che rimane di San Berillo è davanti alle ultime porte lasciate aperte. Quello che era è nella memoria.
Il volto di Franchina cambia quando si parla d’amore. Non si imbarazza palesemente, si addolcisce. Si avverte un rossore che stupisce. Ci si chiede se sia possibile che una prostituta possa arrossire. Ma è ciò che accade. Spuntano delle timide fossette in un viso segnato dall’esperienza. Illuminato da due occhi di un azzurro stanco e vivo al tempo stesso. Si percepisce un insieme di emozioni contrastanti che convivono in maniera equilibrata. Un’ intelligenza senza ostentazione. Una timida fierezza. Un garbo incredibilmente spontaneo si unisce a una compostezza assolutamente non studiata. Le chiediamo delle sue relazioni, al di fuori di quelle che si possano concludere in 10 minuti. Ma lei, anche in questo caso, ci stupisce: “anche i rapporti di 10 minuti, con il tempo, divengono relazioni. Negli anni quei 10 minuti diventano ore e giorni e anni. A lungo andare si instaurano delle relazioni al di fuori del rapporto prostituta cliente. Ho clienti da 30 anni che anche se non vengono qui da me, mi chiamano per sapere come sto e se ho bisogno di qualcosa. Vuoi o non vuoi dopo tanti anni si creano delle relazioni al di là delle tue aspettative”. Franchina sa cosa dice, crede in ciò che dice. Non si risparmia. Ci regala i suoi pensieri con la compostezza che la contraddistingue. Non è la prostituta che parla, ma la donna. Quello è solo un mestiere. Lo si percepisce quando ci svela cosa le provochi veramente nostalgia. “Una cosa sola è cambiata in peggio e mi provoca nostalgia. I maschi. Una volta quando un uomo si avvicinava a noi o all’altro sesso, alle donne, aveva un ruolo determinato. Oggi si è persa la personalità virile e si è intrusa quella più effeminata. Una volta si faceva l’amore ed era per te che venivano. Anche se era una semplice avventura, era un’avventura amorosa. Si sentiva. Si avvertiva”. Le chiediamo a cosa vorrebbe ribellarsi. La risposta, anche in questo caso, svia le nostre troppo semplici aspettative: “Io non amo e mi ribello all’arroganza e alla prepotenza. Al potere in sé. Tutto ciò che si vuole imporre con la forza non è democratico”.
L’esperienza ci lascia quasi senza parole. Il silenzio riflessivo accompagna il nostro percorrere quel corridoio in penombra che porta al soleggiato vicoletto catanese. Nella mente si ripresenta la risposta di Franchina alla nostra ultima domanda. Le chiediamo come si rapporta a quell’amore che si trasforma in violenza: “Questo capita quando si parte da sé. Quando ci si vuole imporre e non si trovano i punti in comune, ma si cercano le diversità”.
Grazie Franchina
GS Trischitta