“Sempre la solita vecchia storia… Il sito archeologico di Tindari è uno spettacolo, bello da visitare e interessante per la storia che vi racchiude. Ma l’incuria è intollerabile. Pagare il biglietto e trovare all’ingresso 4 o 5 dipendenti con le braccia incrociate intenti a chiacchierare, poi entrare nel sito e trovarlo pieno di erbacce è intollerabile. Vedere i preziosi mosaici invasi dalle erbacce è intollerabile. Il sito archeologico rimane un luogo suggestivo, peccato per la solita incuria”.
Recensione da TripAdvisor del 25 gennaio 2017
“Si paga ad una biglietteria con dentro 4 persone, si procede e l’anfiteatro e’ una coltre di erba alta più di 30 centimetri. Si procede, si arriva alle casette appena stabili di legno con tettoia e, sotto, i magnifici mosaici. All’interno del percorso, i meravigliosi mosaici stanno saltando perché l’ erba penetra e fa saltare le tabelle. MA NON SI PUO’! Ci sono casupole che crollano piene di reperti già catalogati o almeno suddivisi. Il bagno indecente. Le segnalazioni del sito mancano completamente.”
Recensione da TripAdvisor del 11 ottobre 2016
“Purtroppo la solita storia dell’amata Sicilia: il sito non è per niente promosso, né tantomeno segnalato. Paghi per entrare ma di supporto, servizi, indicazioni, neanche l’ombra. Entra, guardati intorno e quando hai fatto arrivederci”.
Recensione da TripAdvisor del 26 settembre 2016
Questo, è quanto si legge scorrendo tra le recensioni presenti sul web a proposito del sito archeologico di Tindari, frazione di Patti (Messina). Un’area che si aggiunge al già troppo lungo elenco dei siti storico artistici siciliani lasciati all’abbandono, nonostante gli introiti economici conseguenti al pagamento di un biglietto di ingresso. Ogni anno, il sito archeologico di Tindari incassa circa 150 mila euro, interamente versati alla Regione Sicilia. E così la storia si ripete: l’assessorato ai beni culturali, unico ente a godere di introiti, si ritrova privo di fondi da poter impiegare nella gestione e nel mantenimento dei numerosissimi siti storico artistici siciliani. Per la pulizia e il mantenimento dell’area di Tindari, secondo quanto riferitoci dalle nostre fonti, occorrerebbero circa 25 mila euro annui, a fronte di un incasso che, come detto, si aggira intorno ai 150 mila euro.
La frazione di Tindari però, non gode, come altre aree siciliane, prima tra tutte Agrigento, di quell’autonomia finanziaria che le consentirebbe di impiegare parte degli introiti alla cura delle aree di interesse archeologico. Fino a qualche anno fa, la convenzione con il Comune di Patti, cui veniva versato il 30% degli incassi, garantiva una certa attenzione nei confronti del mantenimento dell’area archeologica. Ma le cose sono cambiate, e i risultati sono a dir poco tangibili. La cessazione del rapporto con il Comune ha inevitabilmente portato alla totale assenza di fondi per l’area. La storia si concretizza in incessanti richieste di intervento alla forestale, continuamente negate in attesa dell’approvazione di un bilancio che sembra destinato a non arrivare mai. Richieste provenienti non solo da un’utenza stanca di assistere allo scempio di un patrimonio storico senza eguali, ma anche da una popolazione che vede il proprio passato, celebrato nei libri di storia, sepolto da un cimitero di sterpaglie. Importante sottolineare come gli addetti attualmente impiegati alla sorveglianza del sito, siano appunto dei sorveglianti, non qualificati alla cura e alla pulizia delle aree archeologiche.
Il risultato è uno stato di assoluto abbandono di una delle aree archeologiche più antiche e ricche della Sicilia orientale. Erba alta, possibile habitat naturale per zecche e altri spiacevoli insetti, servizi igienici collocati all’interno di strutture prefabbricate la cui pulizia è limitata a 6 ore settimanali, assenza di segnaletica. Il tutto, sommato all’inevitabile erosione dei numerosi resti presenti nel sito. Mura, mosaici e reperti abbandonati alla furia dei fenomeni naturali, mentre molti siciliani investono le proprie ferie visitando luoghi esterni alla LORO Sicilia. Alla NOSTRA Sicilia.
Un’area archeologica al pari di tante altre realtà, valorizzate e considerate tesoro prezioso non solo a livello storico artistico, ma anche più cinicamente a livello economico. E’ così che, tra sterpaglie e arbusti, è imprigionato quanto resta di quell’ antica città greco-romana fondata da Dionigi di Siracusa nel 397-6 a.C. come fortezza ed avamposto militare. Quel paradiso storico che ha vissuto l’occupazione dei Cartaginesi, guidati da Annibale, nel 264 a.C., la conquista dei romani dieci anni dopo, ed infine la devastazione degli Arabi nell’836 d.C. Un’area in cui è possibile visitare Il teatro greco-romano, costruito con blocchi di pietra arenaria dai greci nel III° secolo a.C. e poi modificato dai romani per adattarlo ai giochi circensi. O ancora il propileo monumentale costruito dai romani con grosse pietre arenarie e destinato a Basilica per le pubbliche riunioni, o a Ginnasio per lo svolgimento di esercizi atletici. E cosa dire dei mosaici, o dell’Antiquarium, situato all’ingresso degli scavi, in cui sono esposte statue marmoree di personaggi togati, una testa dell’imperatore Augusto, un capitello corinzio, ceramiche dell’età del bronzo, lucerne romane di età repubblicano-imperiale, attrezzi da lavoro e numerosissimi altri reperti storici ritrovati in loco.
Dalle molteplici recensioni presenti sul web compare numerose volte il medesimo suggerimento: l’unica soluzione a un problema che sembra privo di soluzione, sarebbe la concessione dell’ingresso gratuito all’area, almeno per garantire la tutela del turista che, dopo aver pagato un biglietto, si aspetta di poter osservare le testimonianze di una grande civiltà passata.
Non quelle di una pessima civiltà contemporanea.
GS Trischitta