Un grave crimine contro la donna: le mutilazioni genitali femminili

La prima volta che ho sentito parlare di mutilazioni genitali femminili, ho provato orrore al pensiero  di quello che in alcuni paesi, tutt’oggi, viene compiuto sul corpo delle donne, in nome di una aberrante tradizione.

Il termine “mutilazioni genitali” indica letteralmente il “tagliare all’intorno”, ed è generalmente riferito agli organi genitali umani.

Questa pratica è diffusa in oltre 20 paesi,  principalmente quelli appartenenti al continente africano (Somalia, Gibuti, nord del Sudan, Kenia settentrionale, Nigeria del nord, alcune zone dell’Etiopia, dell’Eritrea e del Mali, Burkina Faso, Sierra Leone, Tanzania meridionale e le popolazioni della valle del Nilo). Al di fuori del continente africano le mutilazioni vengono praticate in Oman, nello Yemen meridionale, negli Emirati Arabi Uniti, in alcune popolazioni dell’Indonesia, della Malesia, dell’India e del Pakistan e persino da alcune popolazioni aborigene australiane.

La principale gravità legata alle mutilazioni genitali, oltre al danno permanente, è l’età in cui vengono eseguite, che variano  da paese a paese (a pochi giorni dalla nascita, a circa sette anni, o nel periodo dell’adolescenza), ma non vanno dimenticate le inevitabili ripercussioni psicologiche.

Il solo scopo di  questa pratica è quello di reprimere la sessualità della donna.

Affinché il discorso che stiamo affrontando, venga compreso adeguatamente, è necessario che mi soffermi brevemente su cosa si intende per mutilazioni genitali femminili.

Si distinguono principalmente due  tipi di mutilazione:

– l’escissione, che consiste nell’asportazione della clitoride e di tutte o parte delle piccole labbra;
l’infibulazione, ovvero l’asportazione della clitoride, delle piccole labbra, di almeno 2/3 delle grandi labbra con chiusura dei lembi con spine d’acacia e filo, fino alla cicatrizzazione, lasciando solo un minuscolo orifizio, mantenuto aperto mediante l’inserimento di un sottile pezzo di legno o di una canna, per la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale (Francesca Bettini, Mutilazioni genitali femminili:conoscerle e combatterle).

Fonti ufficiali come l’OMS stimano che siano dai 90 ai 120 milioni le donne che hanno subito mutilazioni genitali. L’infibulazione riguarda praticamente la quasi totalità della popolazione femminile della Somalia (oltre il 98%), seguono poi Gibuti (90%,) il nord del Sudan (90%).

Per capire profondamente lo shock subito da queste bambine basti pensare che questa pratica viene effettuata senza alcun anestetico, con coltelli, lamette da barba o pezzi di vetro.

La bambina viene immobilizzata e tenuta con le gambe aperte. Sulla ferita, vengono applicate misture di erbe, cenere o terra, per fermare l’emorragia. Infine le gambe della bimba vengono legate insieme dall’anca alla caviglia così che lei rimanga immobile per alcuni giorni al fine di consentire la formazione della cicatrice.
Il risultato è che esse vengono private per sempre del diritto di vivere la propria sessualità, poiché gli organi amputati non potranno mai essere ricostruiti: non esiste nessun intervento chirurgico in grado di rimediare a una clitoridectomia e ripristinare la sensibilità erogena dell’apparato menomato.

Spesso, a causa delle infezioni che interessano gli organi riproduttivi, le donne mutilate diventano sterili. I rapporti sessuali sono dolorosissimi, e queste donne non proveranno mai eccitazione, piacere, o un orgasmo.  .

È chiaro che tutto questo si configura come un crimine che origina dal bisogno della società patriarcale di negare e controllare la sessualità femminile

Le motivazioni addotte alla pratica delle mutilazioni sono le più svariate.
Si va dal considerare gli organi genitali femminili così come si presentano, brutti e sporchi e si ritiene che creando una vulva piatta e un orifizio semichiuso la bellezza di una donna venga valorizzata. L’infibulazione tende a questo.

In altri paesi si ritiene che la clitoride possa crescere fino a raggiungere la dimensione di un pene, che andrebbe a danneggiare il bambino durante il parto.

In altri ancora che le secrezioni clitoridee distruggano il potere fecondativo dello sperma e che la donna non possa rimanere incinta. Infine che vada rimossa la parte femminile dell’uomo (il prepuzio) e la parte maschile delle donne (la clitoride).

Ma, ovviamente, la motivazione più comune è quella di proteggere le donne dalla loro natura troppo sensuale, conservandone la castità e preservandone la verginità.

In realtà, la donna che viene “tagliata”, come si usa dire in gergo, è pronta ad essere ceduta, alla stregua di una proprietà, ad un marito.

L’essere  tagliata è segno, non solo della sua illibatezza, ma costituisce anche una sorta di sicurezza, un buon investimento per il futuro, che consiste nello scegliere la propria donna, secondo quanto la vile tradizione comanda.

Dunque, una ragazza non escissa o non infibulata viene sicuramente emarginata, irrisa, costretta ad abbandonare la comunità, non troverà nessuno disposto a sposarla.

Gli uomini non sceglieranno MAI una donna non tagliata, poiché comporterebbe dei “mostruosi” rischi, quali, ad esempio, il sicuro tradimento, l’adulterio certo, poiché si crede che una donna non tagliata non si accontenti di un solo uomo, ma avrebbe una necessità spasmodica o meglio animalesca di accoppiarsi in modo indistinto e continuo.

Tutti sappiamo che la realtà è ben diversa e non ha certo bisogno di spiegazioni.

Quello che invece va spiegato a queste popolazioni e soprattutto alle donne che hanno subito questa violenza, che oggi sono madri, è di non permettere a nessuno di compiere questa tortura alle proprie bambine, di non essere vittime e allo stesso tempo complici di questa nefandezza, poiché con questa pratica altro non fa, che distruggere la sessualità della donna.

Sono proprio le vittime che devono capire il “perché” viene ciecamente seguita questa ignobile tradizione sessuofobica, al solo fine di non ripeterla; il principio di base è quello del controllo assoluto della donna che avviene ANCHE attraverso la riduzione dei desideri sessuali della fanciulla, certi della monogamia assoluta, del possesso esclusivo, della donna che l’uomo prenderà in sposa.

Secondo Bettlheim (1973) alla base di questa pratica c’è l’idea che la monogamia (della donna e dell’uomo) sia  “contraria alla natura” e,  siccome predomina l’idea di “dominio maschile” di Pierre Bourdieu, questi cercano di contrastare la natura, sottoponendo la donna  a queste sevizie, frutto di una cultura atavica.

C’è da precisare che nella maggior parte dei paesi nei quali vengono praticate, le mutilazioni sono formalmente vietate per legge, anche se vengono eseguite ugualmente, di nascosto, grazie alla noncuranza di chi è al potere.

Proibire, dunque, non basta. È necessario che siano principalmente le donne a prendere coscienza che le mutilazioni genitali non hanno nulla a che fare con tradizione e cultura etnica da conservare.

Le mutilazioni genitali femminili dovrebbero essere considerate alla stessa stregua della tortura e combattute con il medesimo impegno e la stessa forza. 

                                                                                                Dott.ssa Nicoletta Rosi