Storia di amore e di pistola

Bruna era esile, bassina e con uno sguardo antico,  la vedevo ogni giorno, seduta al solito bar, a un tavolino di quelli posti all’aperto, anche se faceva freddo. Era sempre sola e con una espressione di chiusura  tale da non darti il coraggio di avvicinarti. Stava da sola, a farle compagnia erano i libri di diritto, si era laureata in giurisprudenza e avrebbe dovuto sostenere gli esami di abilitazione. Sola, al bar

Un giorno accadde un evento straordinario, mi salutò

Il giorno seguente, incoraggiato dal suo insolito sorriso, mi fermai con lei a parlarle.

Era felice Bruna, mi raccontò del buon esito del suo esame, ma soprattutto mi raccontava di una storia d’amore che stava nascendo, era innamorata di un amico dell’avvocato presso il quale era praticante e sembrava che ciò fosse corrisposto.

Mi raccontava Bruna, sempre più frequentemente e con maggiore gioia, lo faceva esaltando particolari innocenti, con la forza che poneva al suo racconto lo faceva apparire irreale.

Sembrava veramente che la vita le sorridesse, adesso che a condividere la sua felicità si era unita “fulmine” una cagnetta di piccola taglia, così chiamata perché al mattino correva all’impazzata fra i cortili dell’università per salutare tutti coloro che le regalavano una carezza, ma le carezze di Bruna erano speciali e così fecero coppia fissa.

Non vidi più Bruna per qualche mese ma la cosa non mi impensieriva, mi fu detto che era incinta e che preferiva stare di più in casa.

Partorì, la piccola Bruna, ebbe un bellissimo bambino e la notizia raggiunse anche la sua famiglia, nella locride.

Venne a Messina il fratello Giovanni

Giovanni era un “Morabito”, nota famiglia ‘ndranghetista di Africo, lui era un Morabito, Bruna NO, non più. Lei amava una persona normale.

Venne a trovare la sorella, Giovanni, la incontrò per strada, forse la aspettava. Bruna lo pregò di salire in casa a vedere il nipotino, lui salì, lo vide, forse lo accarezzò. Quando salutò la sorella per rientrare in Calabria lei lo accompagnò giù sino al portone e, mentre si accingeva a salutarlo, magari con un bacio, lui Giovanni Morabito, 24 anni, detto “ringo”, le sparò alla testa.

Ai carabinieri dirà:  ”Sono stato io a sparare, l’ho fatto per onore…”, Onore si, quell’onore tradito da una donna in cerca di normalità, di amore e soprattutto di una città nuova che le facesse dimenticare le violenze del marito da cui era fuggita

Bruna meritava la morte e quel bambino non valeva nulla, era ed è questa la logica di un mafioso ‘ndranghetista, per questi esseri non esiste un legame parentale, non al di sopra delle loro regole.

Regole che sempre contrastano con chi sceglie di vivere libera.