Tindari: l’alba di Antonello

Tindari, mite ti so. Fra larghi colli pensile sull’acque.

Delle isole dolci del dio, oggi m’assali e ti chini in cuore

 

 

Il vento quasimodiano di Tindari che da ragazzo risvegliava l’animo di Vittorio Sgarbi e lo predisponeva a quel bellissimo rapporto che avrebbe avuto con la Sicilia, visitata per la prima volta nel 1971, muove l’inizio di un discorso, rivolto al pubblico gremito che ha superato il disagio del sonno, e  volto a svelare quel genio che è stato Antonello da Messina.

Un genio della pittura, non sufficientemente presente nei libri di storia, che come Raffaello e Michelangelo non ha bisogno che del suo nome per esprimere tutta la sua grandezza. Sono molti i punti di divagazione nel discorso di Sgarbi, che si allontana talvolta dal tema per ritornarci dopo aver punzecchiato, con un linguaggio spesso colorito,  la curiosità del pubblico ed un dialogo aperto con lo stesso a fine spettacolo. Tra i temi trattati:  l’annoso problema finanziario del museo Mandralisca, risolvibile probabilmente “tassando” con un euro il turista e portandolo a visitare la collezione, Salemi ingravidata da Garibaldi che avrebbe partorito il sogno di un’Italia unita, la sua esperienza come alto commissario a Piazza Armerina, quel ponte inutile e mostruoso, generato da menti deboli,  che vorrebbe privare la Sicilia della sua isolitudine, il brutto padiglione Italia dell’Expò” una scorreggia fritta”, l’imminente impegno del Referendum e la necessità di espandere la consapevolezza dell’articolo 9 della Costituzione, l’avversione per le pale eoliche ed il fotovoltaico segno di un intento criminale che vuole cancellare la bellezza dei nostri paesaggi.  È proprio Sgarbi a proporre al Direttore Artistico Filippo Amoroso il tema di  Antonello per questa iniziativa insolita dell’alba recitata presente da qualche anno nella rassegna del teatro dei due mari.

 

Antonello, nato tra il 1425 ed il 1430, esponente di quel quattrocento integro che ha rappresentato un momento cruciale del Rinascimento italiano, protagonista indiscusso che ha fatto esperienza di una ricca contaminazione fiamminga ed italiana ed ha colto e rubato la dolcezza del Bellini.  

 

Il noto critico, di ritorno da Forte dei Marmi per il suo spettacolo di successo Caravaggio,  racconta le occasioni di incontro “diretto” di Antonello: la tavoletta bifronte oggi al  Museo di Messina, acquistata dalla Regione in un’asta a Londra ed il trittico da lui visto in una casa di Piacenza molto ridipinto, già ritenuto con grande intuizione di Antonello da Carlo Volpi, che per quindici anni sarà esposto  ricomposto agli Uffizi.

 

La narrazione si dipana con l’uso di pannelli montati su treppiedi sulla scena e con alcune immagini distribuite agli spettatori, sia per chi già conosce l’artista, o per il malcapitato che ancora non lo conosce.

 

Il noto critico fissa un estroso e singolare profilo artistico del messinese, dagli esordi fino alla Pala di S. Cassiano opera della massima maturità artistica nella quale i santi

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 cominciano a dialogare esprimendo tutta la loro personalità in uno spazio sapientemente unificato. Punto focale della lezione- narrazione l’Annunciata di Palermo, opera seduttiva intensamente espressiva, lontana dalla natura transica della Gioconda, un pezzo dell’anima del Bellini, il pittore più votato all’anima che si sia mai conosciuto. Espressione del bellissimo pudore delle donne velate per propria volontà, senz’angelo perché l’angelo annunciante e custode si è incarnato in lei, come nella dama con l’ermellino di Leonardo nella quale l’amato è dentro, non ha bisogno di essere rappresentato.  Lo sguardo della donna è uno sguardo interiore per decidere cosa dire; il  gesto del chiudere non è solo pudore ma anche a tutela e protezione del grembo;  il leggio gotico è l’unico elemento temporale. Nel S. Girolamo è lo spazio il protagonista, svolto con un’audace e complessa spazialità alla Escher, uno spazio che ricorda i palazzi palermitani del ‘400, tre punti di fuga come un grandangolo ed un nucleo abitativo che nemmeno Le Corbusier poteva immaginare; riferimento alla vita quotidiana come spazialità articolata e prospettica.  Le Crocifissioni di Antonello, potentemente liriche,  che ci mettono davanti al destino dell’uomo ed il mare che guardiamo oggi, qui davanti a noi, è lo stesso che fa da sfondo al dramma. L’Ecce Homo Piacenza non deriso ma deluso con le labbra verso il basso che sembra pensare” Ma questo Dio esisterà”?

 

Infine quelle “polaroid” che sono i ritratti di Antonello, primo pittore che disegna persone,  che incarnano la natura del siciliano e così dietro il ritratto Trivulzio dalla ciglia puntute potremmo riconoscere l’essenza di un tipo mafioso mentre il furbesco ritratto Mandralisca rappresenterebbe l’essenza dello stronzo, vuole il male altrui ed il bene proprio; incarnazione di quel male verso il quale non si può che provare fastidio ed avversione. Nella seconda parte Sebastiano lo Monaco recita uno stralcio del berretto a sonagli e si apre un momento di dibattito; dulcis in fundo a tutti gli spettatori viene offerta una genuina colazione a base di pane ricotta e vino presso l’osteria Pane e Vino.

 

Giuseppe Finocchio