È una giornata calda di settembre, di quelle che in Sicilia è normale vivere.
L’appuntamento è con mio fratello all’ingresso del padiglione, insieme in silenzio raggiungiamo il piano, attraversiamo il corridoio interminabile, insieme in silenzio ci avviciniamo al letto, ognuno ad un lato opposto all’altro. In silenzio. Contemporaneamente estraiamo il nostro telefonino per avvisare i parenti, è d’obbligo farlo.
Non ho ancora elaborato l’evento e mi ritrovo, il giorno seguente, con mia moglie e mia figlia all’ingresso dell’obitorio.
Sono dentro, è tutto bianco, uguale, piatto. Il freddo fornito dai refrigeratori risulta decisamente insufficiente per quella calda domenica di settembre. Entro e mi fermo ancora incredulo davanti una lettiga, al mio fianco inaspettatamente mia figlia, così giovane, così fragile ma tanto determinata a comunicare il suo amore a lui che si mostra appena da sotto un lenzuolo che lo copre malamente.
Non è l’unico ad abitare quella sorda stanza bianca, altri corpi, anonimi, sono sotto altre lenzuola, ed insieme generano un odore inconfondibile: acre e pungente, forte e invadente. Ti avvolge ti confonde la mente, allontana i pensieri, riesci solo a capire che quello è l’ odore di morte.
Torno ancora lunedì, entro nel bianco e quell’odore è lì a ricordare il motivo della mia visita, oggi è ancora più intenso, soffocante e ti urla contro la sua verità: è morto! E quattro uomini uguali lo stanno trasferendo nella bara scelta il giorno prima, sembra diversa adesso, è così piccola per contenere un amore grande.
Sono trascorse un paio di settimane e tutto sembra scorrere normale, non è successo nulla tranne che da due domeniche non è a tavola con noi.
Il caldo di fine settembre si trasforma, l’aria è pesante, umida come non mai e preannuncia l’arrivo di un temporale che avrebbe posto fine a una estate destinata a restarmi addosso.
La sera successiva il temporale atteso arriva, ma non su tutta la città.
Dal balcone della mia cucina vedo un cumulo di saette concentrate su un non precisato punto della zona sud.
L’indomani mattina la notizia: Giampilieri, alluvione, forse vittime, non raggiungibile.
Lo raggiungo ugualmente. La stazione ferroviaria, la strada, le case: è tutto un fiume di fango, grigio appiccicoso, il fango è nelle case nelle auto negli occhi della gente che scava senza guardarmi.
Avevo già visto altre alluvioni in questa zona di Messina, ma mai questo violento accanimento, sulle cose, sulla gente.
Raggiungo Via Puntale, dove mi dicono ci sia il danno maggiore -dove cazzo è Via Puntale- ero stato qui solo due mesi prima per fotografare testimonianze architettoniche di un trascorso nobile di Giampilieri.
Qui c’era un arco seicentesco, adesso manca la strada, le case, la gente.
Torno in Via Puntale ogni giorno, da tre giorni, sto imparando a collegare i resti delle case alle persone che le hanno abitate, ad immaginare le loro abitudini, i gesti e le paure di quei minuti.
Qui è Katia, di fronte Simone, più su la mamma del brigadiere De Luca, il puzzle si compone, gli oggetti restituiscono i ricordi ma non gli affetti, la mattinata si conclude con un uomo che “accarezza” una medaglietta da prima comunione.
La mattina dopo sono sul posto di buon ora, si cercano i corpi di due bambini, due fratellini che, solo grazie all’ausilio dei cani e di esperti soccorritori si riescono a localizzare, e dopo pochi minuti la conferma. Un odore acre preannuncia il ritorno alla luce dei due ragazzini, di fronte un vigile del fuoco scava con le mani là dove si ipotizza possa essere il corpo di una signora polacca.
Eccolo, arriva come un’onda marina, forte e improvviso, avvolgente e sfacciato.
È più persistente dei precedenti, anche quando il corpo viene chiuso in sacco arancione.
Il cadavere viene portato al centro di “deposito” presso la scuola elementare, il corteo percorre un viottolo di campagna, quel mesto odore mi attrae come l’inganno del flauto magico, seguo il corteo a distanza, legato all’ esalazione di quel corpo che adesso viene adagiato fra gli altri corpi, morta.
Morta fra i morti e sono morti quei corpi depositati in un magazzino della scuola, come era morto il corpo in quella stanza bianca, adesso lo so, adesso ho materializzato quel miasma.
Sono trascorsi due anni, ritornano le commemorazioni alle vittime della alluvione: 38, ma per me uno in più, mio padre, morto insieme alla gente di via puntale, perché è li che mi sono reso finalmente conto che “era successo”.