Tutti in piedi entra la mafia

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Io non voglio più piangere morti.

Io non voglio più sentire l’eco di una bomba. Soprattutto se è di Stato.

Io non voglio più vedere le strade del mio paese devastate da una guerra che vede alleati la mafia e lo Stato in danno dei cittadini onesti.

Io non voglio più vedere le strade del mio paese macchiato di sangue innocente.

Io non ho dubbi e sto con lo Stato, quello vero: io sto dalla parte di Di Matteo.

Lo Stato, quello falso,  sta invece dalla parte della mafia.  Cosicché tutto appare confuso e, in questa partita a scacchi truccata, i neri si sovrappongono ai bianchi col preciso compito di rendere arduo distinguere chi sono le guardie e chi i ladri. Ladri di democrazia, ladri di libertà, ladri di dignità. Ladri. Alcuni, furtivi, si camuffano abilmente sotto una divisa, sotto una toga o sotto la tracotante inviolabilità di un’istituzione. Altri, sempre più numerosi, non si nascondono nemmeno più: hanno messo giù la maschera e circolano impuniti per le stanze del potere. Ci governano, anzi ci regnano, ci impongono una vita infame e pretendono di farci credere che l’ingiusto è un atto necessario agito per il nostro benessere. Siamo sudditi di una monarchia assoluta che ha disarmato i veri servitori dello Stato.

Ci hanno tolto il pensiero rubandoci la scuola statale, gratuita e pubblica e siamo rimasti zitti.

Ci hanno tolto il posto di lavoro, la pensione e il diritto alla salute e siamo rimasti zitti.

Ci ricattano: “o ti togliamo i diritti acquisti o fai a meno del posto di lavoro!”, cioè la dignità di uomini. Ma un ricatto non è una scelta libera: è un ricatto per l’appunto. E anche stavolta la nostra voce è stata soffocata dalla legge del più forte, dalla legge della giungla.

Io non voglio più piangere morti, non ho più lacrime per farlo. Lo Stato, ai miei occhi, è delegittimato dalle sue stesse azioni.

Io non riconosco l’autorità di uno Stato che ha permesso che venisse definito “eroe” il mafioso vittorio mangano senza accennare a una reazione.

Io non riconosco l’autorità dello Stato se permette di lasciare al suo posto la ministra della Giustizia cancellieri, che intrattiene rapporti e intercede per la famiglia ligresti, mentre al contempo sminuisce gli ordini di morte lanciati da totò riina. Dichiara infatti la ministra: “nell’ambito dell’attività svolta dal Dap non risultano elementi espliciti di minacce da riina nei confronti di magistrati. Se poi la notizia delle minacce proviene da attività investigative, noi non possiamo saperlo perché coperte da segreto”. Da rimanere senza parole.

Io non riconosco l’autorità dello Stato e del suo sommo vertice, giorgio napolitano. se rifiuta di portare la sua testimonianza  al processo sulla trattativa Stato-mafia.

Io non riconosco l’autorità di uno Stato che finge ipocritamente di portare la sua solidarietà ai giudici di Palermo, ma poi evita accuratamente di incontrarli. Non so infatti leggere diversamente  la visita del Vice-Presidente del Csm vietti a Palermo, sapendo che il Presidente dell’organo di autogoverno dei magistrati è proprio giorgio napolitano.

Io non riconosco l’autorità dello Stato se il Ministro degli Interni angelino alfano rifiuta, con azioni precise e inequivocabili, di proteggere la vita dell’uomo più minacciato d’Italia, Nino Di Matteo, ritardando l’assegnazione del bomb jammer, accampando scuse risibili: la richiesta di un banalissimo cartello stradale di rimozione forzata è rimasto a giacere su qualche scrivania provocando la strage di via D’Amelio.

Io non riconosco l’autorevolezza di certa stampa prezzolata che fa a gara nello sminuire tali minacce: ho ancora nelle orecchie l’eco di  quel branco di avvoltoi assassini di Stato che giunsero all’impudicizia di affermare che l’attentato dell’Addaura  fu tutta una montatura creata dallo stesso Falcone.

Io ricordo i vergognosi articoli comparsi sui quotidiani all’indomani dell’incidente involontariamente provocato dall’auto di scorta di Borsellino e in cui persero la vita due studenti palermitani, Biagio Siciliano e Giuditta Milella: quegli articoli indegni diedero corpo e voce alla pancia della città che mal sopportava le sirene e le auto delle scorte vissute come un fastidio insostenibile. A Palermo! Ci sarebbe da ridere se non fossero morti due ragazzi. A Palermo puoi sparare, far esplodere palazzi e condomini, sciogliere nell’acido i cadaveri strangolati dei bambini, piantare un coltello nella pancia di un uomo per un banale parcheggio ma, per favore, senza fare rumore, niente sirene. E anziché chiedersi il “perchè” quei giudici  andassero in giro scortati, si puntò il dito sul “modo” eccessivamente rumoroso con cui lo facevano.

Io non riconosco l’autorità di uno Stato che consente l’ingresso al Quirinale di un pregiudicato decaduto dal Parlamento e interdetto dai pubblici uffici che si permette di ricattarci tutti se non obbediamo ai suoi ordini.

Io non riconosco l’autorità di uno Stato che pone sotto provvedimento disciplinare il giudice Di Matteo e che invece consente la campagna di delegittimazione a opera di altri giudici che “entrano a gamba tesa” in un processo la cui celebrazione è ancora in corso. Scrive infatti maurizio de lucia, sostituto della DNA che: “la fattispecie astratta di cui all’art. 338 c.p.  (cioè violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario)  pone “nuovi problemi di natura giuridica e fattuale al Giudice che dovrà decidere sulla corretta ricostruzione dei fatti operata nell’inchiesta”. Continua: “Il recente deposito della sentenza che ha assolto il prefetto Mario Mori ed colonnello Obinu dalle accuse relative alla mancata cattura di bernardo provenzano nell’anno 1996″, un processo che “presenta significativi momenti di collegamento sia probatorio che sostanziale con quello in argomento ed il suo esito non può non destare oggettivi motivi di preoccupazione in relazione all’impostazione del processo sulla c.d. trattativa”. Vogliamo mettere in chiaro queste affermazioni? La Direzione Nazionale Antimafia sta dicendo ai giudici della trattativa che stanno perdendo il loro tempo perchè tanto il processo non potrà che concludersi, come nel caso Mori, con un’assoluzione.

Io, questo Stato qui, proprio non lo riconosco.

P.S.

L’uso del minuscolo per alcuni nomi propri di persona non è frutto di errore o distrazione, ma volontà precisa.

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