di Francesco Polizzotti
Leggendo le tante interviste dei leader di partito e dei principali economisti italiani sulla stampa nazionale di queste settimane, tutte incentrate sulla situazione economica e politica dell’Italia a rischio default, poco emerge delle responsabilità generale della classe politica italiana. Tra le proposte più gettonate per evitare che i conti italiani peggiorino, il famigerato taglio delle province come antidoto agli sprechi della pubblica amministrazione. Saranno accorpati quegli enti locali che non rispondono ai criteri segnati nella manovra finanziaria bis che il Governo è stato costretto dall’Europa e dai mercati a “ristrutturare” (termine tremontiano per descrivere l’inadeguatezza della ricetta economica approvata solo un mese fa dalla maggioranza di centrodestra alle Camere).
Verrebbe da ridire però sulla filosofia di fondo che taluni portano all’attenzione dei lettori e cioè quello che, per rimanere all’esempio citato, vedono le Provincie come i carrozzoni inutili per eccellenza. Molto si è parlato della proposta netta, poi bocciata da Motecitorio, dell’On. Borghesi (IdV) che avrebbe da subito azzerato le province e i loro amministratori (divisi per la maggior parte tra Pd e Pdl). Ma perché partire dalle province, che se amministrate bene danno molti più benefici che costi, e non dai meri vitalizi delle quote esose spettanti ai consiglieri provinciali, regionali e dei parlamentari nazionali? L’oggetto di questo articolo non è comunque legato direttamente ai costi della politica e di tutto ciò che ruota attorno alla gestione del potere locale ma della mancata occasione di rinascita del Paese che negli anni novanta aveva movimentato le piazze e migliorato il rapporto tra cittadini e la cosa pubblica. Allora, gli italiani presero coscienza della deriva non solo morale che i governi del cosiddetto CAF (Craxi, Andreotti e Forlani) avevano determinato.
Oggi nel 2011 per rimediare alle politiche creative dei governi guidati da Silvio Berlusconi (2001-2006 e 2008-2011) e alla mancanza di coraggio pragmatico dell’arco progressista che con troppa facilità si rivolge alla piazza, il malessere del Paese raccoglie sempre più poeti morenti della politica che fanno riemergere l’epoca in cui si lanciavano le monetine e si sfilava davanti i tribunali accompagnando gli inquisiti simulando l’arresto in manette incrociando i polsi. In quel frangente storico però, avanzavano candidature autorevoli che si sarebbero sostituite allo strumento parlamentare con il varo dei cosiddetti governi tecnici con uomini come come Carlo Azeglio Ciampi che riuscirono a far capire al Paese i sacrifici da fare per evitare la bancarotta.
Contestualmente, sono questi gli anni in cui gli italiani si ribellano al potere delle segreterie romano-centriche e danno spazio a movimenti di protesta e di rinnovamento che nel breve termine avrebbero consegnato l’Italia alla novità berlusconiana e all’egocentrismo dei seguaci di Miglio e di Bossi e fatto estinguere ciò che era sopravvissuto alla diaspora ideologica dei partiti della Prima Repubblica. Ricordo che fino ai primi anni novanta le elezioni si vincevano per il rotto della cuffia, con maggioranze ampie, in cui un partito centrale si alleava di volta in volta a urne chiuse con i partiti cosiddetti minori per assicurarsi il governo del Paese. Nessuno poteva richiamare i propri eletti agli impegni della campagna elettorale precedente, poiché i vincoli di alleanza mutavano a mutare dei veti degli alleati di governo (spesso si tornava alle urne anche dopo solo pochi mesi dall’esito del voto) e delle scelte interne alle numerose correnti dei principali partiti.
Da allora tutto quello che poteva accadere è accaduto. Cambio di sistema elettorale, dal maggioritario approvato per via referendaria al ritorno al proporzionale con il “Porcellum” nel 2005. Nel mezzo un tentativo mal riuscito di semi-presidenzialismo, una riforma federalista ancora in cantiere e il crescente divario Nord-Sud, con una “questione meridionale” ancora da risolvere.
Con l’espressione “Italian Beauty” viene ricordato il momento in cui si sono consumati in Italia quegli strani delitti nelle villette di provincia, in cui figli apparentemente senza alcun problema o movente, uccisero i propri genitori per avere il controllo sui beni patrimoniali altrimenti alienati alla tutela genitoriale. Metafora utile questa, per descrivere in forma di caricatura, il sentimento di rivalsa dei giovani di oggi nei confronti del potere spesso gestito da adulti ingordi e sottesi al compromesso a discapito delle generazioni più giovani (vedasi sistema pensionistico o mercato del lavoro), con lo scopo di prendere il posto e fare tabula rasa di quanti fino ad ora hanno deciso per conto degli altri le scelte politiche di questi anni.
Un po’ come sta accadendo a Parma, dove un’amministrazione caratterizzata da sprechi e clientele si è dovuta barricare dentro le mura della municipalità per sfuggire al linciaggio della cittadinanza in subbuglio. Su questa scia, le ragioni dei meno addetti ai lavori della politica potrebbero portare anche ad atti di “regicidio” nei confronti dei mal governanti, mettendo a rischio la coesione sociale oramai allo stremo. In più, sempre più fanatici della rete giocano con il dissenso dei naviganti dietro la pubblicazione di rivelazioni post datate in cui si accusa la Casta di privilegi e meriti impropri che non aiutano certamente i più volenterosi negli stessi partiti a riportare la politica tra la gente. La “comicità” di Beppe Grillo, tanto per citarne uno, può essere trasformata in devianza sociale tesa solo alla protesta senza considerare poi i risultati negativi che ciò comporterebbe. Ed è pure inutile ricordare agli internauti che lo stesso Grillo di condoni ne ha già firmati due, si farebbe il suo stesso gioco. Altro discorso per fenomeni più seri che riflettono il cocente momento storico come gli Indignados madrileni o dei più recenti movimenti spontanei delle Forchette rotte o dei Forconi sorti in Sicilia. Il cambiamento richiesto quindi negli anni novanta non è mai avvenuto e la classe dirigente italiana continua a non redimersi.
Ne esce così un’Italia, quella del primo scorcio del nuovo millennio, che non ha saputo fare tesoro della richiesta di cambiamento e democrazia avanzata negli anni dai cittadini con diversi strumenti costituzionali ed ancora oggi con le numerosissime inchieste ed operazione condotte dalla magistratura. Nel ’92, infatti, Manipulite aveva spazzato via la classe dirigente corrotta della Milano da Bere. Oggi gli eredi di quella storia stentano a dare risposte certe agli italiani ormai stanchi ma paradossalmente ancora non troppo delusi. L’antipolitica, c’è da ribadirlo, non è la risposta alla crisi ma è il prolungamento di un disimpegno che fa male a tutti, lasciando ai margini i migliori che chiusi nel proprio disincanto continuano però a delegare ad altri, molti di questi inadeguati perché poco formati (amministratori locali che si improvvisano tali, cattolici adulti che preferiscono restare nelle sagrestie, giovani preparati che declinano l’invito ad impegnarsi attivamente nel sociale), l’ambizione di governare i processi di cambiamento. Berlusconi non è De Gasperi ma neanche Andreotti (altra stazza…politica) e Diego Cammarata, sindaco di una Palermo stanca e crogiolata dalla mancanza di prospettive per il futuro, non è certamente Elda Pucci o Giuseppe Insalaco, entrambi sindaci del capoluogo siciliano a metà degli anni ottanta che lottarono contro la mafia pagando le loro posizioni anche all’interno del proprio partito che stava consolidando in quegli stessi anni la linea andreottiana maggioritaria nella Dc palermitana. Stesso paragone per gli industriali di casa nostra che non sono riusciti a mantenere, ad esempio, competitiva Alitalia, oggi Cai (Compagnia Aerea italiana) e che fanno rimpiangere la gloriosa Famiglia Agnelli il cui merito è comunque quello di aver contribuito a rilanciare l’industria in Italia.
Italian Beauty, quindi, può anche rappresentare un tentativo non riuscito di rigenerazione contro la gerontocrazia, anche a mezzo di estinzione forzata, di una classe dirigente che aveva esaurito la propria spinta e funzione storica e che oggi non ha trovato un adeguato ricambio nella politica, come nell’economia o nella cultura tanto che difficilmente troviamo nuove leve che si pongono alla guida morale della comunità, mentre crescono in maniera esponenziale i tecnici del dissenso “senza se e senza ma”.