Anche quest’anno, come ogni anno, si è svolta la cerimonia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Affascinante, per certi versi, rivedere le toghe rosse dei Magistrati sfilare lungo i corridoi del Palazzo di Giustizia di Messina meglio noto come Palazzo Piacentini. I paladini della giustizia, questo stanno a significare quelle vesti porpora che indossano e che rimandano alla toga pretesta dell’antica Roma.
Troppo presi dalla diatriba sui “poteri forti” e sulla localizzazione del secondo Palazzo di Giustizia di Messina che ha visto coinvolto il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Messina, Francesco Celona, e il Sindaco di Messina Renato Accorinti, ed al netto della battuta ironica rilasciataci da Lillo Oceano, il Segretario della CGIL di Messina: “purtroppo a Messina anche i Poteri Forti sono mediocri”, abbiamo taciuto e non abbiamo prestato la dovuta attenzione agli altri interventi dei protagonisti della giornata.
E così, mentre a Milano si levava alta l’accusa di “Gogna Infamante per le Toghe” e a Napoli gli Avvocati con le mani legate innalzavano la maschera di Anonymous, a Messina nessuno ascoltava le domande poste dal Procuratore Generale Melchiorre Briguglio: a chi giova questa sentenza ? O che senso ha questa richiesta di pena?
In un intervento di un una dozzina di pagine e il dono della sintesi che sempre lo ha contraddistinto nelle aule di giustizia, il Procuratore Generale, ha presentato una relazione dello stato della Giustizia nel distretto di Messina che non ha fatto sconti a nessuno.
“Sembra che non tutti i giudici si rendano conto che la giustizia non è un bene di cui hanno l’esclusiva, attribuendo a se stessi il primato che appartiene alla legge. Le sentenze possono essere contestate, poiché tale facoltà rappresenta irrinunciabile esercizio del controllo democratico del potere. E’ l’idea di giustizia che non va delegittimata, non il dictum del singolo magistrato”.
Uno dei pochi Magistrati della Repubblica ad essere anche giornalista, il Procuratore non poteva farsi passare l’occasione di punzecchiare il legislatore e paventare che le nuove regole del processo civile oltre ad incorrere in possibili vizi di costituzionalità potrebbero allargare il solco tra poveri e ricchi creando “una giustizia costosa per i soli benestanti, mentre i poveri continueranno a non averne”.
La relazione continua analizzando le ulteriori criticità che dal suo osservatoria previlegiato emergono come un “purulento intreccio di illeciti interessi”. La corruzione e cioè la Repubblica dei disonesti; degli uomini e dei giovani che non accettano la competizione e scalzano gli altri con l’aiuto dei prepotenti; delle persone che offendono qualsiasi legge e credono che siano i perdenti a tracciare capricciosamente il confine tra lecito e illecito; la Repubblica sfigurata che ci consegnano le attuali cronache di tanti Palazzi Regionali. La violenza su donne e bambini che trova il suo fulcro nella mancanza di riferimenti certi che hanno scardinato il “paesaggio culturale” e portato via con sé indicatori sociali come il matrimonio, la famiglia, il concetto di bene comune e la distinzione tra il bene e il male. Gli infortuni sul lavoro ed un elenco quotidianamente aggiornato di sinistri che riceve in risposta parole di “sdegno meramente formali o stucchevoli, se non meschine, valutazioni di carattere politico”. E tuttavia, una situazione che dovrebbe umiliare, ai supermanager di imprese pubbliche e private vengono corrisposti emolumenti sproporzionati rispetto alle deprimenti condizioni dell’economia e delle aziende in cui operano.
Ed anche in questo caso la domanda che spiazza e che non penseresti mai che un Procuratore della Repubblica possa porre: Vorrei capire in base a quale criterio dirigenti di imprese portate al fallimento abbiano potuto guadagnare quanto decine e decine di padri di famiglia, magari esposti a rischi mortali per un modesto salario ?
In occasione dell’inaugurazione non vi è stato solo l’intervento del Procuratore Briguglio e tra gli altri illustri relatori la relazione che meglio ha fotografato le condizioni di lavoro a cui sono posti giornalmente gli operatori di giustizia, i Magistrati civile e panali, i dipendenti del Ministero della Giustizia e di tutti coloro che giorno dopo giorno frequentano quei luoghi è quella del Presidente della Sezione di Messina dell’ANM (Associazione Nazionale Magistrati) e GIP presso il Tribunale di Messina, Dott.ssa Maria Teresa Arena. Per questo abbiamo deciso di riportarne ampi spazi al fine di portare un contributo alla discussione ormai aperta sulla necessità non più derogabile di nuovi spazi per poter amministrare Giustizia a Messina.
“Ogni anno, a questa cerimonia, la parola più ricorrente è EMERGENZA e poiché, nonostante sembri ieri, risale a vent’anni fa il mio ingresso in magistratura, il rischio di provare una profonda frustrazione è concreto…non può certo parlarsi di EMERGENZA con riferimento ai tempi di definizione dei procedimenti civili e dei processi penali se non si affronta definitivamente il problema dell’adeguamento della pianta organica.
Non è poi da considerarsi un’EMERGENZA la ormai drammatica carenza di personale determinata dal mancato turn over. E’ inaccettabile non solo la condizione in cui il personale amministrativo è costretto a lavorare ma vieppiù che vi siano colleghi che chiedono di aumentare il numero di udienze e che venga loro risposto che non è possibile perché manca il personale che dovrebbe assisterli.
La lucidatura dei marmi è, come ogni anno, circoscritta al percorso della Corte e dei nostri autorevoli ospiti. Ma le piante ed il tappeto rosso tra poco spariranno ed il palazzo tornerà alla sua quotidianità. Quella quotidianità in cui un terzo degli operatori lavorano negli angusti e umidi piani cantinati, in cui il Tribunale del Lavoro insiste in un edificio in parte non agibile, in cui ci sono cancellieri che prestano la loro attività in locali originariamente destinati a bagno, dove l’udienza civile si tiene in stanze in cui si affollano decine di avvocati e testimoni e dove non possono essere rispettati neppure i più elementari principi di riservatezza. Quelle somme che all’epoca avrebbero consentito di realizzare una vera e propria cittadella giudiziaria, ad oggi, non sono state utilizzate né a tutt’oggi è stata trovata una soluzione. E tutto ciò senza parlare, in epoca di spending review, dei quasi due milioni di denaro pubblico, che a titolo di canoni d’affitto, finiscono nelle tasche di privati.
Anche sulle riforme la Gip ha alcune riserve
Riforme che non possono essere frutto di spinte emotive mediaticamente alimentate, che spesso finiscono per duplicare ciò che è già previsto dal nostro codice, determinando problemi interpretativi, o che finiscono per dilatare ancora di più, ove ve ne fosse bisogno, i tempi dei procedimenti…Vi è bisogno di una riforma che passi attraverso una seria depenalizzazione, uno snellimento del sistema delle notifiche, il superamento dei processi a carico degli imputati irreperibili, una revisione delle nullità ma, soprattutto, attraverso un intervento radicale sugli stratificati ed infausti interventi legislativi in tema di prescrizione che “non è un rimedio contro la giustizia lenta ma ne è la causa”.
Pietro Giunta