Storia della vita che non c’e’ più

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Fruga in una borsa disordinata, Francesca (ndr nome di fantasia), alla ricerca di una penna che scriva. Le conserva dentro una bottiglietta di plastica. Disordinata come la sua vita, tra libri, riviste e tanti quaderni. Ha frequentato l’istituto d’arte, ma non ha finito la scuola, ci racconta. A Messina è arrivata per caso, non sa neanche lei spiegare come. La conosceva soltanto per Antonello ed una chiesa normanna studiata in storia dell’arte. E voleva ricominciare. Ma non c’è ancora riuscita. Vive in un dormitorio e pranza alle mense “dei poveri”, cerca come può di avere una routine.

Francesca ha superato la soglia dei cinquant’anni e da qualche decennio ha lasciato il paese siciliano in cui è nata, ma non è sempre stata una senzatetto. Alla ricerca di un lavoro in una grande città, forse qualche guaio. Ripete tante volte che nella vita bisogna poter scegliere liberamente. E che vuole ricominciare ed ha bisogno di posare le basi per il futuro. Si aggrappa però al passato, ai ricordi che custodisce nella memoria e a quelli “materiali” che non ha più.

Adesso non si capisce più dove finisca la sua storia e dove inizi una storia. Di certo una storia fatta di solitudine, una bolla dentro la quale non è possibile penetrare, strati su strati di difficoltà e dolore. E si sbatte contro questo muro, incapaci di scartare verità e fantasia, incapaci di aiutare. Problemi di salute, voglia di potersi «cucinare un uovo fritto, comprare delle medicine per lo stomaco o rimanere sotto le coperte al mattino, quando si sta poco bene».  Tutto è iniziato da uno sfratto, pare, dopo che si rimane soli al mondo. Una donna che si porta dietro pesanti fardelli, come si vede dalle rughe sul suo volto e dall’aria stralunata. E non sapremo mai, con precisione, quale percorso l’abbia portata a vivere con una valigia, un borsone e qualche busta di plastica.

Non sbagliano a chiamarli invisibili. Perché Francesca è lì, ogni giorno. Nessuno sa niente di lei, nessuno ricorda il suo volto se non gli viene fatto notare.  La si “vede”, insomma, ma è come una immagine che non si riflette nello specchio. Non rimane impressa nella mente. A me è rimasta impressa la sua voce, la sua confusione e la ricerca di “luce”. Per smettere di stare nell’ombra, per tornare a riflettersi nello specchio sociale.

«Sono anni che non vivo più, che non posso prepararmi un cappuccino o un tè per i fatti miei. Non sei libero di far nulla e ti senti trattato come un animale». Francesca legge molto, ci confessa. E dal sacchetto bianco tira fuori un quaderno rosso, con i fogli bianchi, senza righe. «Li divido per argomento», ci spiega con aria seria. Scorgo appunti ordinati, mentre sfoglia velocemente le pagine: date, annotazioni per ricordare cosa sia successo in un singolo giorno. E’ come se la sua vita non abbia tempo, come se per esistere dovesse scrivere. Scriversi.

Sono tanti gli invisibili di questa città. Gente dimenticata nell’ombra, illuminata dal sorriso di pochi angeli, ma comunque sola. Perché fa troppo male domandarsi: e se succedesse a me?

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