Disaffezione ai tradizionali canali della rappresentanza, sfida al potere, invito alla disobbedienza politica, sociale e addirittura fiscale, avanza così il proselitismo del caos. Irrompe nuovamente nella scena italiana l’incubo del terrorismo di matrice rossa. Proprio a Genova, dove quarant’anni fa aveva inizio la visione cinica delle BR, rivelatasi una mattanza alla pari del peggiore dei mali come la mafia, asservita all’utopica pretesa dell’avanguardia rivoluzionaria e antisistema che ha mietuto vittime trasversali all’agone sociale e politico, figure pubbliche prescelte secondo la logica della migliore risonanza mediatica e psicologica, per le loro idee, per la loro dedizione al sociale e al dialogo possibile tra le opzioni contrapposte nell’Italia degli anni settanta.
Sono numerose le testimonianza di quegli anni, non mancano iniziative a tal proposito soprattutto da parte di chi quegli anni li ha subiti in famiglia con la perdita di propri cari.
Oggi Myrta Merlino (apprezzabile conduttrice del programma di approfondimento de La7 “L’aria che tira”), ha voluto esordire nella conduzione della trasmissione ricordando l’esperienza di un suo compagno di classe, il cui padre fu ucciso proprio nella sua Napoli dalle Br. Quel ragazzo non è rimasto più lo stesso ma, anche tra i compagni di classe – continua la Merlino – qualcosa era inevitabilmente cambiato, ed in particolare l’idea del terrorismo comincia a risuonare come un motivo con cui si sarebbe ancora una volta scontrata nel prosieguo della propria vita. Era il 1980, 39 vittime solo quell’anno a coronare una strage sistematica che ancora oggi è a tratti impunita.
Lo scontro poi tra fazioni, i rossi e i neri, è stato per molti motivo quasi giustificativo di una strategia di tensione che ha visto contrapporsi intere generazioni, delegittimando partiti, società e sindacati. Solo un dato, in quegli anni Piazza Cairoli a Messina era teatro di contestazioni e scontri, così come alle elezioni universitaria in un città dai forti connotati della destra sociale, non era raro venire alle mani, giustificati appunto dall’ideologia del proprio credo politico.
Rileggo da un’altra angolatura le vicende di quegli anni anche in contesti insoliti. Nel blocco cattolico il fermento nuovo agitava non poco le acque apparentemente calme della Santa Sede, alle prese tra evangelici ed intransigenti difensori del tradizionale ruolo collaterale alla Dc e all’anticomunismo, situazione limite che vedeva contrapporsi anche le opzioni dei movimenti ecclesiali più devoti alla Gerarchia e quelle portate avanti dalle nuove presenze, spesso anticipatrici della rottura dell’unità politica dei cattolici.
Le bombe del 1969 annunciavano una stagione che sembrava figlia del disorientamento di quegli anni ma la lunga scia di eventi drammatici, interrotta con la vittoria dello Stato sul terrorismo celebrata e condivisa da tutte le forze politiche costituzionali, torna ciclicamente alla cronaca per l’efferatezza di una pratica di intimidazione che sembra non recisa del tutto ma al contrario trova nuovi canali di emulazione anche in cellule rivoluzionarie esterne (la pista greca).
Di quegli anni portiamo i segni di una disfatta che ha toccato il cuore dell’Italia con l’assassinio del Presidente Aldo Moro nel 1978 ma anche con la strage di Piazza Fontana a Milano dieci anni prima, la morte di uomini delle forze di polizia e del mondo giornalistico (i brigatisti attaccando i giornalisti, intendono colpire “gli uomini e gli strumenti, della guerra psicologica”), come il commissario Luigi Calabresi, il giornalista Walter Tobagi, il giudice Mario Sossi, sindacalisti come Guido Rossa che si sommano alle vittime rivendicate dalle Brigate Rosse in cui la maggior parte delle vittime erano agenti di polizia e carabinieri, magistrati e uomini politici. A questi vanno aggiunti i ferimenti perpetuati per generare paura, vulnerabilità nei cittadini come la recente gambizzazione a Genova dell’ad Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi o come gli assassini di Massimo D’Antona nel 1998 e del giuslavorista Marco Biagi nei primi anni del duemila.
La prima apparizione della stella a cinque punte è datata al 25 gennaio 1971, quando furono messi degli ordigni alla sede della Pirelli di Lainate. L’Italia di allora viveva lo scontro aperto tra militanti: a sinistra di Lotta Continua, di Prima Linea, di Potere Operaio, dei Nuclei armati proletari e a destra dei NAR, di Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale e nel mezzo della cruda contesa le forze di polizia e le scelte più o meno discutibili del Viminale in quegli anni.
Sul piano sociologico in quegli anni si assiste alla crescente egemonia culturale sponsorizzata dalla sinistra che aveva prodotto risultati elettorali importanti nelle consultazioni elettorali e all’apertura del mondo accademico alle istanze di cambiamento come la nascita della prima facoltà di Sociologia di Trento. L’autunno cosiddetto “caldo” – era il 1969 – caratterizzato dalla protesta dei lavoratori per il rinnovo contrattuale, fu vitale per l’estremismo rosso che della lotta di classe ne aveva fatto un programma cinico da attuare anche a costo di contrapposizioni all’interno della stessa sinistra. La presa di coscienza del pericolo di tale deriva si concretizza con l’appello anche del Partito comunista contro certo estremismo caldeggiato dalle forze extraparlamentari. Lo stesso sindacato trovo parole di fermezza contro l’insidia nelle fabbriche e nell’organizzazione.
Ombre e dubbi si accavallano in questa storia di vittime e carnefici che non trova ancora pace. Le macerie del terrorismo continuano a riecheggiare nel vissuto dei familiari delle vittime del terrorismo e fatti recenti hanno riportato alla luce antiche contraddizioni che in un tempo di forti tensioni sociali, acuiscono le distanze e fomentano le contestazioni anche con l’uso della violenza.
Ore 19.01 “Un dirigente della Ansaldo di Genova è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco alla gamba”, così partono le prime agenzie di stampa alla vigilia della Giornata in ricordo delle vittime del terrorismo. Sembrano tornati gli anni di piombo, proprio alla vigilia dell’incontro al Quirinale, che come tutti gli anni è dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi. Si tratta di Roberto Adinolfi che, curricula a parte, rappresenta un bersaglio ben noto a chi del terrorismo di matrice brigatista ne sa qualcosa. Gli inquirenti pensano subito ad un ritorno delle Br nella scena pubblica, stentano le rivendicazioni, piovono ipotesi, spunta addirittura la pista greca e solo in questi giorni la lettera con tanto di richiamo al terrore rosso. Una sigla non nuova dal nome codificato nella cellula Olga della Federazione Anarchica Informale- Fronte Rivoluzionario Internazionale. Gli esperti della Digos avevano già individuato l’arma dell’attentato in un Tokarev calibro 7.62 di fabbricazione est europea, un elemento che avvalorava la ricerca sul piano internazionale e quindi della rete eversiva e anarchica presente in Occidente.
All’indomani del vile atto, le Istituzioni provano a fare muro contro qualsiasi strumentalizzazione del fatto, primo tra tutti il Capo dello Stato, Giorgio Napolitiano che afferma con giustificato rammarico che il terrorismo non si ripeterà. «Non ci sono ragioni legate alle tensioni sociali che possano giustificare il ribellismo e le forme di violenza», dice il presidente della Repubblica durante la cerimonia al Quirinale per le vittime del terrorismo. Giorgio Napolitano in quell’occasione si è commosso più volte parlando della storica rappresentante dell’associazione vittime della strage di Piazza Fontana, Francesca Dendena, scomparsa nel 2010.
Nel trentaquattresimo anniversario della morte di Aldo Moro (il 9 maggio di ogni anno, giornata anche del Ricordo delle vittime di terrorismo), il capo dello Stato ha voluto concludere un lungo discorso sul terrorismo con una conclusione personale – un gesto che ne esprime la nobiltà interiore – per spiegare quanto il tema lo abbia coinvolto negli anni, fino al picco degli impegni istituzionali, lacerandolo in profondità attraverso l’approfondimento dei crimini, delle storie e delle vite delle persone. «Il ricordo di quegli uomini e di quelle donne come persone, la vicinanza al dolore delle loro famiglie, la riflessione intensa su quelle vicende, su quel periodo di storia sofferta, di storia vissuta sono stati in questi anni – ha spiegato Napolitano – tra gli impegni che più mi hanno messo alla prova e coinvolto non solo istituzionalmente, ma moralmente ed emotivamente. Hanno messo alla prova – ha confessato il presidente – la mia capacità di ascoltare e di immedesimarmi, la mia responsabilità di lettura imparziale, equanime dei fatti che chiamavano in causa diverse ed opposte ideologie e pratiche politiche».
Alle prese con la crisi economica e sociale che impone l’austerità tipica del momento storico attuale, lo Stato prova a mitigare il malessere della gente anticipando quanti provano a vedere nel ritorno del braccio terroristico il rischio di non trovare le Istituzioni compatte nel fronteggiarne il pericolo.
Proprio nel disordine sociale e nella diffusione di una cultura antagonistica, che promulgava la sovranità degli individui sullo Stato, che il terrorismo delle Br ha trovato energie e risorse per impiantare il tentativo di sfaldare gli elementi di coesione e di unità del Paese negli anni bui tra il 1969 e il 1980. Parallelamente, il disegno di uno “stato controllore” dei cittadini, promosso dallo stragismo di destra, fu ridimensionato dal ruolo dei servizi segreti e dei governi (la storia ci insegna che non tutti però erano puri e candidi a quel progetto) che svelò il tentativo di colpo di stato per opera di ufficiali con la complicità dei servizi segreti deviati e di frange interne al Movimento sociale e al mondo clerico-conservatore.
Ritornano rasserenanti le parole nette del Presidente Napolitano. «Non brancoliamo nel buio di un’Italia dei misteri, certo ci sono ancora verità da svelare, ma siamo in un’Italia che si è liberata e ha sconfitto il terrorismo ed ha individuato e sanzionato centinaia di persone».
Per Napolitano resta «il tormento di una “giustizia incompiuta” rispetto alle tante stragi ed azioni del terrorismo ma bisogna mettere in luce quello che di inconfutabile è emerso dalle carte processuali e dalle sentenze e cioè una ”matrice di estrema destra neofascista di quelle azioni criminali e l’attività depistatoria svolta da una parte degli apparati dello Stato» sottolineando che «una verità storica si è quindi conseguita. E’ in atto ”una evoluzione positiva” sull’accesso agli atti di intelligence e il Parlamento segue il rinnovato impegno del Governo all’applicazione di regole stringenti in materia di ricorso al segreto di Stato».
Tra le forze politiche il vento contrario non permette di assurgere a ruolo di cerniera tra i valori dell’essere Comunità e il sentimento della gente, ecco perché ancora una volta è Giorgio Napolitano a fare sintesi di un momento storico in cui è chiaro da che parte stare perché «quanti fossero tentati di mettersi su quella strada sono dei perdenti e non si illudano di intimidire lo Stato».
L’appello di Napolitano è quello di tutti gli uomini e le donne che credono nel primato della democrazia nella vita comune. La Carta Costituzionale è elemento dentro il quale vivere il proprio impegno di cittadini e gruppi. Il brigatismo ha solo ritardato ciò che la storia aveva già scritto: l’alternanza democratica in Italia, la piena cittadinanza di tutte le opinioni e la scelta responsabile di ogni cittadino nella difesa dei valori che uniscono e non di quelli che dividono.