C’è ancora spazio per la cultura nella televisione italiana? A quanto pare non per molto, almeno in Rai. Dopo la decisione di spostare sul Digitale terrestre la tv per ragazzi solo per conquistare introiti pubblicitari, la tv di Stato sembra intenzionata a proseguire su questa falsariga: il direttore di Raitre, Antonio Di Bella, ha di recente affermato di voler eliminare dal palinsesto anche Per un pugno di libri (trasmissione della terza rete ormai storica, ultimo baluardo televisivo per chi ama la lettura o per chi vuole scoprire qualcosa di nuovo su libri più o meno famosi) e Neapolis, che tratta di web e nuove tecnologie in maniera particolare.
Livelli diversi di cultura, stesso livello di malsopportazione per chi è ormai affezionato alle due trasmissioni; molti si stanno già facendo sentire utilizzando sopratutto Facebook, aprendo gruppi in sostegno della cultura televisiva, per non essere costretti a sorbirsi un appiattimento totale del livello cogitivo del tubo catodico; Leo Gullotta, stimato attore e raffinato intellettuale catanese, ha definito la chiusura dei programmi “una volgare violenza e un’inaccettabile censura”. Parole forti, ma non certo gratuite: sfogliando una qualunque guida tv ci si accorge che in Italia c’è sempre meno spazio per programmi del genere in chiaro, costringendo quindi chi è davvero interessato a pagare per la cultura, un concetto che già ai tempi degli antichi Egizi non poteva apparire come giusto.
“La tv non dev’essere maestra di vita” ci dice Luca, studente universitario, appassionato telespettatore di Per un pugno di libri “ma non per questo può essere piena di idiozie. Ritengo molto più interessante una discussione su un libro di Dostojevski rispetto a una sull’Isola dei famosi o sul Grande Fratello. La Rai sposta i programmi per guadagnare di più in fasce pubblicitarie? Ma noi il canone che lo paghiamo a fare, allora? Per vedere le urla dalla Ventura o Filiberto a Sanremo? È un servizio pubblico e deve offrire un palinsesto completo, quindi deve esserci spazio anche per la cultura, sopratutto ad orari accessibili.”.
A fargli indirettamente da eco c’è Ugo, fedele spettatore di Neapolis. “Non parla di argomenti ‘potabili’ per tutti, dato che sono indirizzati a un target preciso, però chiudere o trasferire programmi che hanno già di per sé uno spazio talmente tanto misero è abbastanza ridicolo. Senza contare che è anni luce meglio di quei programmi che parlano di scienza e tecnologie in onda una volta a settimana, poco precisi e, anzi, ricchi di imprecisioni. Dire che trasferirli sarebbe un errore è poco”.
Immaginiamo quindi questa televisione senza punti di riferimento culturali: il trionfo dell’entertainment allo stato brado, con numerosi programmi ai limiti del trash, personaggi diventati tali solo per un paio di comparsate in tv a mostrare pettorali scolpiti dopo anni di palestra o seni rifatti, con le urla a sovrastare il dialogo, e i libri, le scienze, ovvero tutto ciò che può far sviluppare l’intelligenza e le capacità cognitive, senza neanche la possibilità di avere a disposizione un paio di misere ore settimanali per quelle diverse migliaia di appassionati che ancora guardano la tv pensandola come uno strumento pedagogico.
Un progetto che non sembra lontano dalla messa in pratica effettiva, se dovessero essere trasformate in realtà le idee (perché -ricordiamolo- per ora si tratta solo di ciò) del direttore di Raitre. Tuttavia non c’è motivo per essere allegri: anche in caso di “vittoria” del partito che al momento sostiene Per un pugno di libri e Neapolis, in questa sfida il vantaggio non sarà, almeno a breve termine, di chi crede che anche in tv ci possa essere spazio per dell’approfondimento culturale. Purtroppo.