SPRAR e il buco nero del business (II)

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Agganciare C.P. non è stato semplice. Operatrice sociale in uno Sprar siciliano da qualche anno, ci comunica, a chiare lettere, che il suo lavoro non necessita di spazi di autoreferenzialità. Oltre al fatto che potrebbe non essere “autorizzata” a rilasciare interviste. Gli SPRAR, soprattutto negli ultimi tempi, soffrono l’insanabile dicotomia tra i sostenitori, un po’ solidali e un po’ deamicisiani, che vorrebbero un mondo a forma di amore e fratellanza (per “restare umani”), e coloro che vorrebbero gli immigrati “a casa loro”, perché qui “c’è già poco per gli italiani, quindi che vengono a fare gli stranieri da noi?”.

C., da quanto tempo ti occupi di immigrazione?

In realtà, solo da quando lavoro qui allo Sprar. Più che altro io mi occupo di integrazione e di attuazione del progetto individuale.

Cosa vuol dire lavorare in uno SPRAR?

Prima di tutto vuol dire avere un lavoro, che però non è come altri. Qui gestiamo persone, ma anche due aspetti molto importanti: il loro modo di approcciarsi alla comunità che li ospita e il modo della comunità di accoglierli. Abbiamo il compito di farli integrare, insomma. Spesso però l’accoglienza non è la modalità preferita dagli italiani, anzi…

Qual è la difficoltà maggiore?

Sono due: accettare la loro presenza sul nostro territorio e tra le nostre cose e tollerare la loro presenza tra noi. Sembrano due cose uguali, ma secondo me non lo sono, perché intanto la loro presenza qui ha dei costi su cui spesso all’esterno si raccontano storie strane e poi perché hanno culture che spesso vengono rifiutate per pregiudizio dalla nostra e quindi facciamo fatica a entrare in relazione con loro. Molte volte sento dire o leggo su facebook che la presenza degli immigrati obbliga il governo a sborsare più soldi per loro che per gli italiani, aumentando così il fattore “nazionalità”, dimenticando la caratteristica essenziale che tutti siamo umani e che quando è toccato agli italiani stare male, anche gli altri popoli hanno aiutato noi…

L’ospite come vive all’interno dello SPRAR?

Anche in questo caso bisogna fare alcune distinzioni. Partiamo dal fatto che tutti quelli che arrivano qui da noi ci arrivano perché hanno bisogno e perché hanno i requisiti, cioè non sono in vacanza. A questo devi aggiungere che comunque ogni essere umano ha un suo carattere che non si può modificare o far diventare “italiano” solo perché così vogliamo. Cioè gli italiani vorrebbero un immigrato a propria immagine e somiglianza, che si deve prostrare per dire grazie per l’aiuto ricevuto e deve stare al suo posto. La difficoltà maggiore per chi arriva da noi è quindi l’integrazione, ma anche la sopravvivenza. I nostri immigrati si sentono sempre in difetto perché gli italiani vogliono farli sentire così, quasi li obbligano a sentirsi così se vogliono ancora essere aiutati. In altre parole, esseri inferiori… Che hanno diritti inferiori e bisogni inferiori… Certo è vero che ci sono dei casi particolari, per carattere e perché alcuni ci marciano. Ma sono pochi rispetto alla totalità e sono in proporzione come fossero italiani in altri contesti, vedi ad esempio i finti disabili che rubano all’INPS. Ma se i disabili non sono tutti “finti e farabutti” , anche gli immigrati non sono tutti “neri e sporchi”.

I soldi che arrivano per la gestione degli SPRAR come vengono impiegati?

Sapevo che saremmo arrivati a questa domanda, che le prime erano solo di cortesia. Questa è la domanda che ci fanno sempre tutti perché chi scrive come te sui giornali mette sempre grandi cifre e non sa quello che dice. Cioè voi non sapete quello che scrivete e volete spararla sempre grossa. Ci saranno anche queste grandi cifre, ma noi operatori che siamo l’ultimo zoccolo del sistema vediamo pochi soldi, vediamo delle briciole e facciamo quello che possiamo per trasformare le briciole in servizi. Ancora però la divisione dei pesci e dei pani noi non la facciamo…

Secondo i pregiudizi che vanno per la maggiore, i vostri ospiti vivrebbero in centri pieni di comfort. Alcune inchieste invece rimandano una realtà diversa: gravi problemi, tra cui anche l’assenza dell’erogazione dell’energia elettrica perché non sono state pagate le bollette, tanto per fare un esempio…

Questa domanda bisogna farla ai vertici perché sono loro a gestire i centri e i soldi che servono per tenerli in piedi, non a noi operatori sociali. Quello che dici è detto da molti, poi qualcosa è vera e qualche cosa non lo è. Nello SPRAR dove lavoro non ho mai visto situazioni da cinque stelle, molto più spesso ho visto le altre, quando dobbiamo anche fare raziocinio del cibo che non basta. A volte dividono un pacco di pasta da 500 grammi in 8, ti sembra che quindi qui allo SPRAR dove lavoro ci sta il lusso?

I vertici, come li chiami tu, sono spesso cooperative sociali o associazioni che ricevono i fondi per i progetti che hanno vinto i bandi emanati a livello statale. Tali fondi dovrebbero arrivare dal Ministero dell’Interno, ma soffrono di una lentezza burocratica spaventosa. Come provate a fare fronte alle necessità quando i soldi mancano?

Quello che si dice sulle cooperative lo so, non me lo devi ricordare: si mangiano soldi e vivono sulle spalle dei migranti. Però ci dobbiamo mettere d’accordo: o sono i migranti che vivono sulle spalle degli italiani o sono le cooperative che vivono sulle spalle dei migranti. Io ad esempio non prendo mai lo stipendio in modo puntuale, anzi dopo mesi e mesi e mesi. Tu sai rispondere alla domanda chi è che vive alle mie spalle?

Vorresti dire che questo sistema è un cane che si morde la coda?

Non è un cane che si morde la coda! Io lavoro in uno SPRAR e faccio a ogni turno il mio dovere e penso di farlo bene, ma non posso rispondere per le cooperative o per chi sta sopra le cooperative. Io qui li aiuto gli immigrati, mica li tratto male.

Quindi non sono vere quelle notizie che dividono gli SPRAR in due categorie: quelli dove si sta discretamente bene e quelli che sono dei veri e propri ghetti?

Quello dove lavoro io è discreto, non è il massimo, è vero, ma non fa così schifo.

Cosa vuol dire non fare “così schifo”?

Vuol dire che noi assicuriamo i bisogni primari, cioè un letto, qualcosa da mangiare, la socialità tra loro e tante altre attività tra cui anche partite di pallone per i maschi e corsi di cucina per le femmine. Tanto lo SPRAR è un passaggio, non ci staranno per sempre.

Le altre attività previste dalla normativa vengono svolte? Ad esempio i servizi di assistenza sanitaria e sociale, le attività multiculturali, l’inserimento scolastico dei minori, la mediazione linguistica e interculturale, l’orientamento e informazione legale, i servizi per l’alloggio, i servizi per l’inserimento lavorativo, quelli per la formazione…

Sì… Cioè qualche volta fanno anche incontri per la lingua, perché siamo obbligati a insegnargliela. Però queste cose che hai detto sono cose delle leggi, grandi parole inutili come palloncini a elio. Noi facciamo quello che possiamo ogni giorno per aiutare e dare da vivere agli immigrati che ospitiamo, senza bisogno di usare espressioni vuote. Poi altre cose magari le fa l’assistente sociale, ma anche lui fa ben poco delle cose che hai detto perché ci sono altre esigenze a cui rispondere.

 

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