Ringraziamo Angelo per il lavoro attento e umile.Lo ringraziamo per il suo approccio da “ricercatore” e per aver raccontato le fatiche di chi da vivo non viene riconosciuto “eroe”.
Ringraziamo Angelo, che a differenza di altri smemorati, ha riconosciuto il nostro lavoro e ci ha riconosciuto una storia e delle fatiche.
Inutile dire che questo libro andrebbe letto per iniziare a conoscere cosa significa, in un Paese come il nostro, essere TESTIMONI DI GIUSTIZIA.
Di seguito pubblichiamo una sua intervista:
1) Prima di tutto, le presentazioni. Ci dica qualcosa di lei.
Grazie innanzitutto per lo spazio. Sarò sintetico perché so quanto sia prezioso il tempo dell’internauta. Sono un avvocato che, accanto all’attività professionale ed a quella universitaria (procedura civile), ama il giornalismo. Insieme alle tipiche pubblicazioni da giurista, curo una rivista settimanale (“Diritto & Rovescio”), indirizzata al lettore medio e incentrata sul diritto della rete, dei nuovi media e sulla crisi del diritto d’autore per via del Peer To Peer (ci si può iscrivere alla newsletter dal sito avvangelogreco.it). Esiste anche il volume da qualche parte nella rete (“Un anno di Diritto & Rovescio”, Pellegrini Ed., 2010).
In passato mi sono già occupato di narrativa (“Un lungo inverno rigido”, Pellegrini Ed., 1997; “Le ali di Psiche”, Pellegrini Ed., 2002). Si trattava di romanzi.
Mi è sempre piaciuta la letteratura come forma artistica precettiva. Il contenuto attraverso il culto del bello. Ecco perché ho lavorato mesi e mesi sull’aspetto formale del libro, dopo aver tirato giù tutto d’un fiato il contenuto. Un po’ come si fa coi vasi: subito gli si imprime la forma e poi si passa alle rifiniture che richiedono più tempo. Una cura maniacale, credimi. Mi sentivo come in uno studio di registrazione, al mixer, a cercare il perfetto balance tra alti e bassi.
2) Ci parli un po’ di questo libro: da dove nasce l’idea di “tra l’incudine e il martello”?
Viviamo in un Paese che si autodefinisce “culla del diritto”, ma a furia di cullarlo questo diritto si è addormentato. Siamo un popolo con una cultura giuridica bassissima. A partire dalle scuole, gli stessi professori ignorano il peso della costituzione nella gerarchia delle fonti del diritto. Siamo un popolo di giudici: di questi, alcuni siedono nelle aule dei tribunali, ma la maggior parte sulle sedie dei barbieri. Tutti pronti a giudicare. E così nessuno sa che, al di là delle indagini dei magistrati e dei PM armati dei codici, i veri eroi del processo sono i Testimoni di giustizia. Che la gente – proprio per quell’accennata ignoranza – confonde con i Collaboratori di giustizia, ossia i pentiti. E invece i Testimoni (sono solo 71 in Italia allo stato attuale) sono persone incensurate che hanno avuto la sfortuna di assistere ad un crimine o di esserne vittima. E, di conseguenza hanno deciso di denunciarlo. Così hanno rinunciato non ad una mattinata (per andare in questura), ma all’intera loro vita. Perché vengono sottoposti a programmi di protezione incredibilmente fallimentari. Ecco, il centro del libro sono le narrazioni di questi eroi, un po’ come novelli Ulisse, fuori dalla loro Itaca, ciascuno in una località protetta, sempre a scappare, con la puzza della polvere da sparo alle spalle. E chi li tradisce di più è lo Stato (il titolo sintetizza appunto la condizione tra la ritorsione della criminalità e il tradimento dello Stato). Il libro racconta queste scottanti verità. E di fronte all’abbandono delle istituzioni a mio avviso c’è una spiegazione spietata.
Mi hanno detto: “Ma chi te la fa fare…? Perché ti scomodi… Tanto le cose non cambiano”. Erano le stesse parole che dicevano i poliziotti quando i testimoni volevano denunciare i delitti a cui avevano assistito. E arrivavano anche ad impedirgli di denunciare. L’altra sera, Benigni, nel corso della prima puntata di “Vieni via con me” ha detto: “Chi non denuncia il male, permette che si compia”. Siamo tutti responsabili del male che ogni giorno viene compiuto davanti ai nostri occhi, se non lo denunciamo. Chi non si è mai confrontato con questo problema, dovrebbe cominciare a farlo. La nostra cultura italica è intrisa di omertà. Dal nord al sud. È un aspetto innato ed incosciente.
Voglio riconoscere anche il merito ad Antonio Nicaso, direttore della collana “Mafie”, in cui si inserisce questo volume, mio caro amico.
3) Il libro è “a metà tra il romanzo ed il reportage”. Come mai questa scelta narrativa?
Come dicevo prima, la letteratura può avvicinare le persone alla conoscenza. Perché, attraverso il gusto estetico, essa inietta i contenuti. Così, pur potendo realizzare un libro che fosse un mero resoconto delle interviste che ho tratto dai Testimoni (cosa che sarebbe stato assai più semplice), oppure una noiosa e settoriale pubblicazione giuridica, ho invece preferito narrare queste storie come dei piccoli romanzi. Ho cercato insomma di sedurre il lettore per fargli capire, nel modo più facile possibile, quale grave problema giuridico e sociale vive la nostra epoca. Un problema a tutti sconosciuto, peraltro.
4) Come fa a conciliare la scrittura con la professione di avvocato? Quando trova il tempo per scrivere? Preferisce l’ispirazione o il metodo?
Una domanda che mi fanno spesso. Perché non c’è solo la letteratura nella mia vita (per esempio, amo il nuoto quanto la mia professione). Rinuncio al sonno ad oltranza, alla tv, ai tempi morti della giornata, alle telefonate inutili, a tanti giri di parole quando si deve centrare un obiettivo. Scrivo in genere la mattina verso le 6.00/7.00, prima di andare in udienza; o la sera, dopo cena. In qualsiasi momento ci sia un buco. A volte registro i pensieri sul registratore vocale del cellulare. Scrivo quando guido (registro la mia voce, come se parlassi ad un interlocutore). Ma in verità, per scrivere bene bisogna innanzitutto avere le idee ben chiare di quello che si vuole dire (dall’inizio alla fine della storia) ed esercitarsi tanto con la lettura. Poi può bastare anche un’ora, a sintetizzare i pensieri di una giornata. L’ispirazione, quindi, si deve sempre coniugare con il metodo. Le idee vengono con il metodo; ma per metterle in “note”, ci vuole ispirazione.
5) Progetti per il futuro? Ha in menti altri titoli da sviluppare?
Si, ma di tutt’altro tipo. Vorrei sintetizzare in un unico lavoro l’esperienza che ho fatto nel mondo musicale, a contatto con le major e gli interessi delle società di tutela degli autori. Sono iscritto al Partito Pirata e credo nella condivisione dei contenuti. Ecco perché condivido tutti gli articoli che scrivo e li metto a disposizione di tutti. Vorrei per questo scrivere il libro con licenza Creative Commons.
6) Se qualcuno volesse contattarla? E dove si può trovare il libro?
Per contattarmi, questa è la mia mail: [email protected] oppure tramite il sito del mio studio (avvangelogreco.it) o del mio blog (avvangelogreco.blogspot.com).
Il libro è disponibile in quasi tutte le librerie italiane oppure si può acquistare on line tramite il sito del libro medesimo tralincudineeilmartello.com
Grazie dello spazio. In bocca al lupo per il vostro eccezionale sito.
SINOSSI
Un complotto preordinato o la solita inefficienza burocratica? Quali sono le ragioni che hanno portato la politica a dimenticarsi dei testimoni di giustizia?
Il segreto si svela da sè, nelle parole dei quasi settanta eroi, oggi tutelati da programmi di protezione disastrosi.
Una fuga ininterrotta, che porta quasi sempre alla morte.
Del corpo o dello spirito.
Un’ analisi approfondita e spietata, a metà tra il romanzo ed il reportage. Che vi calerà nelle viscere di un problema sociale a tutti sconosciuto.
“A ben vedere, non è tanto importante chiedersi cosa modificare dell’attuale legge, ma piuttosto perché nessuno lo voglia fare”
Tra l’incudine e il martello entra nelle dimore protette dei testimoni di giustizia e racconta le loro vite, sotto un’apparente forma romanzata.
Vite incredibili ed eroiche, che schiudono le porte di un mondo ai confini del reale, dove i mostri sono prima i criminali, dopo i burocrati (“La mafia che ammazza le persone, lo Stato che ammazza la speranza” dice l’autore).
Tra le apparenti differenze dei “romanzi-storia” dei vari testimoni, l’autore scopre un punto comune tra di esse, che coincide con un momento storico preciso del nostro Paese. Perché lo Stato si è dimenticato dei testimoni?
Un’inerzia a cui l’autore si sforza di attribuire un significato
Giovanni Falcone, dall’alto della sua esperienza, diceva: “Se è vero, com’è vero, che una delle cause principali dell’attuale strapotere della criminalità mafiosa risiede negli inquietanti suoi rapporti col mondo della politica e con centri di potere extra-istituzionale, potrebbe sorgere il sospetto, nella perdurante inerzia nell’affrontare i problemi del pentitismo, che in realtà non si voglia far luce sui troppo inquietanti misteri di matrice politico-mafiosa per evitare di rimanervi coinvolti”.
E questo, di per sé, basterebbe più di tante parole.
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