Lasciar morire il lavoratore

Sabato 29 ottobre, nell’Auditorium “Maggiore La Rosa” di Barcellona Pozzo di Gotto, è stata presentata l’ultima ricerca di Tindaro Bellinvia, “Lasciar morire. Burocrazie minime, ambiente, territorio e lavoro in Sicilia”, racchiusa in un volume edito da Mimesis.

Nelle 114 pagine, che raccolgono interviste e fonti documentate, il sociologo dell’Università degli Studi di Messina ha tratteggiato la realtà degli uffici, dei corpi, delle agenzie e dei dipartimenti impegnati nel monitoraggio ambientale e nella sicurezza sui luoghi di lavoro. Un campo su cui si aggira inquietante il senso della frase “si potrebbe dire che al vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere si è sostituito un potere di far vivere o di respingere nella morte”, espressa da Michel Foucault nel suo La volontà di sapere.

In Sicilia, terra ritratta dalla retorica come arretrata e reticente ai cambiamenti, si sono parzialmente concretizzati i fattori salienti della governamentalità neoliberale: dal managerialismo, volto all’accrescimento della competitività nella pubblica amministrazione, alla costruzione di uno spazio isomorfo pubblico-privato, dall’autoregolamentazione di ampi settori economici alla de-conflittualizzazione per mezzo di mediatori e facilitatori di ogni tipo.

La presentazione del volume, moderata dal prof. Pietro Saitta, anch’egli sociologo dell’ateneo messinese, ha visto la partecipazione di diverse personalità: Daniele David della Fillea CGIL, Salvatore Chiofalo segretario della CGIL, Carmelo Ceraolo di Legambiente e Pasquale Rosania dell’Arci “Cohiba”.

La ricerca di Tindaro Bellinvia, ha sottolineato Saitta, nasce in un clima particolare di una Italia caratterizzata dall’ossessione contro gli immigrati o in genere “il disordine”. Un’Italia dove gli omicidi sono diventati reati di prescrizione. “Mentre Bruno Vespa – ha commentato il sociologo messinese – e altri ci propinano plastiche ricostruzioni di omicidi efferati e via dicendo, in Italia i lavoratori muoiono”. Inoltre, oltre 560mila persone lamentano malattie dovute al lavoro, ma anche alla vita in territori caratterizzati, tra le varie, dall’industria petrolchimica. Spesso si convive con un atteggiamento opponente con chi viene considerato il nemico di turno. Oggi si considera tale l’immigrato, dimenticando che “il reale nemico del nostro sviluppo è lo stesso lavoro d’impresa quando si traduce in assenza di sicurezza”. Il centro della ricerca di Tindaro Bellinvia è anche questo, con particolare sguardo alla questione legata ai controlli da parte delle agenzie della sicurezza sui posti di lavoro. Il concetto emergente, in verità, è che quella trasparenza e quel controllo minuzioso dei processi economici e amministrativi delle imprese che le agenzie dovrebbero garantire, in realtà sono vuota retorica e illusione.

Il primo relatore è stato Daniele David, segretario provinciale della Fillea CGIL. “Il libro di Tindaro Bellinvia è importante – ha esordito il sindacalista – perché è una scrittura appassionata su un tema complesso”. In questi anni oltre a “una mistificazione mediatica”, abbiamo assistito anche “a una progressiva perdita di centralità, una scomparsa del ruolo degli intellettuali e del loro impegno rispetto ai bisogni e alle esigenze inespresse dei lavoratori, della società, delle classi più deboli. Anche per questo Lasciar morire è importante”. Per il segretario, il lavoro di ricerca di Bellinvia ha messo insieme i pezzi che raccontano “lo Stato e gli apparati periferici delle imprese lontane dai compiti che dovrebbero avere”. Nella provincia di Messina vi sono 2500 imprese edili: per David potrebbero tranquillamente scendere anche a 300. Soprattutto se si considera che è disperso del tutto “il valore della responsabilità sociale”. Oggi l’impresa non ha capitale sociale, quindi non ha responsabilità, semmai “il capitale è l’accettazione dell’elemento di rischio dei lavoratori, che sono costretti a subire la scelta di risparmiare sull’investimento relativo alla sicurezza o ai corsi di formazione”. Ciò perché oggi la “responsabilità non ricade sul datore di lavoro, ma direttamente sul lavoratore”. Gli istituti pubblici che dovrebbero controllare le violazioni “vanno invece in soccorso dell’impresa, affinché la stessa riesca ad andare avanti”. Le imprese hanno “la presunzione di pensare di poter lavorare con i soldi degli altri – che sia lo Stato o il lavoratore poco importa – e spesso ci riescono”.
Sempre per il sindacalista della CGIL, Tindaro Bellinvia nel suo volume ha fatto emergere l’aspetto reale di tutta questa situazione: gli apparati di controllo spesso diventano consulenti anziché agenzie di controllo. Anche il linguaggio sembra essere cambiato: adesso, la non adempienza dei versamenti dei contributi spettanti ai lavoratori viene definita semplicemente “omissione contributiva”. Il dispositivo di governo, sintetizzato nella governance che dipinge uno scenario fittiziamente idilliaco, si muove su assunti differenti rispetto al passato: “la razionalità superiore alla quale ci si affida – sottolinea David – non è la tutela del lavoratore, ma il profitto, la competizione, l’efficienza”.
In provincia di Messina “sono pochissime le ispezioni sul territorio alle imprese, forse una ogni due cento anni”. E quando accade, “le imprese non hanno tutto in regola”. Tutto questo è legato, per il sindacalista, “alla crisi delle istituzioni”. Il job act, tanto per fare un esempio, è considerato da David “uno strumento che fa crollare i diritti dei lavoratori”. Se il lavoratore sa che può essere licenziato senza motivo, “non si batterà se l’impresa scarica ciò che non deve scaricare in un torrente, non la denuncerà per paura di perdere il lavoro”. E quando la magistratura interviene, oggi, lo fa “affidando alla razionalità del lavoratore così precario tante responsabilità”. È come se ci fosse una deroga. Per il sindacalista della Fillea ciò che sta accadendo è molto chiaro e lo esplicita senza riserve: “l’impresa oggi ha un potere di ostruzione, esattamente come la cosiddetta buona scuola. Si sta completando, direi codificando, il processo di accentramento di potere dando all’esecutivo la possibilità di decidere al posto del libero cittadino”. Per David, se si vuole risolvere l’attuale dramma, è necessario “ritornare ai rapporti di forza: i lavoratori devono imporre allo Stato comportamenti che devono davvero tutelare. Ciò affinché il lavoro ritorni quel vecchio strumento di emancipazione di un tempo”.

Subito dopo, è intervenuto Salvatore Chiofalo, segretario della CGIL di Barcellona. “Anch’io ho letto il libro di Tindaro Bellinvia – ha esordito il sindacalista – e l’ho trovato uno strumento utile, un’indagine accurata sulla situazione che riguarda la sicurezza negli ambienti di lavoro ma non solo in essi”. In Italia le morti sul posto di lavoro sembrano in calo, ma solo perché “sono diminuiti gli stessi posti di lavoro”. Il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, oggi, è divenuto quasi insostenibile. Per Chiofalo, “quando il lavoratore rischia di essere cacciato dall’azienda, accetta di soccombere, di non denunciare il proprio datore”. Con il job act, interferire con le decisioni del “titolare” vuol dire, automaticamente, “essere cacciato un minuto dopo”. Alcuni pensionati, che non riescono a vivere con il poco ricevuto dall’INPS, acconsentono di lavorare in nero. Anche i giovani lo accettano pur di poter lavorare. Il danno della riforma del lavoro consiste nel fatto che “si è liberalizzata la possibilità di licenziare e mandare a casa a pedate il lavoratore”. Dentro questa cornice, vi sono numerosi elementi ancora, tra cui la scarsità, se non addirittura assenza, di prevenzione. “Tindaro Bellinvia ha consentito – continua Chiofalo – di avere una panoramica importante, anche grazie alle interviste effettuate ai vari attori che dovrebbero, nella nostra provincia, controllare, intervenire e tutelare la sicurezza del lavoratore”. Nella ricerca di del sociologo messinese, gli intervistati hanno dichiarato, tra le varie cose, di non avere gli strumenti per operare e di non possedere sufficienti risorse economiche per poter andare avanti. Addirittura, sottolinea Chiofalo, “qualcuno ha candidamente ammesso che i propri collaboratori sono i consulenti del lavoro, i cui clienti sono proprio i datori di lavoro!”. Infine, il segretario della CGIL ha sottolineato due ultimi concetti per lui importanti: non vi è dialogo tra tutti coloro che sono preposti al controllo, tranne quando è la magistratura che impone loro di coordinarsi; lo strumento del Testo Unico è da considerarsi positivamente, eppure lo si vuol modificare.

Successivamente, ha preso la parola Carmelo Ceraolo, presidente dell’Associazione “Legambiente del Longano”. Dopo aver ringraziato e presentato brevemente l’associazione, ha sottolineato il gradimento per “l’analisi molto attenta e puntuale, contenuta in Lasciar morire”. L’ambientalista ha precisato che le leggi in realtà esistono, il problema riguarda semmai la diluità temporale: una segnalazione viene processata, ad esempio, non immediatamente dopo la raccolta, ma dopo un tempo incredibile. “La burocrazia – per Ceraolo – è capace di creare situazioni pazzesche”. Un esempio citato è il bando comunale che sprona i cittadini ad autodenunciarsi all’ARPA “qualora abbiano nei propri spazi amianto”. Spesso i comuni devono emettere bandi dove i cittadini devono autodenunciarsi, cioè dire che presso le proprie abitazioni vi è amianto. “Il paradosso – per il presidente di Legambiente – sta proprio nell’autodenuncia. Già solo il termine fa spaventare il cittadino che preferisce non farlo e aspettare una sanzione pecuniaria, la quale però non verrà mai assolta o sollecitata”. In altre parole, il regolamento sull’amianto risulta monco se è di difficile attuazione. La fine dell’amianto è quasi scontata: “privi di sanzioni e di ulteriori controlli, i materiali finiscono lungo gli argini dei torrenti, pronti a inquinare con le loro fibre”.

L’ultimo intervento, prima di quello dell’Autore, è toccato a Pasquale Rosania dell’ArciCohiba”. “Il libro di Tindaro Bellinvia – afferma Rosania – è molto prezioso perché fa emergere tutto ciò che è stato prodotto dal neoliberismo in una modernità che Bauman ha definito “modernità liquida””. Per il relatore, anche il sindacato è in profonda crisi, poiché “se prima aveva un legame importante con l’ideologia e da essa si muoveva, oggi tale legame manca del tutto. Anzi, sembra quasi che si voglia prendere le distanze dalla politica”. Sembra che il sindacato stia attraversando un periodo storico in cui “è difficile riconoscersi in esso e nella sua difficoltà a dare risposte”. La rappresentanza sindacale resta ai margini rispetto agli anni in cui, invece, si sono costruiti “corredi di diritti anche in ambito del lavoro” andando in piazza e lottando. Il sindacato “non dovrebbe – per Rosania – prendere le distanze dalla politica, ma dovrebbe tornare alle sue origini. Era la principale garanzia proprio quando rappresentava il partito comunista”. Oggi, con un PD che è una contraddizione interna e in termini, si fa notevole fatica. Restano di positivo i movimenti dal basso, come quelli del NO MUOS, del no all’inceneritore del Mela o ai movimenti che hanno portato avanti sindaci popolari come Accorinti a Messina e Collica a Barcellona Pozzo di Gotto. Lo strumento per superare la crisi di oggi può essere anche quello di unire tutte queste singole battaglie che ognuno fa nei propri territori. Per Pasquale Rosania è tempo di “incazzarsi tutti insieme, unendo le forze, non disgregandoci in chi vuole l’ospedale, in chi è per il NO all’inceneritore, etc.”. È tempo di unire il popolo dei movimenti per essere così più incisivo.

Infine, prima dei saluti, è intervenuto Tindaro Bellinvia. Dopo i ringraziamenti dovuti, si è soffermato sulla non semplicità della propria ricerca, volta a sondare il reale mondo dei controlli sul posto di lavoro. Controlli che, anche per Bellinvia, “sono stati guidati dalla razionalità neo-liberale”. Per il sociologo, “i rapporti di forza che si sono creati tra pubblico e privato sono stati determinanti” per costruire “un modo di agire delle agenzie, dei corpi e degli enti della Pubblica Amministrazione basati sostanzialmente sul fatto che il mercato viene prima di tutto”. Le leggi non sono bypassabili, vanno applicate e l’idea che i controlli debbano essere effettuati in un certo numero e con una certa cadenza deve divenire concretezza. Oggi, invece, ogni tentativo di attuazione sembra inane. “Ho intervistato – precisa con amarezza Bellinvia – anche funzionari e ispettori della sicurezza del lavoro che hanno ammesso che il loro ruolo si è trasformato: da organi di controllo oggi sembrano divenuti organi di consulenza”. Così, succede che l’intervistato dichiari apertamente che “quando un’azienda chiede una consulenza, l’agenzia va nelle strutture e quando si vedono concretamente i problemi, è difficile intervenire perché la stessa agenzia non sa più chi è, ha perso la sua identità”. Insomma, la conclusione amara, ma terribilmente reale, è che oltre alla pastoia burocratica della quale tutti i relatori hanno parlato, di fatto le agenzie di controllo che avrebbero dovuto garantire la sicurezza sui posti di lavoro e quindi a cascata il lavoratore hanno perduto il loro ruolo primario e originario, quello per cui sono nate. E il lavoratore rischia di restare solo, smarrito e non più tutelato.