Toponomastica Femminile; siamo anche noi

Accogliamo con entusiasmo l’invito di Pina Arena al convegno su Toponomastica Femminile. C’è una sezione del convegno centrato sul mondo dell’informazione, Le Nostre Voci sull’Isola.

E’ anche un’occasione per parlare del nostro  giornale che da sempre si caratterizza per l’attenzione alle questioni di genere. Raccolgo l’invito di Dino Sturiale, il nostro editore, di parlare per conto della nostra testata, di raccontare del nostro settimanale, dei nostri redattori che quotidianamente narrano i fatti del territorio.

Chi ci segue lo sa già: i nostri articoli sono spesso lo strumento attraverso cui diamo voce a chi questa voce non l’ha più. Lo facciamo cercando sempre di tenere fede alla nostra etica, alle nostre convinzioni che da sempre viaggiano in direzione di un’autentica parità. Siamo fra i primi ad avere previsto un apposito spazio per Toponomastica Femminile e speriamo, ovviamente, di aumentare i nostri compagni di viaggio.

Appena arrivata alla sala De Seta ai Cantieri Culturali della Zisa mi ritrovo fra le mani il foglio di Luminaria. Lo sfoglio. Ci sono tante voci, molti racconti, testimonianze, dichiarazioni d’intenti provenienti da ambienti diversi. Uno, su tutti, cattura la mia attenzione, mi colpisce. Leggo con avidità. È un la genesi di un lavoro svolto in un liceo palermitano.

Avrebbe voluto intitolare una strada a coloro che hanno lottato per l’emancipazione delle donne, oppure a una partigiana. Poi riflette, torna sui suoi passi. Sul foglio di Luminaria la sua professoressa, Isabella Albanese, ha raccolto la sua riflessione: “vorrei che fosse dedicata una strada ad una bambina vittima del naufragio di Lampedusa, una bambina che sulla bara porta un numero al posto del nome. Voglio immaginarlo io quel nome, Nadia, che in slavo significa speranza”(Gabriele, studente del liceo G.Meli di Palermo). Mi piace partire da qui, dalla voce di un ragazzo per raccontare il secondo Convegno Nazionale di Toponomastica Femminile che si è svolto ai Cantieri Culturali di Palermo dal 31 ottobre al 3 novembre. Una quattro giorni in cui si sono succeduti incontri, presentazioni di libri, documentari e dibattiti e che hanno dato voce e corpo alle molteplici realtà sparse su tutto il territorio nazionale. Voci che si sono fatte azioni e progetti, in una fitta rete di condivisione, ascolto e proposte che ci raccontano di un’altra Italia, quella che, con forza, coraggio e determinazione,  lavora per invertire la rotta culturale del nostro Paese verso un effettivo e ben visibile riconoscimento.

Noi de ilcarrettinodelleidee possiamo orgogliosamente affermare di essere tra i pochi giornali ad avere, fin da subito, accolto con entusiasmo l’idea di dare risalto a Toponomastica Femminile, convinti come siamo che mai come in questi ultimi anni è più che necessario parlare al femminile. Ce lo suggerisce la cronaca, troppo spesso disegnata a tinte forti, tinte rosso sangue, quando ci costringe a raccontare dei troppi  delitti che hanno le donne come vittime, quando ci costringe a trattare dei troppi casi di femminicidio. Ce lo suggerisce, implicitamente, la politica che ha respinto la donna dentro recinti sempre più marginali, estromettendola dai luoghi decisionali.

L’iniziale censimento effettuato da Toponomastica Femminile disegna un territorio nazionale, da nord a sud, ancora fortemente declinato al maschile: il linguaggio è cultura, appartiene al costume e al sentire di una nazione. Ha ragione infatti Giovanna Fiume quando afferma che la nomenclatura di luoghi e vie ha una forte valenza simbolica connotata di violenza, di prevaricazione, di colonialismo di genere. E’ frutto di una precisa scelta politica da cui discende una certa idea di società. Dare nome a una via è una sorta di delimitazione territoriale, di appropriazione di uno spazio fisico ma anche di uno spazio nella memoria collettiva, caratterizzante fortemente una comunità. Nominare una strada non è, quindi, operazione casuale o neutra.

Femminicidio e toponomastica femminile: i due argomenti sono in stretta connessione e hanno molto a che vedere con l’attenzione e la considerazione che questo Paese riserva alle questioni di genere, argomento che è ben lungi dall’essere affrontato e risolto. Abbiamo fatto passi indietro anni luce verso un oscurantismo culturale che ha ricacciato la donna al ruolo di “strega”o di pupattola per l’esclusivo piacere maschile, spazzando via decenni di lotte femministe e di conquiste per una dignità davvero paritaria. Il berlusconismo non è un fenomeno casuale: la nascita delle televisioni commerciali è stata accompagnata da una programmazione che parlava alle massaie, a donne sole, spesso scarsamente scolarizzate e, perciò “relegate” al ruolo di mamme, casalinghe, nonne e disoccupate. Il risultato è una classe politica maschile e maschilista, in cui le donne fanno da veline, ammesse per grazia del potente e che parlano il linguaggio volgare e violento del potente. Ridotte a  un’eco maschile. Siamo, letteralmente, “la voce del padrone”. La cronaca e i processi a Berlusconi ce lo raccontano quotidianamente da un ventennio! Letterine, showgirls e troniste sembrano i soli ambiti in cui possiamo muoverci. Le nostre strade, le piazze, i luoghi che quotidianamente frequentiamo sono occupati dalle nostre immagini, i nostri corpi sono mostrati spudoratamente e ovunque nella invadente cartellonistica pubblicitaria. Sono immagini deformate, a cui non assomigliamo, ma che hanno presa su troppe donne, sul nostro pensiero, che ha finito per corrompersi. Le nostre facce appaiono lisce, prive dei segni che il tempo regala a ciascuno di noi ma che alle donne non sono permessi: e così dobbiamo appariamo solo  belle, perfette, impeccabili, sexy, provocanti, ammiccanti, erotizzanti. Mai pensanti. Che l’autonomia di pensiero non ci viene concessa, non è prevista. Non abbiamo più il diritto di essere persone con cervello, determinazione, intelligenza, sentimenti. Siamo cose. A questo siamo state ridotte. Non ci sono vie o piazze che parlano di noi, a meno che non siamo sante, madonne o suore. Dall’agenda politica sono spariti molti concetti come politiche femminili, diritto alla maternità, all’infanzia, ai servizi per una qualità di vita che davvero promuova la persona: diritti che, quando si traducono in atti normativi, sono sviliti al ruolo di mere provvidenze, elargite dall’alto. Favori, non diritti. Questa è la logica imperante che ci circonda. Ed è questa logica che Toponomastica Femminile, e noi con loro, combatte.

Toponomastica femminile e didattica .

Cominciare dalla scuola è dunque un percorso quanto mai necessario e che viaggia nella giusta direzione per un pieno riconoscimento del valore delle donne. Cominciare dai giovani, invitarli alla riflessione, alla ricerca è stata, infatti, una delle tappe  iniziali di Toponomastica Femminile.

I nomi di strade, vie, piazze, giardini ci ricordano quotidianamente il luogo in cui ci troviamo; ci orientano e ci guidano tracciando la geografia del nostro vivere, è un legame tra il nostro presente e un passato più o meno recente; parlano della nostra storia, dei nostri incontri, di felicità e dolori, individuali e collettivi. Diventano mete di pellegrinaggio, luoghi di memoria che appartengono a ciascuno. Parlano di un popolo. Sono un popolo. E il nostro è un popolo retto da sempre da tante donne capaci e caparbie, spesso controcorrente.

Il mondo dell’informazione dovrebbe, perciò, camminare a braccetto con i luoghi della formazione, con la scuola prima di tutto, poiché le aule scolastiche sono i laboratori entro cui si forgiano coscienze, libere o meno dipende dal coraggio di chi fa informazione e dalla capacità di attrarre verso un pensiero non imbrigliato, per chi insegna. Ed è in forza della consapevolezza che la scuola ha un ruolo prioritario che, Toponomastica Femminile si è avvalsa del supporto della Federazione Nazionale Insegnanti nell’organizzazione di concorsi e ricerche che si sono svolti in tantissime scuole su tutto il territorio nazionale, coinvolgendo intere famiglie nella mappatura dei luoghi al femminile. Dalla scuola è partita una sollecitazione fortissima e continua: è proprio da lì che ci si è accorti che “è vero, quasi nessuna strada ha il nome di una donna”.

In Sicilia, terra di mille contraddizioni, è stata intitolata una piazza a Stefania Noce, brutalmente assassinata dal suo ex fidanzato. Era giovane Stefania, giovane e coraggiosa, politicamente impegnata, era una femminista. Lei ha avuto lo stesso coraggio che Franca Viola dimostrò ostinatamente contro un costume, una cultura e contro le leggi di uno stato sessista che volevano imporle un matrimonio come atto risarcitorio a una violenza sessuale. Stefania ha avuto il suo stesso coraggio più di quarant’anni dopo, ma non è stata altrettanto fortunata: lei ci ha rimesso la vita! La sua cultura non l’ha salvata. Il comune di Licodia Eubea l’ha giustamente ricordata, dedicandole una piazza. E’ a lei che ho pensato continuamente durante il mio intervento al Convegno. Ed è a lei che ho dedicato mentalmente queste  mie parole. A lei e a Gabriele, studente di un liceo,  immaginando un ideale passaggio di testimone da una ragazza morta a un ragazzo vivo. Gabriele è un seme che saprà dare buoni frutti. Quelli che Stefania non ha fatto in tempo a donarci. Anche se la testimonianza della sua breve vita è già un magnifico albero.