Un cognome ingombrante

Ogni volta che firma un documento, fa un colloquio di lavoro c’è chi fa l’indifferente, chi non ci pensa e poi chi decide di chiedere e chiede: “Ma quel Provenzano?”.

“Quel Provenzano” di 81 anni sta scontando la pena a 20 ergastoli di cui puntualmente gli avvocati chiedono la revoca per le precarie condizioni di salute, quasi a volergli riconoscere un po’ di pietà. Lui no, non è quel Provenzano è suo nipote.

Anni fa i suoi genitori per fuggire da un cognome scomodo decidono di lasciare la Sicilia per trasferirsi in un’altra regione dell’Italia meridionale e poi al nord.

Non ama parlare delle sue origini, né della sua famiglia. Difficile scorgere un pensiero o un’emozione.

Il suo sguardo non assomiglia a quello delle foto segnaletiche dello zio, così come raccontava alla nostra redazione un pentito di mafia intervistato qualche mese fa: “La famiglia di Provenzano non gli assomiglia, Riina e la sua famiglia sono la stessa cosa”.

La dote ironica che lo contraddistingue fa scorrere in fretta la nostra giornata.

So della sua resistenza a raccontarsi e cerco di frazionare e dividere le domande, ma la sua chiusura è talmente forte che decido di smettere di fargli domande e mi concentro su quello che ho davanti.

È un uomo semplice, che con difficoltà arriva a fine mese e ogni giorno combatte i problemi legati al precariato, la crisi, il mutuo, gli imprevisti, la famiglia, la sua nuova famiglia. Due relazioni finite alle spalle che gli hanno regalato 3 figli, una nuova compagna e un cane.

Tornerai in Sicilia ad agosto per le vacanze?

“No. Il viaggio e un alloggio costerebbero troppo. Senza contare che ogni due fine settimana al mese ho i bambini da me, faremo qualcosa qui nei dintorni”.

Dovresti cercarti un alloggio in Sicilia?

“Si”.

Quanto costa, invece, il tuo cognome?

“Anni fa il nipote di Cincimino mi chiese di accompagnarlo dalla moglie a lavoro, caso volle che ci fermassero a un posto di blocco. Mi smontarono la macchina”.

Un uomo che ha imparato ad affrontare i problemi solo quando si presentano, quasi ad avere sempre la soluzione in tasca così come le sue battute che celano ogni emozione, tranne che l’amore per la sua compagna.

Prima di lasciarlo andare alla sua vita ordinaria, almeno apparentemente, tra la gente di una metro affollata non possiamo non chiedergli:

Ma allora cosa resta della mafia?

“La mafia ha cambiato volto e non ha più un nome o un capo. La nuova mafia è fatta di relazioni. O forse è sempre stato così”.

Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica.
Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno,
ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.

Paolo Borsellino